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BIANCO DI PITIGLIANO D.O.C.

CAPALBIO D.O.C.

COSTA DELL'ARGENTARIO D.O.C.

MONTEREGIO DI MASSA MARITTIMA D.O.C.

PARRINA D.O.C.

SOVANA D.O.C.

VIGNETI PITIGLIANO

VIGNETI PITIGLIANO

BIANCO DI PITIGLIANO

D.O.C.

Decreto 22 novembre 2011

(fonte GURI)

Modifica Decreto 30 novembre 2011

(fonte Mipaaf)

 

Articolo 1

Denominazione

 

1. La Denominazione di Origine Controllata «Bianco di Pitigliano» è riservata ai vini bianchi che rispondono alle condizioni e ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione per le seguenti tipologie:

 

«Bianco di Pitigliano»

«Bianco di Pitigliano» superiore

«Bianco di Pitigliano» spumante

«Bianco di Pitigliano» Vin Santo

 

Articolo 2

Base ampelografica

 

1. I vini a Denominazione di Origine Controllata «Bianco di Pitigliano» devono essere ottenuti dalle uve provenienti da vigneti aventi, nell’ambito aziendale, la seguente composizione ampelografica:

 

«Bianco di Pitigliano», «Bianco di Pitigliano» superiore e «Bianco di Pitigliano» spumante:

Trebbiano toscano dal 40% al 100%;

Greco, Malvasia bianca lunga, Verdello, Grechetto, Ansonica, Chardonnay, Sauvignon, Viognier, Pinot bianco e Riesling italico, da soli o congiuntamente, da 0 a 60%;

possono concorrere alla produzione di detti vini, fino a un massimo del 15%, le uve a bacca bianca provenienti da altri vitigni idonei alla coltivazione per la regione Toscana iscritti nel registro nazionale delle varietà di vite per uve da vino approvato con decreto ministeriale 7 maggio 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 242 del 14 ottobre 2004, e da ultimo aggiornato con decreto ministeriale 22 aprile 2011 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 170 del 23 luglio 2011.

 

«Bianco di Pitigliano» Vin Santo:

Trebbiano toscano dal 40% al 100%;

Greco, Malvasia bianca lunga, Verdello, Grechetto, Ansonica, Chardonnay, Sauvignon, Viognier, Pinot bianco e Riesling italico, da soli o congiuntamente, da 0 a 60%;

possono concorrere alla produzione di detti vini, fino a un massimo del 15%, le uve a bacca bianca provenienti da altri vitigni idonei alla coltivazione per la regione Toscana iscritti nel registro nazionale delle varietà di vite per uve da vino approvato con decreto ministeriale 7 maggio 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 242 del 14 ottobre 2004, e da ultimo aggiornato con decreto ministeriale 22 aprile 2011 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 170 del 23 luglio 2011.

 

Articolo 3

Zona di produzione delle uve

 

1. Le uve destinate alla produzione della Denominazione di Origine Controllata «Bianco di Pitigliano» devono essere prodotte nella zona, appresso descritta, in provincia di Grosseto, comprendente:

gli interi territori dei comuni di

Pitigliano e Sorano;

il territorio comunale di Scansano,

con l’esclusione della parte occidentale compresa tra il confine del predetto comune in corrispondenza del torrente Trasubbie, del torrente Maiano e la dividente che ha origine a sud nel punto in cui la strada statale monte Amiata attraversa il confine comunale di Scansano (quota 374), la segue per breve tratto fino a quota 377, per poi percorrere la strada vicinale dei Gaggioli fino a innestarsi con la strada statale Scansanese, che segue fino alle case Brocchi; segue, quindi, interamente la strada provinciale Pancole-Polveraia; si identifica poi con la strada comunale Polveraia-Pian d’Orneta, fino a collegarsi con il confine comunale nord di Scansano;

 

il territorio comunale di Manciano,

con l’esclusione dell’estrema parte occidentale dello stesso, delimitata a nord dal confine comunale in corrispondenza del fiume Albegna; a ovest e a sud allo stesso limite di comune; a est dalla dividente che ha origine a sud dal punto in cui la strada di bonifica n. 28 attraversa il confine comunale di Manciano (quota 57); segue detta strada fino a

innestarsi, in località Sgrillozzo, con la strada statale n. 74, che percorre fino alla curva di Case Poggio Lepraio (quota 39); prosegue poi con la strada di bonifica n. 19, che passa per Casalnuovo e case Pinzuti e infine, con la strada di bonifica n. 17, passante per case del Lasco, fino al punto in cui interseca a nord il fiume Albegna.

 

Articolo 4

Norme per la viticoltura

 

1. Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti destinati alla produzione dei vini di cui all’articolo 2, devono essere quelle normali della zona e, comunque, atte a conferire alle uve ed ai vini le specifiche caratteristiche di qualità. Per la coltivazione dei vigneti sono esclusi i fondovalle e i terreni pianeggianti e umidi.

2. I sesti di impianto, le forme di allevamento e i sistemi di potatura devono essere quelli generalmente usati, comunque atti a non modificare le caratteristiche delle uve e dei vini.

3. Per i nuovi impianti e reimpianti la densità dei ceppi per ettaro non può essere inferiore a 3.000.

4. È vietata ogni pratica di forzatura. È consentita l’irrigazione di soccorso.

 

5. La resa massima di uva ammessa per la produzione dei vini «Bianco di Pitigliano» e «Bianco di Pitigliano» Vin Santo non deve essere superiore a tonnellate 12,50 per ettaro in coltura specializzata.

Tuttavia, la resa massima di uva ammessa per la produzione del vino «Bianco di Pitigliano» superiore non deve essere superiore a tonnellate 11,00 per ettaro in coltura specializzata.

6. A detti limiti, anche in annate eccezionalmente favorevoli, la resa dovrà essere riportata attraverso una cernita delle uve, purché la produzione non superi del 20% il limite medesimo.

Le eccedenze delle uve, nel limite massimo del 20%, non hanno diritto alla Denominazione di Origine Controllata. Oltre detto limite decade il diritto alla Denominazione di Origine Controllata per tutto il prodotto.

7. Fermo restando il limite massimo sopra indicato, la resa per ettaro di vigneto a coltura promiscua deve essere calcolata in rapporto alla effettiva superficie coperta dalle viti.

8. La regione Toscana, con proprio decreto, sentite le organizzazioni di categoria interessate, di anno in anno, prima della vendemmia, tenuto conto delle condizioni ambientali e di coltivazione, può stabilire un limite massimo di produzione rivendicabile di uva per ettaro inferiore a quello fissato dal presente disciplinare di produzione, dandone immediata comunicazione al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ed al Comitato nazionale per la tutela delle denominazioni di origine dei vini.

 

9. Le uve destinate alla vinificazione devono assicurare al vino

un titolo alcolometrico volumico naturale minimo del 10,50% vol.;

mentre per la tipologia «superiore» devono assicurare

un titolo alcolometrico volumico naturale minimo del 11,50% vol.

10. Le uve destinate alla produzione della tipologia di vino «spumante» devono assicurare

un titolo alcolometrico volumico naturale minimo del 9,50% vol.

 

Articolo 5

Norme per la vinificazione

 

1. Le operazioni di vinificazione e di appassimento delle uve devono essere effettuate nell’ambito del territorio dei comuni di Pitigliano, Sorano, Manciano e Scansano, in provincia di Grosseto, fatte salve le deroghe previste nel presente articolo.

2. In deroga a quanto stabilito al primo comma del presente articolo, le operazioni di vinificazione, nonché quelle di conservazione e invecchiamento, previste per la tipologia «Bianco di Pitigliano» Vin Santo possono essere effettuate nell’intero territorio amministrativo della provincia di Grosseto ed in quello delle province limitrofe di Pisa, Livorno e Siena.

3. È consentito l’arricchimento dei mosti e dei vini di cui all’articolo 1, fatta eccezione per il «Bianco di Pitigliano» Vin Santo nei limiti e condizioni stabilite dalle norme comunitarie e nazionali, con mosti concentrati ottenuti da uve prodotte nella zona di produzione delimitata dal precedente articolo 3 o, in alternativa, con mosto concentrato rettificato o a mezzo di altre tecnologie consentite.

4. La resa massima di uva in vino dei vini della denominazione di origine controllata «Bianco di Pitigliano», all’atto dell’immissione al consumo, non deve essere superiore al 70%.

Qualora la resa superi detto limite, ma non il 75%, l’eccedenza non ha diritto alla Denominazione di Origine Controllata.

Oltre il 75% decade il diritto alla Denominazione di Origine Controllata per tutto il prodotto.

5. Tuttavia, la resa massima dell’uva in vino finito «Bianco di Pitigliano» Vin Santo non deve essere superiore al 35% dell’uva fresca al terzo anno di invecchiamento del vino.

6. Il tradizionale metodo di vinificazione per l’ottenimento del «Bianco di Pitigliano» Vin Santo prevede quanto segue:

l’uva, dopo aver subito un’accurata cernita, deve essere sottoposta ad appassimento naturale;

l’appassimento delle uve deve avvenire in locali idonei; è ammessa una parziale disidratazione con aria ventilata e l’uva deve raggiungere, prima dell’ammostatura,

un contenuto zuccherino non inferiore al 26%;

la vinificazione, la conservazione e l’invecchiamento del «Bianco di Pitigliano» Vin Santo deve avvenire in recipienti di legno di capacità non superiore a 500 litri per un periodo

minimo di 18 mesi

a decorrere dal 1° gennaio successivo all’anno di raccolta;

l’immissione al consumo del «Bianco di Pitigliano» Vin Santo non può avvenire prima del

1° marzo del terzo anno successivo a quello di produzione delle uve;

al termine del periodo di invecchiamento il prodotto deve avere

un titolo alcolometrico volumico totale minimo del 16,00% vol.

 

Articolo 6

Caratteristiche al consumo

 

1. I vini a Denominazione di Origine Controllata «Bianco di Pitigliano» devono rispondere, all’atto dell’immissione al consumo, alle seguenti caratteristiche:

 

«Bianco di Pitigliano»:

colore: giallo paglierino più o meno intenso;

profumo: fine e delicato;

sapore: asciutto, fresco, talvolta vivace, con fondo leggermente amarognolo, di medio corpo;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 16,00 g/l.

 

«Bianco di Pitigliano» superiore:

colore: giallo paglierino più o meno intenso;

profumo: fine e delicato;

sapore: asciutto, fresco, vivace, con fondo leggermente amarognolo, di medio corpo, morbido;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 16,00 g/l.

 

«Bianco di Pitigliano» spumante:

spuma: fine e persistente;

colore: paglierino con riflessi verdolini;

profumo: delicato;

sapore: da dosaggio zero a dry, vivace, acidulo, con fondo leggermente amarognolo;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol.;

acidità totale minima: 5,00 g/l;

estratto non riduttore minimo: 16,00 g/l.

 

«Bianco di Pitigliano» Vin Santo:

colore: dal paglierino, all’ambrato, al bruno;

profumo: etereo, caldo, caratteristico;

sapore: da secco a dolce, armonico, vellutato, con più pronunciata rotondità per il tipo amabile;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 16,00% vol.;

titolo alcolometrico volumico svolto minimo: 12,00% vol.;

acidità totale: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 22,00 g/l.

 

2. È facoltà del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali modificare, con proprio

decreto, i limiti minimi sopra menzionati per l’acidità totale e per l’estratto non riduttore minimo.

 

Articolo 7

Etichettatura, designazione e presentazione

 

1. Alla Denominazione di cui all’articolo 1 è vietata l’aggiunta di qualsiasi specificazione aggiuntiva diversa da quella prevista dal presente disciplinare, ivi compresi gli aggettivi “extra”, “fine”, “scelto”, “selezionato” e “similari”.

2. È tuttavia consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali, e marchi privati non aventi significato laudativo e non idonei a trarre in inganno il consumatore.

3. È consentito altresì l’uso di indicazioni geografiche e toponomastiche aggiuntive che facciano riferimento ai comuni e alle frazioni riportati nell’Allegato 1 e alle fattorie, zone e località dalle quali effettivamente provengono le uve da cui il vino così qualificato è stato ottenuto, purché nel rispetto delle normative vigenti in materia.

4. Nella designazione dei vini a Denominazione di Origine Controllata «Bianco di Pitigliano» di cui all’art.1 può essere utilizzata la menzione “vigna” a condizione che sia seguita dal relativo toponimo o nome tradizionale,

che la vinificazione e la conservazione del vino avvengano in recipienti separati

e che tale menzione, seguita dal relativo toponimo o nome tradizionale, venga riportata sia nella denuncia delle uve, sia nei registri e nei documenti di accompagnamento e che figuri nell’apposito elenco regionale ai sensi dell’art. 6 comma 8, del decreto legislativo n. 61/2010.

5. Nella presentazione e designazione dei vini di cui all’articolo 1, con esclusione della tipologia spumante, è obbligatoria l’indicazione dell’annata di produzione delle uve.

 

Articolo 8

Confezionamento

 

1. Per il confezionamento dei vini a Denominazione di Origine Controllata «Bianco di Pitigliano» sono ammessi tutti i recipienti di volume nominale autorizzati dalla normativa vigente, ivi compresi i contenitori alternativi al vetro costituiti da un otre in materiale plastico pluristrato di polietilene e poliestere racchiuso in un involucro di cartone o di altro materiale rigido.

2. Per la tappatura dei vini, allorquando siano confezionati in bottiglie di vetro, può essere utilizzata qualsiasi tipo di chiusura, escluso il tappo a corona per bottiglie di capacità nominale superiore a 375 ml.

3. Tuttavia, per le tipologie con menzione “superiore” e “vigna” sono consentite soltanto bottiglie di vetro aventi forma ed abbigliamento consoni ai caratteri dei vini di pregio, con volume nominale fino a 5 litri con chiusura a norma di legge.

4. I vini a Denominazione di Origine Controllata «Bianco di Pitigliano» Vin Santo devono essere immessi al consumo esclusivamente in bottiglie in vetro di capacità non superiore a 3 litri, con chiusura a tappo di sughero raso bocca

 

Articolo 9

Legame con l’ambiente geografico

 

A) Informazioni sulla zona geografica

A.1. Fattori naturali rilevanti per il legame.

La zona geografica delimitata ricade nella parte meridionale della regione Toscana e, in particolare, nel lembo sud-orientale della provincia di Grosseto, in un territorio a giacitura collinare e pedecollinare che comprende l’intero territorio comunale di Pitigliano e di Sorano e parte di quello dei comuni di Manciano e Scansano.

I terreni dell’area, relativamente all’origine geologica, sono caratterizzati da superfici strutturali su formazioni costituite prevalentemente da rocce effusive e vulcanoclastiche mentre, a ovest del fiume Fiora, prevalgono forme di aggradazione su formazioni prevalentemente marnose, marnoso-pelitiche e pelitiche. Le formazioni quaternarie antiche e recenti, con conglomerati di sabbia, detriti fluviali, ciottoli con argille e sabbia, affiorano dovunque nella parte centrale della zona, lungo i corsi d’acqua e nella fascia collinare a ovest di Manciano e verso Scansano.

L’area è caratterizzata da rilievi da bassa a medio-alta collina, ma al centro del comprensorio delimitato, nei comuni di Pitigliano e Sorano, sono presenti vaste zone di altopiano ove la presenza di rocce tufacee, originate da eruzioni succedutesi nei secoli, è predominante, tanto da influenzare l’aspetto stesso del paesaggio.

La quota media è di 310 metri s.l.m., mentre la pendenza oscilla intorno al 5%; l’esposizione media è a sud-est.

Il clima dell’area è di tipo mediterraneo, con temperature miti e precipitazioni disordinate, talvolta anche di elevata intensità, concentrate soprattutto nei mesi autunnali-invernali (massimo della piovosità localizzato tra la fine di ottobre e la prima decade di dicembre, col mese di novembre caratterizzato dai valori più elevati), mentre nel periodo compreso tra gennaio e maggio la pioggia è distribuita in maniera un po’ più omogenea con valori comparabili, che

diminuiscono progressivamente dalla seconda decade di maggio, fino a raggiungere un minimo assoluto tra la prima e la terza decade di luglio, tanto che si può parlare di un’aridità di regola prolungata nella primavera e spesso accentuata nei mesi estivi.

Possono essere considerate due prevalenti condizioni climatiche, e cioè quella dell’area di Pitigliano-Sorano, con temperatura media intorno a 14°C e precipitazioni intorno a 920 mm/anno e quella dell’area di Manciano, situata più a ovest verso il mare, con temperatura media di 14-14,5°C e precipitazioni medie di 750 mm/anno.

Considerata la presenza, nella zona delimitata, di una parte consistente del comune di Scansano, le cui condizioni climatiche sono più affini a quelle dell’entroterra mancianese rispetto all’area pitiglianese, può essere quindi considerato un valore medio di precipitazioni annue intorno agli 780-840 mm, con un minimo di 22 mm nel mese di luglio (dato medio) e un massimo di 124 mm nel mese di novembre (dato medio), e una temperatura media

annua di 14,5-15°C; l’indice di Huglin si attesta tra 2.100 e 2.500 unità, a seconda dell’area considerata.

Le estati sono per lo più siccitose e le condizioni di aridità sono accentuate dai venti che soffiano con frequenza soprattutto dal terzo al quarto quadrante; in particolare, nella primavera soffiano venti di Scirocco e di Libeccio (nelle aree più prossime al mare piuttosto carichi di salsedine), mentre nell’estate soffia il Maestrale che, sebbene provenga dal mare, è asciutto, regolando di fatto la temperatura; in inverno non è raro, invece, che soffi, anche in modo violento, la Tramontana, soprattutto nel comprensorio di Pitigliano e Sorano.

 

A.2. Fattori umani rilevanti per il legame.

I fattori umani legati al territorio di produzione, che per consolidata tradizione hanno contribuito a ottenere i vini del «Bianco di Pitigliano», sono di fondamentale rilievo.

In quest’area, infatti, esistono testimonianze della coltivazione della vite che risalgono al periodo etrusco, greco e romano – l’antica città etrusca di Statonia, nella parte orientale della zona di produzione, le città etrusche di Sovana e di Saturnia, più a ovest, le aree di Poggio Buco, nella parte meridionale, e di Ghiaccio Forte, a ovest di Manciano, sono solo alcuni esempi di insediamenti più o meno rilevanti – come testimoniano alcuni reperti; in particolare, presso Marsiliana lungo il corso del fiume Albegna, è stato rinvenuto un numero consistente di vasellame e pithoi (recipienti particolari per la raccolta del vino proveniente dalla pigiatura delle uve e dai torchi), probabilmente poiché il luogo corrispondeva a un vero e proprio centro di raccolta per i vini che provenivano dalle aree più interne (colline di Manciano, Pitigliano e Scansano), trasportati lungo il corso del fiume; nelle necropoli di Vitozza e Sovana, invece, sono state rinvenute cantine scavate direttamente nel tufo, e un esempio ancor oggi chiaramente visibile lo si ha visitando la fortezza Orsini a Sorano.

La dominazione romana accentuò la tendenza al miglioramento delle tecniche di vinificazione, che rimasero insuperate fino al medioevo; in questo periodo storico, la vite acquistò particolare importanza come pianta colonizzatrice, tanto che governanti e feudatari riconobbero la necessità di concedere terre adatte per questa coltura, che ebbe particolare

protezione con apposite norme statutarie. Negli Statuti della Comunità del Cotone le norme stabilite per la protezione delle viti e dell’uva erano molto severe, tanto che prevedevano perfino una multa di 10 soldi per ciascuna bestia grossa entrata a far danno in “vigne o chiuse di olivi da calende di marzo fino a Ognissanti”.

La tradizione vitivinicola del territorio pitiglianese e soranese ha continuato a trasmettersi nei secoli, passando attraverso le vicissitudini della famiglia Aldobrandeschi e, più tardi, con la scissione di questa famiglia nei due rami di Sovana e Santa Fiora, con quelle degli Orsini, fino alla lunga guerra che questi ingaggiarono con Siena conclusasi, nel 1410, con l’annessione definitiva di Sovana ai domini di Siena, e il conseguente spopolamento di Sovana a favore delle

vicine Pitigliano e Sorano.

Fin da epoche lontane, tutti coloro che sostarono nell’antica cittadina di Pitigliano per traffici e azioni militari, ebbero modo di apprezzare e gustare vini soprattutto bianchi, conservati in vasi vinari nelle profonde e fredde grotte di tufo, per le loro peculiari caratteristiche di vini abboccati, gradevolmente profumati.

Studiosi di ogni tempo riconobbero i pregi delle uve di questo territorio e l’eccellenza dei vini prodotti.

Il dott. Villafranchi-Giorgini, nel 1847, in una memoria letta alla Società Agraria Grossetana, affermava che esisteva all’Orto Botanico di Pisa un tronco di vite alto 5 braccia (metri 2,92) e della circonferenza di 4 (metri 2,30) proveniente da Valle Castagneta, cioè nell’area soranese.

Il dott. Alfonso Ademollo, in una relazione all’inchiesta parlamentare Jacini, tenendo conto della vocazione viticola della Maremma, nel 1884 affermava che tutte le varietà “vegetano bene nel nostro suolo ed a noi non mancano le uve da spremere e da mangiare, queste ultime a dovizia fornite dal Monte Argentario e dall’Isola del Giglio”.

L’Ademollo, nel fornire interessanti informazioni sulla situazione viticola della provincia, così scriveva: “La vite ha sempre allignato, fino dalle epoche più remote, nella provincia di Grosseto.

Le varietà di vite da noi conosciute e coltivate sono molte, poichè si può asserire che tutte le varietà di sì prezioso sarmento, anche le esotiche, vegetano bene nel nostro suolo……

Le vigne pure da qualche tempo si sono estese ed hanno migliorato nel proprio prodotto, ma tuttavia

anche per questo lato la provincia di Grosseto sarebbe capace di più, poichè la vite cresce benissimo e porge preziosi e squisiti grappoli in ogni parte della provincia, perchè non abbiamo veramente nè caldi nè freddi eccessivi,….. perchè dovunque trovasi terreni leggeri, permeabili, aridi nelle parti elevate, dovute a sabbie, a rocce decomposte, a detriti vulcanici e sassaie”.

Da ciò la categorica affermazione: “La provincia di Grosseto, per cinque sesti ha terreno adatto alla viticoltura”.

Parlando dei pregi e dei difetti del vino prodotto nella zona lo stesso Ademollo così si esprimeva: “II vino, questo benefico liquido che ha tanta importanza nella pubblica e privata economia, come nella pubblica e privata salute, viene prodotto dai nostri viticoltori con sempre crescente progresso e accuratezza in ogni parte della provincia di Grosseto, sia nella zona piana, che in quella montuosa, e per la bontà e quantità in alcuni Comuni è di una rendita importante ai

proprietari…… Attualmente la maggior quantità di vino viene data dai comuni di Pitigliano, Sorano, Massa Marittima e Roccastrada i quali sono pure dotati di buone Cantine per conservarlo specialmente i primi due, fabbricati come sono nella lavorabile tufa vulcanica”.

Nel periodo storico successivo, caratterizzato da due eventi bellici e da un ventennio di dittatura politica, la situazione viticola della zona pitiglianese e soranese ha seguito le sorti dell’agricoltura in genere, il cui obiettivo principale era quello di conseguire un’economia di consumo e la piena occupazione della mano d’opera.

In tale periodo, la viticoltura non era certamente florida, in quanto legata all’immobilismo, alla polverizzazione delle proprietà diretto coltivatrici e alle diffuse forme di conduzione mezzadrile, sfavorevoli all’espansione della specializzazione viticola, tanto che nella prima metà del Novecento la superficie vitata non subisce in questa zona profonde modificazioni.

Nei decenni successivi, invece, si moltiplicano le iniziative di molti proprietari – aiutate e incentivate anche dall’applicazione della riforma fondiaria e dall’opera dei tecnici agricoli – intese a sviluppare una viticoltura più razionale, anche con la diffusione di nuove cultivar nei territori collinari più facili.

Ma l’espansione viticola, se non accompagnata dal perfezionamento della tecnica vinicola e quindi della qualità dei vini prodotti, creava notevoli problemi di organizzazione e diffusione dei vini stessi, anche a causa della disponibilità di modeste partite, dalle caratteristiche poco omogenee anche se pregiate.

Un contributo decisivo alla risoluzione di questi problemi è stato dato dalla realizzazione nel 1954 della Cantina Sociale di Pitigliano, con lo scopo di raccogliere e trasformare la produzione viticola del comprensorio circostante e che rappresenta una circostanza importante per la nascita dell’industria enologica, alfine di presentare sul mercato vini uniformi, di tipo costante, migliorati nella qualità e standardizzati nella presentazione.

Più tardi, anche alcune pubblicazioni scientifiche del settore, occupandosi dei vini ottenuti su questo territorio, apportarono un contributo importante alla loro valorizzazione; “Vini tipici e pregiati d’Italia” di R. Capone, edito nel 1963, illustra proprio le caratteristiche dei vini di Pitigliano.

Furono questi i presupposti che portarono alla consapevolezza che il territorio della Maremma sud-orientale poteva aspirare al riconoscimento della denominazione di origine controllata per i vini prodotti nella zona, riconoscimento che verrà attribuito col decreto del presidente della Repubblica del 28 marzo 1966 (il sesto, in ordine cronologico, attribuito in Italia) per il vino «Bianco di Pitigliano» incentrato, per lo più, sulle uve dei vitigni Trebbiano toscano (localmente

detto Procanico), Greco, Grechetto, Malvasia bianca lunga e Verdello, al quale si sono aggiunte, quasi 25 anni dopo, le versioni Superiore e Spumante, unitamente all’inserimento di nuove varietà – per lo più internazionali – tra quelle complementari, presenti soprattutto nei nuovi impianti; infine, con la modifica del disciplinare intervenuta a novembre 2011, è stata inserita la tipologia tradizionale Vin Santo, con la contestuale semplificazione della base ampelografica

produttiva, basata sempre sul Trebbiano toscano ma con uno spazio più ampio per i vitigni complementari, tra i quali sono stati inseriti Ansonica e Viognier.

L’incidenza dei fattori umani, nel corso della storia, è riferita, in particolare, alla puntuale definizione dei seguenti aspetti tecnico-produttivi, che costituiscono parte integrante del vigente disciplinare di produzione:

base ampelografica dei vigneti:

 i vitigni idonei alla produzione del vino in questione sono quelli tradizionalmente coltivati nell’area geografica considerata, e cioè, in primis, i vitigni autoctoni Trebbiano toscano e, in minor parte, Greco, Malvasia bianca lunga, Verdello, Grechetto e Ansonica, e gli internazionali Chardonnay, Sauvignon, Viognier, Pinot bianco e Riesling italico, oltre alle varietà che concorrono eventualmente nella percentuale riservata ai vitigni

complementari;

le forme di allevamento, i sesti d’impianto e i sistemi di potatura

che, anche per i nuovi impianti, sono quelli tradizionali della zona, e cioè il Cordone speronato orizzontale e il Guyot

singolo o a doppia palmetta, tali da perseguire la migliore e razionale disposizione sulla superficie delle viti; ciò sia per agevolare l’esecuzione delle operazioni colturali con un aumento della meccanizzazione, sia per gestire la razionale gestione della chioma, consentendo di ottenere un’adeguata superficie fogliare ben esposta e, al contempo, di perseguire un contenimento delle rese di produzione di vino entro i limiti fissati dal disciplinare, rapportate a una densità minima di 3.000 piante per ettaro, il che consente di ottenere una buona competizione fra le piante (87,5

hl/ha per il tipo “base” e lo spumante, che scende a 77 per la tipologia Superiore e a 43,75 hl/ha per il Vin Santo);

le pratiche relative alla elaborazione dei vini,

che sono quelle tradizionalmente consolidate in zona per la vinificazione in bianco dei vini tranquilli, adeguatamente differenziate per la tipologia di base e la tipologia Superiore, riferita a un bianco maggiormente strutturato, ottenuto

da uve con un titolo alcolometrico volumico totale minimo più elevato di un grado rispetto al tipo “base”; di tradizione consolidata è anche l’elaborazione del vino spumante, facilitata dalla frequente presenza di cantine naturalmente scavate nel tufo che consentono il mantenimento di temperature ottimali anche per l’elaborazione di questo vino, e la produzione di vini ottenuti con la tradizionale tecnica del “vinsanto”, utilizzando uve sottoposte a un’accurata cernita e fatte appassire in locali idonei, per essere successivamente conservate e invecchiate in tradizionali caratelli per un periodo adeguato.

 

B) Informazioni sulla qualità o sulle caratteristiche del prodotto essenzialmente o esclusivamente attribuibili all’ambiente geografico.

La DOC «Bianco di Pitigliano» è riferita alla tipologia Bianco “di base”, al tipo Spumante, a quello con menzione “Superiore” e alla tipologia Vin Santo, le quali, dal punto di vista analitico e organolettico, presentano caratteristiche molto evidenti e peculiari, descritte all’articolo 6 del disciplinare, che ne permettono una chiara individuazione e tipicizzazione legata all’ambiente geografico.

In particolare, tutti i vini presentano un modesto tenore di acidità, leggermente più elevato, come logico, nella tipologia Spumante.

I vini bianchi “tranquilli” si presentano generalmente con un colore paglierino con tonalità più o meno intense, talora con riflessi verdolini, un profumo tendenzialmente fine e delicato, talvolta con note fruttate e floreali, la cui ricchezza è in funzione della percentuale delle varietà a bacca bianca complementari eventualmente utilizzate (fino al 60%), in primis Greco, Grechetto, Sauvignon, Viognier e Chardonnay, in rapporto al Trebbiano toscano presente (minimo 40%),

mentre al gusto si presentano asciutti, freschi, di media corposità, morbidi, con un fondo leggermente amarognolo; nella tipologia che si fregia della qualifica “Superiore” il colore tende al giallo paglierino, mentre l’intensità del profilo aromatico aumenta e aumenta la sua complessità ed eleganza, e al palato si amplia la sensazione di lunghezza e di corpo; queste caratteristiche sono direttamente influenzate, infatti, dalla qualità delle uve, ed è per questi motivi che il disciplinare stabilisce una resa inferiore e una gradazione minima naturale più elevata rispetto al tipo “base”. Il vino Spumante si presenta con un colore paglierino con riflessi verdolini, profumo delicato, con sentore di crosta di pane soprattutto nelle versioni con rifermentazione in bottiglia, mentre al palato è acidulo, fresco, con fondo leggermente

amarognolo, più o meno morbido e rotondo a seconda delle versioni prodotte, da dosaggio zero (decisamente asciutta) a extra-dry, più morbida e vellutata.

La tipologia Vin Santo si presenta con un colore dal paglierino, all’ambrato fino al bruno, un profumo ricco e complesso, etereo, intenso, con evidenti note di frutta matura, di uva passa e candita, mentre al gusto denota sensazioni vellutate, rotonde, con una notevole ampiezza, lunghezza e persistenza.

 

C) descrizione dell’interazione causale fra gli elementi di cui alla lettera A) e quelli di cui alla lettera B).

L’orografia collinare e pedecollinare della zona di produzione, nel lembo sud-orientale della provincia di Grosseto, nell’intero territorio comunale di Pitigliano e di Sorano e in parte di quello di Manciano e Scansano, con una quota media intorno a 310 metri s.l.m., una pendenza media del 5%, una esposizione che da nord-est degrada verso sud-ovest (media a sud-est), per il particolare beneficio delle sue colline protette dai venti freddi del nord e aperte alle brezze marine ma con una buona ventilazione durante tutto l’anno, concorrono a determinare un ambiente areato, luminoso e con un suolo naturalmente sgrondante dalle acque reflue, particolarmente vocato per la coltivazione della vite.

Anche la tessitura e la struttura chimico-fisica dei terreni interagiscono in modo determinante con la coltura della vite, contribuendo all’ottenimento delle peculiari caratteristiche fisico chimiche e organolettiche dei vini «Bianco di Pitigliano».

In particolare, i terreni, caratterizzati da formazioni costituite prevalentemente da rocce effusive e vulcanoclastiche (marnose, marnoso-pelitiche e pelitiche a ovest del fiume Fiora, conglomerati di sabbia, detriti fluviali, ciottoli con argille e sabbia nella fascia collinare a ovest di Manciano e verso Scansano), presentano un’elevata profondità utile per lo sviluppo radicale, una buona capacità di drenaggio e una moderata capacità di acqua disponibile, condizioni tali da consentire un buon sviluppo vegeto-produttivo delle coltivazioni arboree.

Sono terreni per lo più franchi, tufacei, più o meno ricchi di scheletro, sub-acidi o neutri, privi di carbonati, tendenzialmente aridi, ricchi di potassio e poveri di fosforo assimilabile, con discreta dotazione di sostanza organica, che presentano, perciò, una spiccata attitudine alla coltivazione della vite e, per tali ragioni, risultano pienamente idonei a una vitivinicoltura di qualità, in particolare se coltivati con l’ausilio di pratiche agronomiche e gestionali dei suoli corrette (quali potatura verde e alta densità di impianto) e basse rese produttive.

Anche il clima della zona di produzione, caratterizzato da una buona piovosità (media intorno ai 780-840 mm/anno), con scarse piogge estive (intorno ai 90-100 mm) e una certa aridità nei mesi di luglio e agosto – tanto da far riscontrare lievi stress idrici nelle fasi che precedono la maturazione dell’uva –, da ottimi valori dell’indice bioclimatico di Huglin (tra 2100 e 2500°Cgiorno), da una buona temperatura media annuale (14,5-15°C), unita a una ventilazione sempre presente anche nel periodo primaverile-estivo grazie alle brezze di Maestrale che soffiano nelle ore più calde della giornata, contribuendo a regolare le temperature e a creare un ambiente sfavorevole alle malattie parassitarie, il tutto unito a una temperatura piuttosto elevata, con ottima insolazione nei mesi di settembre-ottobre e buone escursioni termiche tra giorno e notte, consente alla vite di ottenere un giusto equilibrio vegetativo, permettendo una lenta, graduale e ottimale maturazione fisiologica delle uve, contribuendo in maniera significativa alle particolari

caratteristiche organolettiche dei vini «Bianco di Pitigliano».

La millenaria storia vitivinicola riferita al territorio della Maremma sud-orientale, dall’epoca etrusca a quella romana, al medioevo, fino ai giorni nostri, attestata da numerosi documenti, citazioni e testimonianze storiche, è la prova fondamentale della stretta connessione e interazione tra i fattori umani e la qualità e le caratteristiche peculiari dei vini «Bianco di Pitigliano».

È la testimonianza, perciò, di come l’intervento dell’uomo in questo particolare territorio abbia tramandato, nel corso dei secoli, le tecniche tradizionali di coltivazione della vite ma anche le rituali prassi enologiche, le quali, tuttavia, in epoca moderna, sono state migliorate e affinate, grazie all’indiscutibile progresso scientifico e tecnologico, fino ad ottenere i vini «Bianco di Pitigliano», le cui caratteristiche peculiari sono specificamente descritte all’articolo 6 del

disciplinare di produzione.

In particolare, questa parte di territorio della Maremma grossetana era noto come la “Civiltà del Tufo”, caratterizzata da antichi insediamenti di origine etrusca: parlare di presupposti viticoli etruschi in questa zona appare, perciò, ovvio, tali e tante sono le testimonianze (vasellame e pithoi reperiti in molte delle aree archeologiche presenti sul territorio, e le stesse vecchie cantine in gallerie scavate nel tufo anche all’interno della città di Pitigliano, ne sono una prova), che

continuano in epoca romana fino al medioevo, nel corso del quale la vite acquistò particolare importanza come pianta colonizzatrice, tanto che governanti e feudatari riconobbero la necessità di concedere terre adatte per questa coltura e di stabilirne la protezione con apposite norme statutarie.

La vocazione vitivinicola, però, appare più tardi, con gli Aldobrandeschi nel primo medioevo; era questa una famiglia di origine certa longobarda che impostò la propria contea attorno al Castello di Santa Fiora e dominò queste contrade fino al 1439, quando la Contea passò agli Sforza.

Furono numerosi gli studiosi di epoche successive che riconobbero i pregi delle uve di questo territorio e l’eccellenza dei vini prodotti, e non mancarono le testimonianze di chi, attraversando il territorio pitiglianese, rimase colpito dai vini qui ottenuti, soprattutto bianchi, conservati in vasi vinari nelle profonde e fredde grotte di tufo.

Alla fine del 1500, Bacci, descrivendo queste campagne “…situate nel cuore dell’Etruria” segnala, oltre ai vini rossi prodotti nel territorio scansanese, anche i bianchi, mescolati con dolci moscatelli, com’era di moda all’epoca.

Tre secoli più tardi, il dott. Villafranchi-Giorgini (1847) cita un tronco di vite di dimensioni eccezionali proveniente da Valle Castagneta, nella zona di Sorano, a conferma che la viticoltura aveva tradizioni centenarie già a quel tempo. Giacomo Barabino (1884) si sofferma sulla eccellente qualità dei vini prodotti nelle zone di Magliano, Pereta, Scansano, Manciano, Pitigliano e Sorano, già a quel tempo tra le più significative della provincia.

Tra le testimonianze più significative ed esaurienti, quelle del dott. Alfonso Ademollo, riconducibili a una relazione

all’inchiesta parlamentare Jacini (1884), si soffermano lungamente sulla vocazione viticola della Maremma esprimendosi in modo molto positivo, tanto da affermare che il vino è prodotto in ogni parte della provincia, sia in aree pianeggianti che montuose, citando come zone di maggiore produzione i territori dei comuni di Massa Marittima, Roccastrada, Pitigliano e Sorano, gli ultimi due dotati anche di buone cantine per la conservazione.

In tutti questi secoli, lo sviluppo dell’agricoltura di questo lembo di Maremma è sempre stato accompagnato da un’affermazione della viticoltura e, di pari passo, da una forte valenza della tradizione vinicola, spesso perpetrata dai monaci benedettini nei periodi più bui del basso medioevo, e oggi ancora riscontrabile percorrendo il territorio, dove non di rado è possibile trovare vecchie cantine scavate direttamente nel tufo già al tempo degli etruschi e dei romani e, in parte, ancora oggi utilizzate, come accade a Pitigliano e Sorano.

Tra gli aspetti più particolari che legano i rinomati vini bianchi ottenuti in queste terre con la comunità pitiglianese, deve essere segnalata la produzione, da tantissimi anni, di un vino Kasher destinato al consumo delle comunità ebraiche italiane ed estere; si tratta proprio di un Bianco di Pitigliano preparato secondo le regole della religione ebraica, che proprio a Pitigliano può vantare una presenza millenaria, come conferma il quartiere ebraico del Ghetto conosciuto come “Piccola Gerusalemme”, ove si trova la Sinagoga fondata nel lontano 1598.

All’inizio del XX° secolo, la viticoltura in provincia di Grosseto, come in altre aree del Paese, conobbe un periodo di crisi, con una polverizzazione delle proprietà diretto coltivatrici e diffuse forme di conduzione mezzadrile ma, con i decenni successivi, si moltiplicarono le iniziative di molti proprietari intese a sviluppare una viticoltura più moderna e razionale, anche con l’innesto di nuove cultivar.

Col trascorrere degli anni, la nascita della Cantina Sociale di Pitigliano nel lontano 1954 e il contributo proveniente dall’attività di sperimentazione e di studio condotta sul territorio dalle istituzioni pubbliche e dalle aziende private, si crearono i presupposti per richiedere il riconoscimento della denominazione di origine controllata per il Bianco di

Pitigliano (sarà il sesto vino italiano a fregiarsi della Doc), col decreto presidenziale del 28 marzo 1966, incentrato sul vitigno tradizionale Trebbiano toscano o Procanico, accompagnato dalle altre varietà Greco, Grechetto, Malvasia bianca lunga e Verdello.

Ma l’attività di sperimentazione e di studio su varietà di vite diverse dal Trebbiano toscano e su metodi di vinificazione più innovativi, non si interruppe col riconoscimento della denominazione di origine, semmai si fece più dinamica, tanto che, grazie anche all’impianto di nuovi vigneti e alla nascita di nuove aziende, i risultati emersi convinsero i produttori dell’area del Bianco di Pitigliano (quasi 25 anni dopo il riconoscimento della Doc), che era necessario aggiornare il

disciplinare di produzione, inserendo la versione Spumante e la tipologia Superiore e, tra le varietà complementari, nuovi vitigni più internazionali, come Chardonnay, Sauvignon, Pinot bianco e Riesling; dopo circa 10 anni, infine, la necessità di presentare vini più freschi e profumati e maggiormente strutturati, convinse i produttori che era necessario ridurre la presenza del Trebbiano toscano, introducendo nuove varietà come il Viognier e l’Ansonica, e inserendo anche la tipologia tradizionale Vin Santo, il che è stato sancito con la modifica del disciplinare intervenuta col decreto ministeriale 22.11.2011.

 

Articolo 10

Riferimenti alla struttura di controllo

 

Nome e indirizzo:

Valoritalia società per la certificazione delle qualità e delle produzioni vitivinicole italiane s.r.l.

Via Piave, 24

00187 Roma

Tel. : 0445 313088

Fax : 0445 313080

Mail: info@valoritalia.it

Valoritalia società per la certificazione delle qualità e delle produzioni vitivinicole italiane s.r.l. è l’Organismo di controllo autorizzato dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 61/2010 che effettua la verifica annuale del rispetto delle disposizioni del presente disciplinare, conformemente all’art. 25, paragrafo 1, 1° capoverso, lettere a) e c), ed all’art. 26 del Regolamento CE n. 607/2009, per i prodotti beneficianti della DOP, mediante una metodologia dei controlli sistematica nell’arco dell’intera filiera produttiva (viticoltura, elaborazione, confezionamento), conformemente al citato art. 25, paragrafo 1, 2° capoverso, lettera c).

In particolare, tale verifica è espletata nel rispetto di un predeterminato piano dei controlli, approvato dal citato Ministero, conforme al modello approvato col DM 2 novembre 2010, pubblicato in G.U. n. 271 del 19-11-2010 (Allegato 3) in applicazione del Decreto legislativo n. 61/2010.

Nel dettaglio il piano prevede il 100% del controllo documentale su tutti gli utilizzatori della filiera vitivinicola, e un controllo di tipo ispettivo annuo, a campione, su una percentuale minima degli utilizzatori che può essere così sintetizzata:

15% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Viticoltore, in ordine alla verifica della persistenza delle condizioni per l’idoneità alla DO della superficie coltivata ed alla verifica del rispetto delle disposizioni di tipo agronomico impartite dal disciplinare; tale percentuale è comprensiva della verifica ante-vendemmia per accertare il rispetto della resa massima di uva/ettaro pari al 10% delle aziende;

10% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Centro intermediazione delle uve atte alla vinificazione, in ordine alla verifica della corrispondenza quantitativa del prodotto detenuto con riscontro ai relativi documenti di accompagnamento inerenti al trasporto uve ed ai registri di cantina, nonché alla rispondenza ai requisiti previsti dal disciplinare di produzione;

15% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Vinificatore, in ordine alla verifica della corrispondenza quantitativa del prodotto a DOP e atto a DOP detenuto con quanto annotato sui registri di carico e scarico e con quanto risulta sui relativi documenti di accompagnamento, nonché della conformità delle operazioni tecnologiche effettuate sui prodotti alle disposizioni impartite dal disciplinare;

7% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Vinificatore, con prelievo di campioni ai fini della verifica del titolo alcolometrico minimo previsto per la detenzione del prodotto in cantina nella relativa fase di elaborazione;

10% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Aziende di acquisto/vendita di vini sfusi atti a DOP o certificati DOP, in ordine alla verifica della corrispondenza quantitativa del prodotto detenuto con riscontro ai relativi documenti di accompagnamento inerenti al trasporto del vino ed ai registri di cantina;

20% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Imbottigliatore, in ordine alla verifica della corrispondenza quantitativa del prodotto a DOP e atto a DOP detenuto con quanto annotato sui registri di carico e scarico e con quanto risulta sui relativi documenti di accompagnamento, nonché della corrispondenza quantitativa del prodotto detenuto e del corretto uso della denominazione di origine;

7% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Imbottigliatore, con prelievo di campioni da effettuarsi sul vino a DOP già confezionato per verificare la corrispondenza del vino imbottigliato destinato al consumo con la certificazione di idoneità.

Inoltre, il piano dei controlli prevede un controllo di tipo analitico sistematico sul prodotto atto a DOP detenuto dal soggetto vinificatore e/o dal soggetto identificabile con le aziende di acquisto/vendita di vini sfusi atti a DOP o certificati DOP e/o dal soggetto imbottigliatore, prima dell’immissione al consumo, che si realizza mediante il prelievo di campioni da inoltrare alle Commissioni di degustazione ed a un Laboratorio di analisi autorizzato dal Ministero delle

politiche agricole, alimentari e forestali per i successivi esami chimico-fisico e organolettico e con la verifica della rispondenza quantitativa dei prodotti detenuti.

 

 

 

Allegato

Elenco dei comuni e delle frazione e località

 

Elenco dei Comuni:

- Sorano

- Manciano

 

Elenco delle Frazioni e delle località:

nel comune di Pitigliano:

- Casone

- Collina

- Conatelle

- Filetta

- La Rotta

- La Prata

- Malpasso

- Il Piano

- Valle Palombata

- Corano

- Bagnolungo

- Fratenuti

- Felcetoni

- San Martino – Madonna delle Grazie

- Pietramora

- Poggio Grillo

- Porcile – Vallelunga

- Crocignano

- Naioli

- Vallebuia

- Bellavista

- Belvedere

- Poggio Lombardello

- Gradone

- Selvicciola

- Trigoli

- Vacasio

- Doganella

- Annunziata

- Fiora – Meletello

- Poggio Rota

- Rusceti

- San Pietro

- Turiano

- Valle Morta

- Valle Orsaia

- Formica

- Poggio Cavalluccio

- Rimpantoni

- Roccaccia

- Rompicollo

- Pantano

- Poggio lepre

- Ortale

- Sconfitta

- Vuglico

- Pian di Morrano

- Bottinello

- Ornelleta

- Pantalla

- Pian D’Arciano

- Porcarecce

- Ripignano

- Spinicci

- Insuglieti – Le Sparne

nel comune di Sorano:

- Filetta

- Vignamurata

- Pian di Conati

- Elmo

- Montebuono

nel comune di Manciano:

- Montemerano

- Saturnia

- Marsiliana

- Poggio Murella

- Poggio Fuoco

- San Martino

 

N.B. fa fede solo il testo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

VIGNETI CAPALBIO

VIGNETI CAPALBIO

 

CAPALBIO

D.O.C.

Decreto 24 novembre 2011

(fonte GURI)

Modifica Decreto 30 novembre 2011

(fonte Mipaaf)

Modifica Decreto 12 luglio 2013

(fonte GURI)

 

Articolo 1

Denominazione e vini

 

La Denominazione di Origine Controllata «Capalbio»  è  riservata  ai vini che rispondono alle condizioni ed  ai  requisiti  stabiliti  dal presente disciplinare di produzione per le seguenti tipologie: 

 

rosso (anche nella tipologia riserva);

bianco;

rosato;

Vermentino;

Sangiovese;

Cabernet sauvignon;

Vin Santo.

 

Articolo 2

Base ampelografica

 

I vini di cui all'art. 1 devono essere ottenuti  dalle  uve  prodotte dai vigneti aventi, nell'ambito aziendale, la  seguente  composizione ampelografica:

 

«Capalbio» rosso, rosato e rosso riserva:

Sangiovese minimo 50%;

possono concorrere alla produzione di detti vini, fino a  un  massimo del 50%, le uve a bacca rossa, non aromatiche, provenienti  da  altri vitigni idonei alla coltivazione per la Regione Toscana iscritti  nel registro nazionale delle varietà di vite per uve da  vino  approvato con decreto ministeriale 7 maggio  2004,  pubblicato  nella  Gazzetta Ufficiale n. 242 del 14 ottobre 2004,  e  da  ultimo  aggiornato  con decreto  ministeriale  22  aprile  2011  pubblicato  nella   Gazzetta

Ufficiale n. 170 del 23 luglio 2011.

 

«Capalbio» bianco e Vin Santo:

Trebbiano toscano minimo 50%.

Possono concorrere alla produzione di detti vini, fino a  un  massimo del 50%, le uve a bacca bianca, non aromatiche, provenienti da  altri vitigni idonei alla coltivazione per la Regione Toscana iscritti  nel registro nazionale delle varietà di vite per uve da  vino  approvato con decreto ministeriale 7 maggio  2004,  pubblicato  nella  Gazzetta Ufficiale n. 242 del 14 ottobre 2004,  e  da  ultimo  aggiornato  con decreto  ministeriale  22  aprile  2011  pubblicato  nella Gazzetta Ufficiale n. 170 del 23 luglio 2011.

 

«Capalbio» Vermentino:

il vino deve essere ottenuto da uve prodotte dai vigneti composti dal vitigno

Vermentino per almeno l'85%;

possono concorrere alla produzione di detto vino, fino a  un  massimo del 15%, le uve a bacca bianca, non aromatiche, provenienti da  altri vitigni idonei alla coltivazione per la Regione Toscana.

 

«Capalbio» Sangiovese:

il vino deve essere ottenuto da uve prodotte dai vigneti composti dal vitigno

Sangiovese per almeno l'85%;

possono concorrere alla produzione di detto vino, fino a  un  massimo del 15%, le uve a bacca rossa, non aromatiche, provenienti  da  altri vitigni idonei alla coltivazione per la Regione Toscana.

 

«Capalbio» Cabernet Sauvignon:

il vino deve essere ottenuto da uve prodotte dai vigneti composti dal vitigno

Cabernet Sauvignon per almeno l'85%.

Possono concorrere alla produzione di detto vino, fino a  un  massimo del 15%, le uve a bacca rossa, non aromatiche, provenienti  da  altri vitigni idonei alla coltivazione per la Regione Toscana.

 

Articolo 3

Zona di produzione delle uve

 

La zona di produzione delle uve  atte  alla  produzione  dei  vini  a Denominazione di Origine Controllata «Capalbio»,  ricade  nella  zona collinare e pedecollinare dell'area sud della provincia di Grosseto

E comprende parte dei territori amministrativi dei comuni di 

Capalbio, Manciano, Magliano e Orbetello.

La linea di delimitazione inizia  a  Sud  dal  punto  d'incontro  del confine comunale del comune di Capalbio con la ferrovia Grosseto-Roma e risale (in senso anti orario) ad Est e quindi a  Nord  lungo  detto confine comunale, entra poi nel comune di Manciano seguendo la strada di bonifica n. 28 fino ad immettersi, in località Sgrillozzo,  sulla strada statale n. 74, che percorre fino alla  curva  di  casa  Poggio Lepraio.

Prosegue poi con la strada di bonifica n. 19, che passa  per Casalnuovo e casa Pinzuto e quindi con la strada di bonifica  n.  17, passante per casa del Lasco fino al fiume Albegna.

Da qui il  confine segue il corso del fiume Albegna fino  al  guado  della  Marianaccia, deviando ad Ovest, entra nel comune di Magliano in Toscana,  percorre la strada di Colle Lupo fino al Molino Vecchio, risale a Nord-Est per la strada di S. Andrea al Civilesco,  discende  verso  Sud  lungo  la strada Magliano in Toscana-Barca del Grazi, devia  ad  Ovest  per  la strada dell'Osa.

Prosegue lungo il limite comunale  di  Magliano  in Toscana fino ad incontrare la ferrovia Grosseto-Roma  in  prossimità della Fattoria del Collecchio, segue detta ferrovia verso Sud fino ad incontrare la SP 81 in prossimità del fiume Osa e la  percorre  sino ad oltrepassare il podere n. 39 e devia a Sud-Est lungo la strada che porta a S. Donato centro.

Aggira parte del centro in senso antiorario e prosegue in direzione Sud-Ovest lungo la  strada  che  costeggia  i

poderi n. 23, n. 24 e n. 20 e si immette sulla SP 56  in  prossimità del podere n. 26 passando per S. Donato e la percorre sino  al  ponte sul fiume Albegna in prossimità della Barca del Grazi; segue  quindi il corso del fiume risalendolo fino al centro agricolo dell'Alberone, scende verso Sud lungo la strada interpoderale che conduce alla SS 74

maremmana, si immette su di essa dirigendosi verso la costa tirrenica fino ad incrociare la linea ferroviaria  Grosseto-Roma  che  percorre sino al punto di partenza.

 

Articolo 4

Norme per la viticoltura

 

Le condizioni ambientali e di  coltura  dei  vigneti  destinati  alla produzione dei vini a Denominazione di Origine Controllata «Capalbio» devono essere quelle tradizionali  della  zona  e  comunque  tali  da conferire alle uve ed ai vini derivati le specifiche  caratteristiche di qualità.

Per i nuovi impianti ed i reimpianti la densità media dei ceppi  non può essere inferiore a 3.300 piante per ettaro.

Le uve provenienti da vigneti iscritti all'albo  della  Denominazione di Origine  Controllata  «Capalbio»  possono  essere  destinate  alla produzione dei vini a Denominazione di Origine Controllata «Capalbio» Vin  Santo,  qualora  i  produttori  interessati  optino per tale rivendicazioni in sede di  denuncia  annuale  delle  uve  fatta  alla competente camera di commercio.

I sesti di impianto, le forme di allevamento e i sistemi di  potatura devono essere quelle tradizionali della zona e, comunque, atte a  non modificare le caratteristiche delle  uve  e  del  vino. 

I  sesti  di impianto sono adeguati alle forme di allevamento.

La regione può consentire altre forme di allevamento  qualora  siano tali da migliorare la gestione dei vigneti senza determinare  effetti negativi sulle caratteristiche delle uve.

E' vietata ogni pratica di forzatura.

E' consentita l'irrigazione  di soccorso.

La produzione massima di uva ad  ettaro  e  il  titolo  alcolometrico volumico minimo naturale sono le seguenti:

 

Rosso: 11,00 t/ha, 10,50% vol.;

Rosso riserva: 11,00 t/ha, 11,50% vol.;

Sangiovese: 11,00 t/ha, 11,50% vol.;

Cabernet Sauvignon: 11,00 t/ha, 11,50% vol.;

Rosato: 11,00 t/ha, 10,00% vol.;

Bianco: 11,50 t/ha, 10,00% vol.;

Vin Santo (prima dell’appassimento): 11,50 t/ha, 10,00% vol.;

Vermentino: 11,50 t/ha, 10,50% vol.

 

A detti limiti, anche in annate eccezionalmente favorevoli,  la  resa dovrà essere riportata attraverso una accurata  cernita  delle  uve, purché la produzione non superi del 20%  i  limiti  medesimi,  fermi restando i limiti resa uva/vino per i quantitativi di cui trattasi.

Fermi restando i limiti di cui sopra, la resa per ettaro di vigneto a coltura  promiscua  deve  essere   calcolata,   rispetto   a   quella specializzata, in rapporto alla effettiva  superficie  coperta  dalla vite. 

La  Regione  Toscana,  con   proprio   Decreto,   sentite   le organizzazioni di categoria interessate, di anno in anno, prima della vendemmia,  tenuto   conto   delle   condizioni   ambientali   e   di coltivazione,  può  stabilire  un  limite  massimo   di   produzione rivendicabile di uva  per  ettaro  inferiore  a  quello  fissato  dal presente disciplinare di produzione, dandone immediata  comunicazione al competente Organismo di controllo.

 

Articolo 5

Norme per la vinificazione

 

Le operazioni di vinificazione, di appassimento delle uve e di invecchiamento obbligatorio dei vini a Denominazione  di  Origine Controllata «Capalbio» devono  essere  effettuate  nell'ambito  della zona di produzione di cui all'art. 3.

L'imbottigliamento deve essere effettuato nell'ambito del  territorio amministrativo della Provincia di Grosseto.

Nella vinificazione ed  elaborazione  dei  vini  a  Denominazione  di Origine  Controllata  «Capalbio»  devono  essere  seguiti  i  criteri tecnici più razionali ed effettuate le pratiche  enologiche  locali, leali e costanti atte a conferire ai vini medesimi le loro  peculiari caratteristiche.

E' consentito l'arricchimento dei mosti e dei vini di cui all'art. 1, fatta eccezione per la tipologia "Vin Santo", nei limiti e condizioni stabilite dalle norme comunitarie e nazionali, con mosto concentrato, mosto  concentrato  rettificato  o  a  mezzo  di   altre   tecnologie consentite.

La  tipologia  «Capalbio» rosato deve essere ottenuta con la vinificazione «in rosato» delle uve a bacca rossa.

La  resa  massima  dell'uva  in  vino,  all'atto  dell'immissione  al consumo, compresa l'eventuale aggiunta  correttiva  e  la  produzione massima di vino per ettaro sono le seguenti:

 

Rosso, Rosso riserva e Rosato: 70%, 77,00 hl/ha;

Sangiovese e Cabernet Sauvignon 70%, 77,00 hl/ha;

Bianco: 70%, 80,50 hl/ha;

Vermentino 70%, 80,50 hl/ha;

Vin Santo 35 (al terzo anno di invecchiamento) 40%, 25,00 hl/ha.

 

Qualora la resa uva/vino superi il limite sopra indicato, ma  non  il 75% (40% per la tipologia "Vin Santo"), anche  se  la  produzione  ad ettaro resta al di sotto del limite massimo  consentito,  l'eccedenza non ha diritto alla Denominazione di Origine  Controllata. 

Oltre  il 75% (40% per la  tipologia  "Vin  Santo"),  decade  il  diritto  alla Denominazione di Origine Controllata per tutto il prodotto.

Il vino a Denominazione  di  Origine  Controllata  «Capalbio»  rosso, sottoposto ad invecchiamento

per un periodo non inferiore a 24  mesi,

di cui almeno 6 in botti di legno, 

ha  diritto  alla  qualificazione

"riserva".

Per i seguenti vini l'immissione al consumo e' consentita soltanto  a partire dalla data per ciascuno di essi di seguito indicata:

 

Bianco, Rosato e Vermentino: 31 dicembre (anno di produzione delle uve)

Rosso: 1° febbraio (anno successivo alla vendemmia)

Sangiovese e Cabernet Sauvignon: 1° marzo (anno successivo alla vendemmia)

Rosso Riserva: 1° giugno (terzo anno successivo alla vendemmia)

 

 

Per  la  produzione  della  tipologia   «Capalbio»   Vin   Santo   il tradizionale metodo di vinificazione prevede quanto segue:

l'uva, dopo aver subito un'accurata cernita, deve  essere  sottoposta ad appassimento naturale;

l'appassimento delle uve deve avvenire in locali idonei;

è ammessa una parziale disidratazione con  aria  ventilata 

e  l'uva deve raggiungere, prima dell'ammostatura, un contenuto zuccherino non inferiore al 26,6  %;

la conservazione e l'invecchiamento deve avvenire  in  recipienti  di legno di capacità non superiore a 300 litri per un periodo minimo di

24 mesi

a decorrere dal 1° gennaio successivo all'anno di raccolta;

l'immissione al consumo non può avvenire prima del

1°  novembre  del terzo anno successivo a quello di produzione delle uve;

al termine del periodo di invecchiamento il prodotto  deve  avere 

un titolo alcolometrico volumico totale minimo del 16,00% vol.

 

Articolo 6

Caratteristiche al consumo

 

I vini a Denominazione di Origine Controllata  «Capalbio»  all'atto dell'immissione al consumo devono rispondere alle seguenti caratteristiche:

 

«Capalbio» rosso:

colore: rosso rubino più o meno intenso;

profumo: vinoso caratteristico;

sapore: armonico, asciutto, giustamente tannico;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.;

acidità totale minima: 5,00 g/l;

estratto non riduttore minimo: 20,00 g/l.

 

«Capalbio» Sangiovese:

colore: rosso rubino più o meno intenso;

profumo: ampio, vinoso;

sapore: pieno, secco, giustamente tannico;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol.;

acidità totale minima: 5,00 g/l;

estratto non riduttore minimo: 22,00 g/l.

 

«Capalbio» rosato:

colore: rosa più o meno intenso;

profumo: vinoso, fruttato, fresco;

sapore: asciutto, fruttato, caratteristico;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,50% vol.;

acidità totale minima: 5,00 g/l;

estratto non riduttore minimo: 16,00 g/l.

 

«Capalbio» Cabernet Sauvignon:

colore: rosso talvolta con riflessi violacei;

profumo: vinoso con note speziate tipiche;

sapore: corposo, asciutto, sapido, giustamente tannico;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol.;

acidità totale minima: 5,00 g/l;

estratto non riduttore minimo: 22,00 g/l.

 

«Capalbio» rosso riserva:

colore: rosso rubino piu' o meno intenso tendente  al  granato  con l'invecchiamento;

profumo: ampio, vinoso;

sapore: armonico, asciutto, sapido, giustamente tannico;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol.;

acidità totale minima: 5,00 g/l;

estratto non riduttore minimo: 22,00 g/l.

 

«Capalbio» bianco:

colore: giallo paglierino scarico;

profumo: delicato, fresco, fruttato;

sapore: asciutto;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,50% vol.;

acidità totale minima: 5,00 g/l;

estratto non riduttore minimo: 15,00 g/l.

 

«Capalbio» Vermentino:

colore:  giallo  paglierino  più o meno intenso, talvolta con riflessi verdognoli;

profumo: delicato, caratteristico e fruttato;

sapore: asciutto, sapido;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.;

acidità totale minima: 5,00 g/l;

estratto non riduttore minimo: 15,00 g/l.

 

«Capalbio» Vin Santo:

colore: dal giallo dorato fino all'ambrato intenso;

profumo: etereo, intenso e caratteristico;

sapore: armonico, vellutato, con più pronunciata rotondità per il tipo amabile;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 16,00% vol.;

titolo alcolometrico volumico svolto minimo: 12,00 % vol.;

acidità totale minima: 5,00 g/l;

estratto non riduttore minimo: 21,00 g/l;

acidità volatile massima: 30 meq/l.

 

E' facolta' del Ministero  delle  politiche  agricole,  alimentari  e forestali, modificare con proprio  Decreto,  i  limiti  minimi  sopra menzionati per l'acidità  totale  e  per  l'estratto  non  riduttore minimo.

In relazione all'eventuale conservazione in recipienti  di  legno  il sapore dei vini può rivelare lieve sentore di legno.

 

Articolo 7

Etichettatura, designazione e presentazione

 

Nella etichettatura, designazione e presentazione  dei  vini  di  cui all'art. 1 è vietata l'aggiunta di qualsiasi qualificazione  diversa da quelle  previste  dal  presente  disciplinare,  ivi  compresi  gli aggettivi "extra", "fine", "scelto", "selezionato" e "similari".

E' tuttavia consentito l'uso di indicazioni che facciano  riferimento a nomi, ragioni sociali  e  marchi  privati  non  aventi  significato laudativo e non idonei a trarre  in  inganno  il  consumatore. 

Nella designazione  dei  vini  a  Denominazione  di   Origine   Controllata «Capalbio» di  cui  all'art.1  può  essere  utilizzata  la  menzione "vigna" a condizione che sia seguita dal  relativo  toponimo  o  nome tradizionale,

che  la  vinificazione  e  la  conservazione  del  vino avvengano in recipienti separati

e che  tale  menzione,  seguita  dal relativo toponimo o nome  tradizionale,  venga  riportata  sia  nella denuncia  delle  uve,  sia  nei   registri   e   nei   documenti   di accompagnamento e che figuri nell'apposito elenco regionale ai  sensi

dell'art. 6 comma 8, del decreto legislativo n. 61/2010.

E' obbligatoria l'indicazione dell'annata in etichetta per  tutte  le tipologie di vino.

 

Articolo 8

Confezionamento

 

Per  il  confezionamento  dei  vini  a   Denominazione   di   Origine Controllata «Capalbio» sono ammessi  tutti  i  recipienti  di  volume nominale  autorizzati  dalla  normativa  vigente,  ivi   compresi   i contenitori alternativi al vetro costituiti da un otre  in  materiale plastico pluristrato di polietilene  e  poliestere  racchiuso  in  un involucro di cartone o di altro materiale rigido.

Per  la  tappatura  dei  vini,  allorquando  siano  confezionati   in bottiglie  di  vetro,  può  essere  utilizzata  qualsiasi  tipo   di chiusura, escluso il  tappo  a  corona  per  bottiglie  di  capacità nominale superiore a 375 ml.

Tuttavia, per le tipologie «Capalbio» Vin Santo  e  «Capalbio»  rosso riserva, e per quelle recanti la  menzione  "vigna"  sono  consentite soltanto bottiglie di vetro di volume nominale fino a 3 litri  e  con chiusura a tappo di sughero raso bocca.

 

Articolo 9

(Legame con l’ambiente geografico)

 

A) Informazioni sulla zona geografica

A.1. Fattori naturali rilevanti per il legame.

La zona geografica delimitata ricade nella parte meridionale della regione Toscana e, in particolare, nella zona collinare e pedecollinare dell’area sud della provincia di Grosseto, comprendendo parte dei territori amministrativi dei comuni di Capalbio, Manciano, Magliano e Orbetello.

Il territorio è costituito da rilievi di bassa e media collina a pendenza media e alta, i cui terreni, relativamente all’origine geologica, sono caratterizzati da formazioni prevalentemente calcaree, anidritiche e gessose, la cui quota media è di 128 metri s.l.m. con una pendenza dell’11,00%.

A sud di Capalbio si rinvengono terrazzi e ripiani di bassa quota a debole pendenza, su depositi alluvionali a granulometria mista e sedimenti marini sabbiosi, la cui quota media è di 97 metri s.l.m., con una pendenza del 2%.

Il clima dell’area è di tipo mediterraneo, con temperature miti e precipitazioni disordinate, talvolta anche di elevata intensità, concentrate soprattutto nei mesi autunnali-invernali (massimo della piovosità localizzato tra la fine di ottobre e i primi giorni di dicembre, col mese di novembre caratterizzato dai valori più elevati), mentre nel periodo compreso tra gennaio e aprile la pioggia è distribuita in maniera un po’ più omogenea con valori comparabili, che diminuiscono progressivamente dalla terza decade di aprile, fino a raggiungere un minimo assoluto tra la prima e la terza decade di luglio, tanto che si può parlare di un’aridità di regola prolungata nella primavera e spesso accentuata nei mesi estivi. La temperatura media oscilla intorno a 15,2°C e le precipitazioni intorno a 690 mm/anno; l’indice di Huglin si attesta tra 2.300 e 2.500 unità.

Le estati sono per lo più siccitose e le condizioni di aridità sono accentuate dai venti che soffiano con frequenza soprattutto dal terzo al quarto quadrante; in particolare, nella primavera soffiano venti di Scirocco e di Libeccio (nelle aree più prossime al mare piuttosto carichi di salsedine), mentre nell’estate soffia il Maestrale che, sebbene provenga dal mare, è asciutto, regolando di fatto la temperatura.

A.2. Fattori umani rilevanti per il legame.

I fattori umani legati al territorio di produzione, che per consolidata tradizione hanno contribuito a ottenere i vini di «Capalbio», sono di fondamentale rilievo.

In quest’area, infatti, esistono testimonianze della coltivazione della vite che risalgono al periodo etrusco, greco e romano – l’antica città etrusca di Cosa, nella parte meridionale della zona di produzione, le l’area di Poggio Buco, più a nord, sono solo alcuni esempi di insediamenti più o meno rilevanti – come testimoniano alcuni reperti; in particolare, presso Marsiliana lungo il corso del fiume Albegna, è stato rinvenuto un numero consistente di vasellame e pithoi (recipienti particolari per la raccolta del vino proveniente dalla pigiatura delle uve e dai torchi), probabilmente poiché il luogo corrispondeva a un vero e proprio centro di raccolta per i vini che provenivano dalle aree più interne (colline di Manciano, Capalbio, Magliano e Scansano), trasportati lungo il corso del fiume.

La dominazione romana accentuò la tendenza al miglioramento delle tecniche di vinificazione, che rimasero insuperate fino al medioevo; in questo periodo storico, la vite acquistò particolare importanza come pianta colonizzatrice, tanto che governanti e feudatari riconobbero la necessità di concedere terre adatte per questa coltura, che ebbe particolare

protezione con apposite norme statutarie. Negli Statuti della Comunità del Cotone le norme stabilite per la protezione delle viti e dell’uva erano molto severe, tanto che stabilivano perfino una multa di 10 soldi per ciascuna bestia grossa entrata a far danno in “vigne o chiuse di olivi da calende di marzo fino a Ognissanti”.

La tradizione vitivinicola della Maremma meridionale ha continuato a trasmettersi nei secoli, passando anche attraverso le vicissitudini legate alla famiglia Aldobrandeschi (nel 1269 il Castello di Ansedonia venne inserito tra i domini che questa famiglia aveva ottenuto in enfiteusi dall’Abbazia delle Tre Fontane di Roma) e, più tardi, a inizio 1300, dopo che Papa Bonifacio VII ebbe revocato il possesso della città di Ansedonia e del porto di Feniglia per concederli a suo nipote, attraverso le occupazioni dell’esercito orvietano e del comune di Perugia, fino alle vicende legate allo Stato dei Presidi.

Studiosi di ogni tempo riconobbero i pregi delle uve di questo territorio e l’eccellenza dei vini prodotti.

L’enotecnico Luigi Vivarelli, in una memoria pubblicata nel 1906 su “La vite e il vino nel mandamento di Orbetello” riferiva l’esistenza di tronchi di vite di dimensioni eccezionali, il che portava a pensare a un’attività viticola fortemente tradizionale.

Il dott. Alfonso Ademollo, in una relazione all’inchiesta parlamentare Jacini, tenendo conto della vocazione viticola della Maremma, nel 1884 affermava che tutte le varietà “vegetano bene nel nostro suolo ed a noi non mancano le uve da spremere e da mangiare, queste ultime a dovizia fornite dal Monte Argentario e dall’Isola del Giglio”.

L’Ademollo, nel fornire interessanti informazioni sulla situazione viticola della provincia, così scriveva: “La vite ha sempre allignato, fino dalle epoche più remote, nella provincia di Grosseto.

Le varietà di vite da noi conosciute e coltivate sono molte, poichè si può asserire che tutte le varietà di sì prezioso sarmento, anche le esotiche, vegetano bene nel nostro suolo…… Le vigne pure da qualche tempo si sono estese ed hanno migliorato nel proprio prodotto, ma tuttavia anche per questo lato la provincia di Grosseto sarebbe capace di più, poichè la vite cresce benissimo e porge preziosi e squisiti grappoli in ogni parte della provincia, perché non abbiamo veramente nè caldi nè freddi eccessivi,….. perché dovunque trovasi terreni leggeri, permeabili, aridi nelle parti elevate, dovute a sabbie, a rocce decomposte, a detriti vulcanici e sassaie”.

Da ciò la categorica affermazione: “La provincia di Grosseto, per cinque sesti ha terreno adatto alla viticoltura”.

Parlando dei pregi e dei difetti del vino prodotto nella zona lo stesso Ademollo così si esprimeva: “II vino, questo benefico liquido che ha tanta importanza nella pubblica e privata economia, come nella pubblica e privata salute, viene prodotto dai nostri viticoltori con sempre crescente progresso e accuratezza in ogni parte della provincia di Grosseto, sia nella zona piana, che in quella montuosa, e per la bontà e quantità in alcuni Comuni è di una rendita importante ai

proprietari…… Vini forti e generosi poi si incontrano nei comuni più marittimi i quali sono quelli di Orbetello, Monte Argentario e Giglio”.

Nel periodo storico successivo, caratterizzato da due eventi bellici e da un ventennio di dittatura politica, la situazione viticola della Maremma meridionale ha seguito le sorti dell’agricoltura in genere, il cui obiettivo principale era quello di conseguire un’economia di consumo e la piena occupazione della mano d’opera. In tale periodo, la viticoltura non era certamente florida, in quanto legata all’immobilismo, alla polverizzazione delle proprietà diretto coltivatrici e alle

diffuse forme di conduzione mezzadrile, sfavorevoli all’espansione della specializzazione viticola, tanto che nella prima metà del Novecento la superficie vitata non subisce in questa zona profonde modificazioni.

Nei decenni successivi, invece, si moltiplicano le iniziative di molti proprietari – aiutate e incentivate anche dall’applicazione della riforma fondiaria e dall’opera dei tecnici agricoli – intese a sviluppare una viticoltura più razionale, anche con la diffusione di nuove cultivar nei territori collinari più facili. Ma l’espansione viticola, se non accompagnata dal perfezionamento della tecnica vinicola e quindi della qualità dei vini prodotti, creava notevoli problemi di organizzazione e diffusione dei vini stessi, anche a causa della disponibilità di modeste partite,

dalle caratteristiche poco omogenee anche se pregiate.

Un contributo decisivo alla risoluzione di questi problemi è stato dato dalla realizzazione della Cantina Sociale di Capalbio, con lo scopo di raccogliere e trasformare la produzione viticola del comprensorio circostante e che rappresenta una circostanza importante per la nascita dell’industria enologica, alfine di presentare sul mercato vini uniformi, di tipo costante, migliorati nella qualità e standardizzati nella presentazione.

Più tardi, anche alcune pubblicazioni scientifiche del settore, occupandosi dei vini ottenuti su questo territorio, apportarono un contributo importante alla loro valorizzazione; “Vini tipici e pregiati d’Italia” di R. Capone, edito nel 1963, illustra, tra l’altro, le caratteristiche dei vini della zona di Capalbio, soffermandosi non solo sui rinomati vini bianchi a base di Ansonica e Vermentino, ma illustrando anche le caratteristiche dei rossi, vini da sempre prodotti in questa zona utilizzando, a partire dagli anni ’80, l’indicazione geografica transitoria autorizzata dal Ministero dell’Agricoltura, ovvero “Capalbio” con le indicazioni aggiuntive Bianco e Rosso.

Furono questi i presupposti che portarono alla consapevolezza che il territorio della Maremma meridionale poteva aspirare al riconoscimento della denominazione di origine controllata per i vini prodotti nella zona, che verrà attribuito col decreto ministeriale 21 maggio 1999 per i vini «Capalbio» ottenuti in tipologie bianche, rosse e nel tipo rosato incentrate, per lo più, sulle uve dei vitigni Sangiovese, Cabernet Sauvignon, Trebbiano toscano e Vermentino.

L’incidenza dei fattori umani, nel corso della storia, è riferita, in particolare, alla puntuale definizione dei seguenti aspetti tecnico-produttivi, che costituiscono parte integrante del vigente disciplinare di produzione:

base ampelografica dei vigneti:

i vitigni idonei alla produzione del vino in questione sono quelli tradizionalmente coltivati nell’area geografica considerata, e cioè, in primis, i vitigni autoctoni Sangiovese, Trebbiano toscano e Vermentino, e l’internazionale Cabernet Sauvignon, oltre alle varietà che concorrono eventualmente nella percentuale riservata ai vitigni complementari;

le forme di allevamento, i sesti d’impianto e i sistemi di potatura

che, anche per i nuovi impianti, sono quelli tradizionali della zona, e cioè il Cordone speronato orizzontale e la spalliera

semplice, tali da perseguire la migliore e razionale disposizione sulla superficie delle viti; ciò sia per agevolare l’esecuzione delle operazioni colturali con un aumento della meccanizzazione, sia per gestire la razionale gestione della chioma, consentendo di ottenere un’adeguata superficie fogliare ben esposta e, al contempo, di perseguire un contenimento delle rese di produzione di vino entro i limiti fissati dal disciplinare, rapportate a una densità minima di 3300 piante per ettaro, il che consente di ottenere una buona competizione fra le piante (80,5 hl/ha per il Bianco e

il Vermentino, che scende a 77 hl/ha per il Rosso “base” e il Rosato, per il Rosso con menzione Riserva e per le tipologie varietali Sangiovese e Cabernet Sauvignon, e a 40,25 hl/ha per il Vin Santo);

le pratiche relative alla elaborazione dei vini,

che sono quelle tradizionalmente consolidate in zona per la vinificazione in bianco e in rosso dei vini tranquilli, adeguatamente differenziate per le tipologie di base e la tipologie Rosso Riserva, riferita, quest’ultima, a un vino rosso

maggiormente strutturato ottenuto da uve con un titolo alcolometrico volumico totale minimo più elevato di un grado rispetto al tipo “base” e caratterizzato da un’elaborazione che comporta determinati periodi di invecchiamento e affinamento in bottiglia e/o in botte obbligatori; di tradizione consolidata è anche la produzione di vini rosati ottenuti con un limitato contatto del mosto con le parti solide, proveniente dalla pigiatura di uve per lo più della varietà Sangiovese, e la produzione di vini ottenuti da uve appassite, prodotti con la tradizionale tecnica del “vinsanto”

utilizzando prevalentemente uve a bacca bianca (Trebbiano toscano per almeno il 50%) sottoposte a un’accurata cernita e fatte appassire in locali idonei, per essere successivamente conservate e invecchiate in tradizionali caratelli per un periodo adeguato.

 

B) Informazioni sulla qualità o sulle caratteristiche del prodotto essenzialmente o esclusivamente attribuibili all’ambiente geografico.

La DOC «Capalbio» è riferita alla tipologia Rosso “di base”, al tipo Rosato, al Rosso con menzione “Riserva”, alle tipologie varietali Vermentino, Cabernet Sauvignon e Sangiovese, e alla tipologia Vin Santo, le quali, dal punto di vista analitico e organolettico, presentano caratteristiche molto evidenti e peculiari, descritte all’articolo 6 del disciplinare, che ne permettono una chiara individuazione e tipicizzazione legata all’ambiente geografico.

In particolare, tutti i vini presentano un discreto tenore di acidità, almeno pari a 5 g/l.

I vini rossi presentano un colore rosso rubino di buona intensità con riflessi violacei nei vini giovani, che sfuma al granato nei vini più maturi, comunque influenzato, nella tonalità, dalla percentuale di Sangiovese presente: il Sangiovese, infatti, rispetto ad altri vitigni come il Cabernet Sauvignon, conta su di una quantità di antociani totali inferiore, a vantaggio, però, di una notevole ricchezza in tannini proantocianidici e catechine. Per questo motivo, nella tipologia “di base”, è possibile riscontrare una maggiore complessità aromatica con sfumature fruttate e speziate più evidenti e, al contempo, un’attenuazione della sensazione tannica del vitigno base – soprattutto nei vini più giovani – proprio in funzione della diversa presenza di Sangiovese (minimo 50%) e di quella di altre varietà a bacca rossa (fino al 50%), il che conferisce, ai vini, un gusto più rotondo e pieno; l’aumento della percentuale di Cabernet Sauvignon presente, infatti, porta a ottenere vini di un colore rosso più intenso, talvolta con riflessi che sfumano al violaceo,

con profumi intensi di frutta matura, confettura e spezie, e note vegetali più o meno evidenti, mentre al palato risultano morbidi e vellutati, corposi e sapidi.

Nella tipologia Rosso che si fregia della menzione “Riserva” il colore tende al rosso rubino intenso con riflessi violacei più o meno frequenti, che si tramuta in granato con l’invecchiamento, mentre l’intensità del profilo aromatico aumenta e aumenta la sua complessità, ampiezza ed eleganza, con sentori di piccoli frutti accompagnati da evidenti note speziate, e al palato si amplia la sensazione di lunghezza, di corpo e di volume; queste caratteristiche sono direttamente influenzate, infatti, dall’affinamento e dall’invecchiamento dei vini, ed è per questi motivi che il disciplinare stabilisce un invecchiamento minimo di sei mesi in botti di legno con immissione al consumo successiva al 1° giugno del terzo anno successivo a quello di raccolta delle uve.

Il vino della versione Rosato, prodotto con rilevante presenza di uve Sangiovese, si presenta con un colore rosa di buona intensità, profumi intensi, fruttati, mentre al palato sono freschi, sapidi, asciutti.

I vini bianchi “tranquilli” presentano un colore giallo paglierino tenue, un profumo tendenzialmente fresco, fruttato e delicato, non molto intenso anche in funzione della percentuale di Trebbiano toscano presente (minimo 50%) e delle altre varietà a bacca bianca eventualmente utilizzate, mentre al gusto si presentano asciutti, di media corposità; la presenza di Vermentino (minimo 85%), porta a ottenere vini di un colore giallo paglierino più o meno intenso, a volte

con riflessi verdognoli, con profumi intensi e gradevoli che richiamano frutti a polpa bianca e fiori, mentre al palato sono più asciutti e sapidi.

La tipologia Vin Santo si presenta con un colore dal giallo dorato fino all’ambrato intenso, un profumo ricco e complesso, etereo, intenso, con evidenti note di frutta matura, di uva passa e candita, mentre al gusto denota sensazioni vellutate, rotonde, con una notevole ampiezza, lunghezza e persistenza.

 

C) descrizione dell’interazione causale fra gli elementi di cui alla lettera A) e quelli di cui alla lettera B).

L’orografia collinare e pedecollinare della zona di produzione, nella parte meridionale della provincia di Grosseto, in parte del territorio comunale di Capalbio, Manciano, Magliano e Orbetello, con una quota media intorno a 110 metri s.l.m., una pendenza media dell’8%, una esposizione a sud-est, per il particolare beneficio delle sue colline aperte alle brezze marine che assicurano una buona ventilazione durante tutto l’anno, concorrono a determinare un ambiente

areato, luminoso e con un suolo naturalmente sgrondante dalle acque reflue, particolarmente vocato per la coltivazione della vite.

Anche la tessitura e la struttura chimico-fisica dei terreni interagiscono in modo determinante con la coltura della vite, contribuendo all’ottenimento delle peculiari caratteristiche fisico chimiche e organolettiche dei vini «Capalbio».

In particolare, i terreni, caratterizzati da formazioni prevalentemente calcaree, anidritiche e gessose (depositi alluvionali a granulometria mista e sedimenti marini sabbiosi a sud di Capalbio), presentano un’elevata profondità utile per lo sviluppo radicale, una buona capacità di drenaggio e una moderata/bassa capacità di acqua disponibile, condizioni tali da consentire un buon sviluppo vegeto-produttivo delle coltivazioni arboree.

Sono terreni per lo più franchi, sciolti o a granulometria mista, più o meno ricchi di scheletro, sub-acidi o neutri, tendenzialmente aridi, con discreta dotazione in sostanza organica e microelementi assimilabili, che presentano, perciò, una spiccata attitudine alla coltivazione della vite e, per tali ragioni, risultano pienamente idonei a una vitivinicoltura di qualità, in particolare se coltivati con l’ausilio di pratiche agronomiche e gestionali dei suoli corrette (quali potatura verde e alta densità di impianto) e basse rese produttive.

Anche il clima della zona di produzione, caratterizzato da una piovosità piuttosto bassa (media intorno a 690 mm/anno), con scarse piogge estive (intorno ai 65-70 mm) e una certa aridità nei mesi di luglio e agosto – tanto da far riscontrare lievi stress idrici nelle fasi che precedono la maturazione dell’uva –, da ottimi valori dell’indice bioclimatico di Huglin (tra 2300 e 2500°Cgiorno), da una buona temperatura media annuale (15,2°C), unita a una ventilazione sempre presente anche nel periodo primaverile-estivo grazie alle brezze di Maestrale che soffiano nelle

ore più calde della giornata, contribuendo a regolare le temperature e a creare un ambiente sfavorevole alle malattie parassitarie, il tutto unito a una temperatura piuttosto elevata, con ottima insolazione nei mesi di settembre-ottobre e buone escursioni termiche tra giorno e notte, consente alla vite di ottenere un giusto equilibrio vegetativo, permettendo una lenta, graduale e ottimale maturazione fisiologica delle uve, contribuendo in maniera significativa alle particolari caratteristiche organolettiche dei vini «Capalbio».

La millenaria storia vitivinicola riferita al territorio della Maremma meridionale, dall’epoca etrusca a quella romana, al medioevo, fino ai giorni nostri, attestata da numerosi documenti, citazioni e testimonianze storiche, è la prova fondamentale della stretta connessione e interazione tra i fattori umani e la qualità e le caratteristiche peculiari dei vini «Capalbio».

È la testimonianza, perciò, di come l’intervento dell’uomo in questo particolare territorio abbia tramandato, nel corso dei secoli, le tecniche tradizionali di coltivazione della vite ma anche le rituali prassi enologiche, le quali, tuttavia, in epoca moderna, sono state migliorate e affinate, grazie all’indiscutibile progresso scientifico e tecnologico, fino a ottenere i vini «Capalbio», le cui caratteristiche peculiari sono specificamente descritte all’articolo 6 del disciplinare di

produzione.

In particolare, la presenza della viticoltura nel territorio della Maremma meridionale è attestata fin dall’epoca etrusca (il vasellame e i pithoi reperiti nelle aree archeologiche presenti sul territorio ne sono una prova), ma le testimonianze continuano in epoca romana fino al medioevo (gli Statuti della Comunità del Cotone citano esplicitamente regole per la coltivazione della vite) nel corso del quale la vite acquistò particolare importanza come pianta colonizzatrice, tanto che

governanti e feudatari riconobbero la necessità di concedere terre adatte per questa coltura e di stabilirne la protezione con apposite norme statutarie.

E furono molti gli studiosi di epoche successive che riconobbero i pregi delle uve di questo territorio e l’eccellenza dei vini prodotti, come il Bacci che, alla fine del 1500, così descriverà queste campagne “…situate nel cuore dell’Etruria, godono di molti pregi, sono esposte da una parte al vento che spira da settentrione dalle falde del monte Amiata e dall’altra, estendendosi verso mezzogiorno, godono anche di quello australe che dona loro calore”…Quale migliore

incipit per identificare un territorio viticolo; e infatti, la zona era ricca “…di ottimi vini, soprattutto rossi, sinceri, e chiarificati con null’altro che la semplice fermentazione dei tini”.

Quasi quattro secoli più tardi, l’enotecnico Luigi Vivarelli (1906) parla di tronchi di vite di dimensioni rilevanti, a conferma che la viticoltura aveva tradizioni centenarie già a quel tempo.

Lo stesso Vivarelli parla diffusamente di sistemi di allevamento della vite, affermando che, nella Maremma meridionale, è già ampiamente diffusa la vigna specializzata allevata a cordone speronato.

Tra le testimonianze più significative ed esaurienti, quelle del dott. Alfonso Ademollo, riconducibili a una relazione all’inchiesta parlamentare Jacini (1884), si soffermano lungamente sulla vocazione viticola della Maremma; nella stessa relazione, che fotografa perfettamente la situazione della viticoltura maremmana alla fine del 1800, egli afferma che le varietà coltivate sono numerose, alcune “internazionali” perfettamente adattate al territorio, il quale viene ritenuto altamente vocato alla coltura della vite (per cinque sesti della superficie), mancando periodi di caldo o di freddo eccessivi e grazie anche ai terreni leggeri e permeabili, dovuti a sabbie, rocce decomposte, detriti vulcanici e ciottolame. Inoltre, relativamente ai pregi e difetti del vino prodotto sul territorio maremmano, egli si esprime in modo molto positivo, tanto da affermare che il vino è prodotto in ogni parte della provincia, sia in aree pianeggianti che

montuose, citando i vini “forti e generosi” che si ritrovano nelle aree più marittime “quali sono quelli di Orbetello, Monte Argentario e Giglio”.

In tutti questi secoli, lo sviluppo dell’agricoltura di questo lembo di Maremma è sempre stato accompagnato da un’affermazione della viticoltura e, di pari passo, da una forte valenza della tradizione vinicola, spesso perpetrata dai monaci benedettini nei periodi più bui del basso medioevo.

All’inizio del XX° secolo, la viticoltura in provincia di Grosseto, come in altre aree del Paese, conobbe un periodo di crisi, con una polverizzazione delle proprietà diretto coltivatrici e diffuse forme di conduzione mezzadrile ma, con i decenni successivi, si moltiplicarono le iniziative di molti proprietari intese a sviluppare una viticoltura più moderna e razionale, anche con l’inserimento di nuove cultivar.

Col trascorrere degli anni, la nascita della Cantina Sociale di Capalbio e il contributo proveniente dall’attività di sperimentazione e di studio condotta sul territorio dalle istituzioni pubbliche e dalle aziende private, si crearono i presupposti per richiedere il riconoscimento della denominazione di origine controllata per i vini Capalbio col decreto ministeriale del 21 maggio 1999 (preceduto, tuttavia, nel corso degli anni ’80, dall’utilizzo dell’indicazione geografica transitoria Capalbio autorizzata dal Ministero dell’Agricoltura), valorizzando, così, i vini bianchi, rossi e rosati ottenuti in questo territorio, incentrati sui vitigni tradizionali Sangiovese, Vermentino e Trebbiano toscano, e sulla varietà internazionale Cabernet Sauvignon.

 

Articolo 10

(Riferimenti alla struttura di controllo)

 

Nome e indirizzo:

Valoritalia società per la certificazione delle qualità e delle produzioni vitivinicole italiane s.r.l.

Via Piave, 24

00187 Roma

Tel. : 0445 313088

Fax : 0445 313080

Mail: info@valoritalia.it

Valoritalia società per la certificazione delle qualità e delle produzioni vitivinicole italiane s.r.l. è l’Organismo di controllo autorizzato dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 61/2010 che effettua la verifica annuale del rispetto delle disposizioni del presente disciplinare, conformemente all’art. 25, paragrafo 1, 1° capoverso, lettere a) e c), ed all’art. 26 del Regolamento CE n. 607/2009, per i prodotti beneficianti della DOP, mediante una metodologia dei controlli sistematica nell’arco dell’intera filiera produttiva (viticoltura, elaborazione, confezionamento), conformemente al citato art. 25, paragrafo 1, 2° capoverso, lettera c).

In particolare, tale verifica è espletata nel rispetto di un predeterminato piano dei controlli, approvato dal citato Ministero, conforme al modello approvato col DM 2 novembre 2010, pubblicato in G.U. n. 271 del 19-11-2010 (Allegato 3) in applicazione del Decreto legislativo n. 61/2010.

Nel dettaglio il piano prevede il 100% del controllo documentale su tutti gli utilizzatori della filiera vitivinicola, e un controllo di tipo ispettivo annuo, a campione, su una percentuale minima degli utilizzatori che può essere così sintetizzata:

15% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Viticoltore, in ordine alla verifica della persistenza delle condizioni per l’idoneità alla DO della superficie coltivata ed alla verifica del rispetto delle disposizioni di tipo agronomico impartite dal disciplinare; tale percentuale è comprensiva della verifica ante-vendemmia per accertare il rispetto della resa massima di uva/ettaro pari al 10% delle aziende;

10% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Centro intermediazione delle uve atte alla vinificazione, in ordine alla verifica della corrispondenza quantitativa del prodotto detenuto con riscontro ai relativi documenti di accompagnamento inerenti al trasporto uve ed ai registri di cantina, nonché alla rispondenza ai requisiti previsti dal disciplinare di produzione;

15% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Vinificatore, in ordine alla verifica della corrispondenza quantitativa del prodotto a DOP e atto a DOP detenuto con quanto annotato sui registri di carico e scarico e con quanto risulta sui relativi documenti di accompagnamento, nonché della conformità delle operazioni tecnologiche effettuate sui prodotti alle disposizioni impartite dal disciplinare;

7% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Vinificatore, con prelievo di campioni ai fini della verifica del titolo alcolometrico minimo previsto per la detenzione del prodotto in cantina nella relativa fase di elaborazione;

10% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Aziende di acquisto/vendita di vini sfusi atti a DOP o certificati DOP, in ordine alla verifica della corrispondenza quantitativa del prodotto detenuto con riscontro ai relativi documenti di accompagnamento inerenti al trasporto del vino ed ai registri di cantina;

20% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Imbottigliatore, in ordine alla verifica della corrispondenza quantitativa del prodotto a DOP e atto a DOP detenuto con quanto annotato sui registri di carico e scarico e con quanto risulta sui relativi documenti di accompagnamento, nonché della corrispondenza quantitativa del prodotto detenuto e del corretto uso della denominazione di origine;

7% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Imbottigliatore, con prelievo di campioni da effettuarsi sul vino a DOP già confezionato per verificare la corrispondenza del vino imbottigliato destinato al consumo con la certificazione di idoneità.

Inoltre, il piano dei controlli prevede un controllo di tipo analitico sistematico sul prodotto atto a DOP detenuto dal soggetto vinificatore e/o dal soggetto identificabile con le aziende di acquisto/vendita di vini sfusi atti a DOP o certificati DOP e/o dal soggetto imbottigliatore, prima dell’immissione al consumo, che si realizza mediante il prelievo di campioni da inoltrare alle Commissioni di degustazione ed a un Laboratorio di analisi autorizzato dal Ministero delle

politiche agricole, alimentari e forestali per i successivi esami chimico-fisico e organolettico e con la verifica della rispondenza quantitativa dei prodotti detenuti.

 

 

N.B. fa fede solo il testo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

 

VIGNETI ISOLA DEL GIGLIO

VIGNETI ISOLA DEL GIGLIO

 

COSTA DELL’ARGENTARIO

ANSONICA COSTA DELL’ARGENTARIO

D.O.C.

Decreto 24 novebre 2011

(fonte GURI)

Modifica Decreto 30 novembre 2011

(fonte Mipaaf)

Modifica Decreto 12 luglio 2013

(fonte GURI)

 

Articolo 1

Denominazione

 

La  Denominazione di  Origine  Controllata  «Ansonica  Costa dell'Argentario» è  riservata  al  vino  bianco  che  risponde  alle condizioni e ai requisiti  stabiliti  dal  presente  disciplinare  di produzione.

 

Articolo 2

Base ampelografica

 

Il vino a Denominazione di Origine  Controllata  «Ansonica  Costa dell'Argentario» deve essere ottenuto da uve provenienti  da  vigneti aventi nell'ambito aziendale la seguente composizione ampelografica:

Ansonica B.: minimo 85%;

possono concorrere alla produzione  di  detto  vino,  fino  a  un massimo del 15%, le uve a bacca bianca provenienti da  altri  vitigni idonei alla coltivazione per la Regione Toscana.

 

Articolo 3

Zona di produzione delle uve

 

La zona  di  produzione  del  vino  a  Denominazione  di  Origine Controllata «Ansonica Costa dell'Argentario» è ubicata  nella  parte collinare, pedecollinare ed insulare dell'area sud della provincia di Grosseto e comprende in parte  i  comuni  di 

Manciano,  Orbetello  e Capalbio

e l'intero territorio dei comuni di

Isola del Giglio e Monte Argentario

in provincia di Grosseto.

Tale zona e' cosi' delimitata:

la perimetrazione inizia a sud nel punto di intersezione tra la linea ferroviaria Grosseto-Roma e il confine territoriale del  comune di Capalbio per continuare sempre lungo lo stesso confine, a est sino alla intersezione della strada provinciale n. 63, s.p.  Capalbio  che da Capalbio conduce alla frazione di Marsiliana ricadente nel  comune di Manciano.

Il confine prosegue  nel  tratto  est  lungo  la  strada statale n.  74  (s.s.  Maremmana)  fino  al  bivio  per  Magliano  in

prossimità della frazione di Marsiliana. 

Prosegue  poi  nel  tratto nord lungo la strada consorziale delle Pulledraie fino al  fosso  che la interrompe per poi reimmettersi sulla  s.s.  74  al  km  8,700  in direzione della frazione di Albinia sino  alla  intersezione  con  la linea ferroviaria delle FF.SS.  Roma-Grosseto. 

Da  tale  punto,  nel tratto  ovest,  il  confine  prosegue  lungo  la  linea   ferroviaria suddetta, in direzione sud, sino a incontrare il punto di partenza.

La zona di  produzione  comprende  altresì  i  comuni  di  Monte Argentario e dell'Isola del Giglio.

 

Articolo 4

Norme per la viticoltura

 

Le condizioni ambientali e colturali dei vigneti  destinati  alla produzione del vino a Denominazione di Origine Controllata  «Ansonica Costa dell'Argentario» devono essere quelle tradizionali  della  zona e, comunque, atte  a  conferire  alle  uve  e  ai  vini  derivati  le specifiche caratteristiche di qualità.

I sesti di impianto, le forme  di  allevamento  e  i  sistemi  di potatura  devono  essere  quelli  generalmente  usati  nella  zona  o comunque atti a non modificare le caratteristiche  delle  uve  e  del vino.

E' escluso l'allevamento espanso su tetto orizzontale.

I nuovi impianti ed i reimpianti devono prevedere  un  minimo  di 3.300 ceppi per ettaro e la produzione massima  per  ceppo  non  deve superare mediamente i kg 3,50.

E' vietata ogni pratica di forzatura.

E' consentita l'irrigazione di soccorso.

 

La quantità massima di uva ammessa per la produzione del vino  a Denominazione di Origine Controllata «Ansonica Costa dell'Argentario» non deve superare

11,00 t/ha  di  vigneto  in  coltura specializzata.

A detto limite, anche in annate  eccezionalmente  favorevoli,  le produzioni dovranno essere riportate attraverso una accurata  cernita delle uve, purché la produzione per ettaro non  superi  del  20%  il limite medesimo.

Qualora la produzione superi il 20%  delle  suddette quantità, il vino ottenuto non avrà diritto alla  Denominazione  di

Origine Controllata.

Fermo restando il limite massimo  sopra  indicato,  la  resa  per ettaro di vigneto  a  coltura  promiscua  deve  essere  calcolata  in rapporto alla effettiva superficie coperta dalle viti.

La   Regione   Toscana,   con   proprio   Decreto,   sentite   le organizzazioni di categoria interessate, di anno in anno, prima della vendemmia,  tenuto   conto   delle   condizioni   ambientali   e   di coltivazione,  pur  stabilire  un  limite   massimo   di   produzione rivendicabile di uva  per  ettaro  inferiore  a  quello  fissato  dal presente disciplinare di produzione, dandone immediata  comunicazione al competente Organismo di controllo.

La resa massima delle uve in vino non deve  essere  superiore  al 70%.

Le uve destinate alla vinificazione devono assicurare al  vino  a Denominazione di Origine Controllata «Ansonica Costa dell'Argentario»

un titolo alcolometrico volumico naturale minimo di 10,50% vol.

 

Articolo 5

Norme per la vinificazione

 

Nella vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche  enologiche locali, leali e costanti atte a conferire al vino a Denominazione  di Origine Controllata «Ansonica Costa dell'Argentario» le sue peculiari caratteristiche.

La  vinificazione  delle  uve  per  la  produzione  del  vino   a Denominazione di Origine Controllata «Ansonica Costa dell'Argentario» deve essere effettuata nell'ambito dell'intero territorio dei  Comuni di cui al precedente art. 3.

Tuttavia,  tenuto  conto   delle   situazioni   tradizionali   di produzione  il  Ministero  delle  politiche  agricole  alimentari   e forestali,  può  consentire  su   apposita   domanda   delle   ditte interessate  che  le  suddette  operazioni  di  vinificazione   siano effettuate nell'ambito della provincia di Grosseto, a condizione  che le ditte interessate dimostrino di aver  tradizionalmente  vinificato le uve prodotte nella zona nelle  cantine  per  le  quali  si  chiede l'autorizzazione.

E' consentito l'arricchimento, nei limiti e condizioni  stabilite dalle norme comunitarie e nazionali, con mosti  concentrati  ottenuti da uve Ansonica prodotte nella  zona  di  produzione  delimitata  dal precedente  art.  3  o,  in  alternativa,   con   mosto   concentrato rettificato o a mezzo di altre tecnologie consentite.

 

Articolo 6

Caratteristiche al consumo

 

Il vino a Denominazione di Origine  Controllata  «Ansonica  Costa dell'Argentario»   all'atto   dell'immissione   al    consumo    deve corrispondere alle seguenti caratteristiche:

 

colore: giallo paglierino più o meno intenso;

profumo: caratteristico, leggermente fruttato;

sapore: asciutto, morbido, vivace ed armonico;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 15,00 g/l.

 

E' facoltà del Ministero delle politiche agricole  alimentari  e forestali, modificare, con proprio Decreto,  i  limiti  minimi  sopra menzionati per l'acidità  totale  e  per  l'estratto  non  riduttore minimo.

 

Articolo 7

Etichettatura, designazione e presentazione

 

Al vino a Denominazione di Origine Controllata di cui all'art.  1 è vietata l'aggiunta di qualsiasi qualificazione diversa  da  quelle previste dal presente disciplinare di  produzione  ivi  compresi  gli aggettivi "extra", "fine", "scelto", "selezionato" e similari.

E'  tuttavia  consentito  l'uso  di  indicazioni   che   facciano riferimento a nomi, ragioni  sociali  e  marchi  privati  non  aventi significato laudativo e non idonei a trarre in inganno l'acquirente.

E' consentito altresì l'uso di nomi geografici corrispondenti  a frazioni, comuni o zone amministrative definite, ai  sensi  dell'art. 4, comma 4 del DLgs 61/2010, e riportati nell'allegato 1 del presente disciplinare di produzione.

Nella  designazione  dei  vini   a   Denominazione   di   Origine Controllata «Ansonica Costa dell'Argentario » di cui  all'art.1  può essere utilizzata la menzione "vigna" a condizione 

che  sia  seguita dal relativo toponimo o nome tradizionale,

che la vinificazione e  la conservazione del vino avvengano in recipienti separati 

e  che  tale menzione, seguita dal relativo toponimo o  nome  tradizionale,  venga riportata sia nella denuncia  delle  uve,  sia  nei  registri  e  nei documenti  di  accompagnamento 

e  che  figuri  nell'apposito  elenco regionale ai sensi dell'art. 6 comma 8, del  decreto  legislativo  n. 61/2010.

Sulle  bottiglie  ed  altri  recipienti  contenenti  il  vino   a Denominazione di Origine Controllata «Ansonica Costa dell'Argentario» deve figurare l'indicazione dell'annata di produzione delle uve.

 

Articolo 8

Confezionamento

 

Per il  confezionamento  dei  vini  a  Denominazione  di  Origine Controllata «Ansonica Costa dell'Argentario»  sono  ammessi  tutti  i recipienti di volume nominale autorizzati  dalla  normativa  vigente, ivi compresi i contenitori alternativi al vetro costituiti da un otre in  materiale  plastico  pluristrato  di  polietilene  e   poliestere racchiuso in un involucro di cartone o di altro materiale rigido.

Per la tappatura dei  vini,  allorquando  siano  confezionati  in bottiglie  di  vetro,  può  essere  utilizzata  qualsiasi  tipo   di chiusura, escluso il  tappo  a  corona  per  bottiglie  di  capacità nominale superiore a 375 ml.

Tuttavia, per le tipologie con menzione "vigna"  sono  consentite soltanto bottiglie di vetro aventi forma ed abbigliamento consoni  ai caratteri dei vini di pregio, con volume nominale fino a 3 litri, con chiusura a tappo di sughero raso bocca.

 

Articolo 9

(Legame con l’ambiente geografico)

 

A) Informazioni sulla zona geografica

A.1. Fattori naturali rilevanti per il legame.

La zona geografica delimitata ricade nella parte meridionale della regione Toscana e, in particolare, nella zona collinare, pedecollinare e insulare dell’area sud della provincia di Grosseto, comprendendo parte dei territori amministrativi dei comuni di Manciano, Orbetello e Capalbio e l’intero territorio dei comuni di Isola del Giglio e Monte Argentario.

Il territorio è costituito da rilievi di bassa e media collina a pendenza media e alta, i cui terreni, relativamente all’origine geologica, sono caratterizzati da formazioni prevalentemente calcaree, anidritiche e gessose, la cui quota media è di 128 metri s.l.m. con una pendenza dell’11%.

A sud di Capalbio si rinvengono terrazzi e ripiani di bassa quota a debole pendenza, su depositi alluvionali a granulometria mista e sedimenti marini sabbiosi, la cui quota media è di 97 metri s.l.m., con una pendenza del 2%. Il promontorio del Monte Argentario e l’isola del Giglio sono formati quasi interamente da un plutone granitico con piccole aree calcaree, ove prevalgono rocce come serpentini, calcari o scisti, con quote medie di 250 metri s.l.m. e pendenze generalmente elevate.

Il clima dell’area è di tipo mediterraneo caratterizzato da una percentuale molto alta di giornate di sole, con temperature miti e precipitazioni disordinate ma generalmente scarse, seppur talvolta anche di elevata intensità, concentrate soprattutto nei mesi autunnali-invernali (massimo della piovosità localizzato tra l’inizio di novembre e i primi giorni di dicembre, col mese di novembre caratterizzato dai valori più elevati), mentre nel periodo compreso tra febbraio e aprile la pioggia è distribuita in maniera un po’ più omogenea con valori comparabili, che diminuiscono

progressivamente dalla terza decade di aprile, fino a raggiungere un minimo assoluto tra la prima e la terza decade di luglio, tanto che si può parlare di un’aridità di regola prolungata nella primavera e spesso accentuata nei mesi estivi. La temperatura media oscilla intorno a 16°C e le precipitazioni intorno a 630 mm/anno; l’indice di Huglin si attesta tra 2.300 e 2.500 unità.

Le estati sono per lo più siccitose e le condizioni di aridità sono accentuate dai venti che soffiano con frequenza soprattutto dal terzo al quarto quadrante; in particolare, nella primavera soffiano venti di Scirocco e di Libeccio (nelle aree più prossime al mare piuttosto carichi di salsedine), mentre nell’estate soffia il Maestrale che, sebbene provenga dal mare, è asciutto, regolando di fatto la temperatura.

A.2. Fattori umani rilevanti per il legame.

I fattori umani legati al territorio di produzione, che per consolidata tradizione hanno contribuito a ottenere i vini «Ansonica Costa dell’Argentario», sono di fondamentale rilievo.

In quest’area, infatti, esistono testimonianze della coltivazione della vite che risalgono al periodo etrusco, greco

e romano – l’antica città etrusca di Cosa, nella parte meridionale della zona di produzione, l’area di Poggio Buco, più a nord, sono solo alcuni esempi di insediamenti più o meno rilevanti – come testimoniano alcuni reperti; in particolare, presso Marsiliana lungo il corso del fiume Albegna, è stato rinvenuto un numero consistente di vasellame e pithoi (recipienti particolari per la raccolta del vino proveniente dalla pigiatura delle uve e dai torchi), probabilmente poiché il luogo corrispondeva a un vero e proprio centro di raccolta per i vini che provenivano dalle aree più interne (colline di Manciano, Capalbio, Magliano e Scansano), trasportati lungo il corso del fiume.

Inoltre, sul territorio dell’isola del Giglio, sono stati rinvenuti numerosi palmenti in pietra, specie di vasche cilindriche scavate direttamente sulla roccia talvolta ai piedi di un vigneto, utilizzate da etruschi e, più tardi, romani, per la pigiatura e lo sgrondo delle uve.

Ma anche la scoperta di relitti del V secolo a.C. e il recupero di vasellame etrusco, corinzio e fenicio e di anfore vinarie nelle acque prospicienti l’isola del Giglio attesterebbero la presenza di contatti, trasporti e commerci tra l’isola e le città dell’Etruria e d’altri paesi del Mediterraneo.

La dominazione romana accentuò la tendenza al miglioramento delle tecniche di vinificazione, che rimasero insuperate fino al medioevo; in questo periodo storico, la vite acquistò particolare importanza come pianta colonizzatrice, tanto che governanti e feudatari riconobbero la necessità di concedere terre adatte per questa coltura, che ebbe particolare protezione con apposite norme statutarie.

Un ulteriore impulso all’attività vitivinicola del territorio fu dato dalle repubbliche marinare, in particolare Pisa, che tramite le potenti reti commerciali tessute dai loro mercanti contribuirono alla valorizzazione dei vini del Giglio e delle altre aree costiere della Maremma meridionale, vini che erano qualificati, all’epoca, come “robusti e forti”.

La tradizione vitivinicola della Maremma meridionale e insulare ha continuato a trasmettersi nei secoli, passando anche attraverso le vicissitudini legate agli assalti dei Pirati: drammatico quello del 1554, quando il pirata Barbarossa provocò la deportazione di oltre 600 abitanti del Giglio che, all’epoca, era intensamente coltivata a vigneto, e la vinificazione avveniva mediante l’utilizzo dei palmenti, con una produzione di circa 18.000 barili di vino per lo più esportati e venduti in terra ferma, prevalentemente allo Stato della Chiesa e alla Repubblica di Genova; più tardi, l’isola e gran parte del territorio passarono attraverso le dominazioni delle repubbliche di Pisa, Genova e Siena, dello Stato della Chiesa, fino al Regno di Napoli, mantenendo inalterata, tuttavia, la tradizione vitivinicola e una certa attività commerciale di vini, per lo più bianchi, la cui eccellente qualità fu riconosciuta da studiosi di ogni tempo.

L’enotecnico Luigi Vivarelli, in una memoria pubblicata nel 1906 su “La vite e il vino nel mandamento di Orbetello” riferiva l’esistenza di tronchi di vite di dimensioni eccezionali, il che portava a pensare a un’attività viticola fortemente tradizionale.

In una relazione del funzionario Granducale Miller del 1766, si afferma che al Giglio abitavano circa 900 persone e vi erano coltivati circa 10 moggia di terreno a vigneto e frutteto, con una produzione di vino che si aggirava intorno a 500 botti (“in tutto il territorio dell’isola si ricoglie negli anni mediocri vino botti 500 di barili 12 per ciascheduna”); è proprio in questo periodo di grandi trasformazioni agricole che è possibile collocare l’attestazione del vitigno Ansonaco sulle altre varietà di vitigni autoctoni. Il dott. Alfonso Ademollo, in una relazione all’inchiesta parlamentare Jacini, tenendo conto della vocazione viticola della Maremma, nel 1884 affermava che tutte le varietà “vegetano bene nel nostro suolo ed a noi non mancano le uve da spremere e da mangiare, queste ultime a dovizia fornite dal Monte Argentario e dall’Isola del Giglio”.

L’Ademollo, nel fornire interessanti informazioni sulla situazione viticola della provincia, la descriveva come altamente vocata alla viticoltura e, parlando dei pregi e dei difetti del vino prodotto nella zona, così si esprimeva: “II vino, questo benefico liquido che ha tanta importanza nella pubblica e privata economia, come nella pubblica e privata salute, viene prodotto dai nostri viticoltori con sempre crescente progresso e accuratezza in ogni parte della provincia di Grosseto, sia nella zona piana, che in quella montuosa, e per la bontà e quantità in alcuni Comuni è di una rendita importante ai proprietari……

Vini forti e generosi poi si incontrano nei comuni più marittimi i quali sono quelli di Orbetello, Monte Argentario e Giglio”.

Nel secolo successivo, Ottorino Brandaglia, a proposito della tradizione e la qualità vitivinicola gigliese, così si esprimeva sulla stampa nazionale: “Buona parte del suo territorio è coltivato a vigneti e il contadino gigliese, tenace e silenzioso lavoratore, ….. ha saputo con lavoro paziente e inaudito sui fianchi ripidi e rocciosi dell’isola, in alcuni punti portandoci la terra, piantare le viti, circondando i minuscoli vigneti, chiamati nel gergo paesano poste o cacchioni, di muriccioli a secco per proteggerli contro la veemenza delle piogge e del vento….

E come non ricordare il vino.

Esso possiede delle qualità meravigliose e una tale potenza di alcool da superare di gran lunga tutte le altre specie del Regno pur tanto declamate….Intanto si ponga mente alla vegetazione ricca, all’aria salubre, soprattutto alle magnifiche distese di vigneti, che producono la famosa uva Anzonica, notissima in tutta la Maremma

Nei decenni successivi si moltiplicano le iniziative di molti proprietari – aiutate e incentivate anche dall’applicazione della riforma fondiaria e dall’opera dei tecnici agricoli – intese a sviluppare una viticoltura sempre più razionale, anche con la diffusione di nuove cultivar nei territori collinari più facili.

Ma l’espansione viticola, se non accompagnata dal perfezionamento della tecnica vinicola e quindi della qualità dei vini prodotti, creava notevoli problemi di organizzazione e diffusione dei vini stessi, anche a causa della disponibilità di modeste partite, dalle caratteristiche poco omogenee anche se pregiate.

Un contributo decisivo alla risoluzione di questi problemi è stato dato dalla realizzazione della Cantina Sociale di Capalbio, con lo scopo di raccogliere e trasformare la produzione viticola del comprensorio circostante e che rappresenta una circostanza importante per la nascita dell’industria enologica, alfine di presentare sul mercato vini uniformi, di tipo costante, migliorati nella qualità e standardizzati nella presentazione.

Più tardi, anche alcune pubblicazioni scientifiche del settore, occupandosi dei vini ottenuti su questo territorio, apportarono un contributo importante alla loro valorizzazione; “Vini tipici e pregiati d’Italia” di R. Capone, edito nel 1963, illustra, tra l’altro, le caratteristiche dei vini della zona di Capalbio, soffermandosi anche sui rinomati vini bianchi a base di Ansonica.

Furono questi i presupposti che portarono alla consapevolezza che il territorio della Maremma meridionale e insulare poteva aspirare al riconoscimento della denominazione di origine controllata per il vitigno Ansonica prodotto nella zona, che verrà attribuito col decreto ministeriale 28 aprile 1995 per il vino «Ansonica Costa dell’Argentario» ottenuto con l’apporto determinante (minimo 85%) proprio dell’omonima varietà a bacca bianca.

L’incidenza dei fattori umani, nel corso della storia, è riferita, in particolare, alla puntuale definizione dei seguenti aspetti tecnico-produttivi, che costituiscono parte integrante del vigente disciplinare di produzione:

base ampelografica dei vigneti:

la produzione si basa essenzialmente sul vitigno Ansonica tradizionalmente coltivato nell’area geografica considerata, oltre alle varietà a bacca bianca che concorrono eventualmente nella percentuale riservata ai vitigni complementari;

le forme di allevamento, i sesti d’impianto e i sistemi di potatura

che, anche per i nuovi impianti, sono quelli tradizionali della zona, e cioè il Cordone speronato orizzontale e la spalliera

semplice, tali da perseguire la migliore e razionale disposizione sulla superficie delle viti; ciò sia per agevolare l’esecuzione delle operazioni colturali con un aumento della meccanizzazione, sia per gestire la razionale gestione della chioma, consentendo di ottenere un’adeguata superficie fogliare ben esposta e, al contempo, di perseguire un contenimento delle rese di produzione di vino entro i limiti fissati dal disciplinare, rapportate a una densità minima di 3.300 piante per ettaro, il che consente di ottenere una buona competizione fra le piante con una resa di 77,00 hl di

vino per ettaro;

le pratiche relative alla elaborazione dei vini,

che sono quelle tradizionalmente consolidate in zona per la vinificazione in bianco dei vini tranquilli.

 

B) Informazioni sulla qualità o sulle caratteristiche del prodotto essenzialmente o esclusivamente attribuibili all’ambiente geografico.

La DOC «Ansonica Costa dell’Argentario» è riferita esclusivamente alla tipologia bianca ottenuta dal vitigno Ansonica che, dal punto di vista analitico e organolettico, presenta caratteristiche molto evidenti e peculiari, descritte all’articolo 6 del disciplinare, che ne permettono una chiara individuazione e tipicizzazione legata all’ambiente geografico.

In particolare, questo vino presenta un tenore di acidità non troppo elevato (4,50 g/l).

Esso presenta un colore giallo paglierino più o meno intenso, talvolta anche giallo dorato, un profumo tendenzialmente fresco, lievemente fruttato e delicato, mentre al gusto si presenta asciutto, morbido, caldo e armonico, scarsamente acido, con una gradazione alcolica mediamente elevata.

 

C) descrizione dell’interazione causale fra gli elementi di cui alla lettera A) e quelli di cui alla lettera B).

L’orografia collinare e pedecollinare della zona di produzione, nella parte meridionale e insulare della provincia di Grosseto, in parte del territorio comunale di Manciano, Orbetello e Capalbio e nell’intero territorio dei comuni di Isola del Giglio e Monte Argentario, con una quota media intorno a 190 metri s.l.m., una pendenza media dell’10%, una esposizione a sud-est, per il particolare beneficio del territorio aperto alle brezze marine che assicurano una buona

ventilazione durante tutto l’anno, concorrono a determinare un ambiente areato, luminoso e con un suolo naturalmente sgrondante dalle acque reflue, particolarmente vocato per la coltivazione della vite.

Anche la tessitura e la struttura chimico-fisica dei terreni interagiscono in modo determinante con la coltura della vite, contribuendo all’ottenimento delle peculiari caratteristiche fisico chimiche e organolettiche dei vini «Ansonica Costa dell’Argentario».

In particolare, i terreni, caratterizzati da formazioni prevalentemente calcaree, anidritiche e gessose (depositi alluvionali a granulometria mista e sedimenti marini sabbiosi a sud di Capalbio, graniti sul promontorio del Monte Argentario e l’isola del Giglio), presentano un’elevata profondità utile per lo sviluppo radicale, una buona capacità di drenaggio e una moderata/bassa capacità di acqua disponibile, condizioni tali da consentire un buon sviluppo vegeto-produttivo delle coltivazioni arboree.

Sono terreni per lo più franchi, sciolti o a granulometria mista, di colore tendente al rossastro per la presenza di ossidi di ferro in tutto il territorio gigliese e sull’Argentario, più o meno ricchi di scheletro, sub-acidi o neutri, tendenzialmente aridi, con discreta dotazione in sostanza organica e microelementi assimilabili, che presentano, perciò, una spiccata attitudine alla coltivazione della vite e, per tali ragioni, risultano pienamente idonei a una vitivinicoltura di qualità, in particolare se coltivati con l’ausilio di pratiche agronomiche e gestionali dei suoli corrette (quali potatura verde e alta densità di impianto) e basse rese produttive.

Anche il clima della zona di produzione, caratterizzato da una piovosità piuttosto bassa (media intorno a 630 mm/anno), con scarse piogge estive (intorno ai 50-60 mm) e una certa aridità nei mesi di luglio e agosto – tanto da far riscontrare lievi stress idrici nelle fasi che precedono la maturazione dell’uva –, da ottimi valori dell’indice bioclimatico di Huglin (tra 2300 e 2500°Cgiorno), da una buona temperatura media annuale (16°C), unita a una ventilazione sempre presente anche nel periodo primaverile - estivo grazie alle brezze di Maestrale che soffiano nelle

ore più calde della giornata, contribuendo a regolare le temperature e a creare un ambiente sfavorevole alle malattie parassitarie, il tutto unito a una temperatura piuttosto elevata, con ottima insolazione nei mesi di settembre-ottobre e buone escursioni termiche tra giorno e notte, consente alla vite di ottenere un giusto equilibrio vegetativo, permettendo una lenta, graduale e ottimale maturazione fisiologica delle uve, contribuendo in maniera significativa alle particolari caratteristiche organolettiche dei vini «Ansonica Costa dell’Argentario».

La millenaria storia vitivinicola riferita al territorio della Maremma meridionale e insulare, dall’epoca etrusca a quella romana, al medioevo, fino ai giorni nostri, attestata da numerosi documenti, citazioni e testimonianze storiche, è la prova fondamentale della stretta connessione e interazione tra i fattori umani e la qualità e le caratteristiche peculiari dei vini «Ansonica Costa dell’Argentario».

È la testimonianza, perciò, di come l’intervento dell’uomo in questo particolare territorio abbia tramandato, nel corso dei secoli, le tecniche tradizionali di coltivazione della vite ma anche le rituali prassi enologiche, le quali, tuttavia, in epoca moderna, sono state migliorate e affinate, grazie all’indiscutibile progresso scientifico e tecnologico, fino a ottenere i vini «Ansonica Costa dell’Argentario», le cui caratteristiche peculiari sono specificamente descritte all’articolo 6 del disciplinare di produzione.

In particolare, la presenza della viticoltura nel territorio della Maremma meridionale e insulare è attestata fin dall’epoca etrusca (il vasellame e i pithoi reperiti nelle aree archeologiche presenti sul territorio, i numerosi palmenti in pietra diffusi sul territorio gigliese, ne sono una prova), ma le testimonianze continuano in epoca romana fino al medioevo (le repubbliche marinare, in primis Pisa, dettero un forte impulso ai traffici commerciali e agli scambi di vino, contribuendo

alla diffusione della coltivazione della vite) nel corso del quale la vite acquistò particolare importanza come pianta colonizzatrice, tanto che governanti e feudatari riconobbero la necessità di concedere terre adatte per questa coltura e di stabilirne la protezione con apposite norme statutarie.

E furono molti gli studiosi di epoche successive che riconobbero i pregi delle uve di questo territorio e l’eccellenza dei vini prodotti, come il Bacci che, alla fine del 1500, così descriverà queste campagne “…situate nel cuore dell’Etruria, godono di molti pregi, sono esposte da una parte al vento che spira da settentrione dalle falde del monte Amiata e dall’altra, estendendosi verso mezzogiorno, godono anche di quello australe che dona loro calore”…Quale migliore

incipit per identificare un territorio viticolo.

Gli stessi funzionari Granducali presenti in zona attestarono una fiorente attività produttiva di vini, soprattutto bianchi, considerati di ottima qualità per la robustezza e l’elevato grado alcolico. L’enotecnico Luigi Vivarelli, nel 1906, parla

di tronchi di vite di dimensioni rilevanti, a conferma che la viticoltura aveva tradizioni centenarie già a quel tempo. Lo stesso Vivarelli parla diffusamente di sistemi di allevamento della vite, affermando che, nella Maremma meridionale, è già ampiamente diffusa la vigna specializzata allevata a cordone speronato.

Tra le testimonianze più significative ed esaurienti, quelle del dott. Alfonso Ademollo, riconducibili a una relazione all’inchiesta parlamentare Jacini (1884), si soffermano lungamente sulla situazione viticola della Maremma, terra ritenuta altamente vocata alla coltura della vite (per cinque sesti della superficie), mancando periodi di caldo o di freddo eccessivi e grazie anche ai terreni leggeri e permeabili, dovuti a sabbie, rocce decomposte, detriti vulcanici e ciottolame.

Inoltre, egli afferma che il vino è prodotto in ogni parte della provincia, sia in aree pianeggianti che montuose, citando i vini “forti e generosi” che si ritrovano nelle aree più marittime “quali sono quelli di Orbetello, Monte Argentario e Giglio”.

In tutti questi secoli, lo sviluppo dell’agricoltura di questa parte di Maremma è sempre stato accompagnato da un’affermazione della viticoltura e, di pari passo, da una forte valenza della tradizione vinicola, spesso perpetrata dai monaci benedettini nei periodi più bui del basso medioevo, una tradizione che, sul territorio isolano del Giglio e su gran parte di quello del promontorio del Monte Argentario, è attestata anche dalla presenza di numerosi terrazzamenti

con muretti a secco, proprio allo scopo di consentire l’attività viticola su un territorio aspro, impervio e ripido.

All’inizio del XX° secolo, la viticoltura in provincia di Grosseto, come in altre aree del Paese, conobbe un periodo di crisi, con una polverizzazione delle proprietà diretto coltivatrici e diffuse forme di conduzione mezzadrile ma, con i decenni successivi, si moltiplicarono le iniziative di molti proprietari intese a sviluppare una viticoltura più moderna e razionale.

Col trascorrere degli anni, la nascita della Cantina Sociale di Capalbio e il contributo proveniente dall’attività di

sperimentazione e di studio condotta sul territorio dalle istituzioni pubbliche e dalle aziende private, anche col recupero di vigneti abbandonati sull’isola del Giglio e col ripristino dei muretti a secco per la coltivazione su terrazze, si crearono i presupposti per richiedere il riconoscimento della denominazione di origine controllata per il vino Ansonica Costa dell’Argentariocol decreto ministeriale del 28 aprile 1995, valorizzando, così, il vino bianco ottenuto in questo

territorio, incentrato prevalentemente sul vitigno autoctono Ansonica.

 

Articolo 10

(Riferimenti alla struttura di controllo)

Nome e indirizzo:

Valoritalia società per la certificazione delle qualità e delle produzioni vitivinicole italiane s.r.l.

Via Piave, 24

00187 Roma

Tel. : 0445 313088

Fax : 0445 313080

Mail: info@valoritalia.it

Valoritalia società per la certificazione delle qualità e delle produzioni vitivinicole italiane s.r.l. è l’Organismo di controllo autorizzato dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 61/2010 che effettua la verifica annuale del rispetto delle disposizioni del presente disciplinare, conformemente all’art. 25, paragrafo 1, 1° capoverso, lettere a) e c), ed all’art. 26 del Regolamento CE n. 607/2009, per i prodotti beneficianti della DOP, mediante una metodologia dei controlli sistematica nell’arco dell’intera filiera produttiva (viticoltura, elaborazione, confezionamento), conformemente al citato art. 25, paragrafo 1, 2° capoverso, lettera c).

In particolare, tale verifica è espletata nel rispetto di un predeterminato piano dei controlli, approvato dal citato Ministero, conforme al modello approvato col DM 2 novembre 2010, pubblicato in G.U. n. 271 del 19-11-2010 (Allegato 3) in applicazione del Decreto legislativo n. 61/2010.

Nel dettaglio il piano prevede il 100% del controllo documentale su tutti gli utilizzatori della filiera vitivinicola, e un controllo di tipo ispettivo annuo, a campione, su una percentuale minima degli utilizzatori che può essere così sintetizzata:

15% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Viticoltore, in ordine alla verifica della persistenza delle condizioni per l’idoneità alla DO della superficie coltivata ed alla verifica del rispetto delle disposizioni di tipo agronomico impartite dal disciplinare; tale percentuale è comprensiva della verifica ante-vendemmia per accertare il rispetto della resa massima di uva/ettaro pari al 10% delle aziende;

10% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Centro intermediazione delle uve atte alla vinificazione, in ordine alla verifica della corrispondenza quantitativa del prodotto detenuto con riscontro ai relativi documenti di accompagnamento inerenti al trasporto uve ed ai registri di cantina, nonché alla rispondenza ai requisiti previsti dal disciplinare di produzione;

15% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Vinificatore, in ordine alla verifica della corrispondenza quantitativa del prodotto a DOP e atto a DOP detenuto con quanto annotato sui registri di carico e scarico e con quanto risulta sui relativi documenti di accompagnamento, nonché della conformità delle operazioni tecnologiche effettuate sui prodotti alle disposizioni impartite dal disciplinare;

7% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Vinificatore, con prelievo di campioni ai fini della verifica del titolo alcolometrico minimo previsto per la detenzione del prodotto in cantina nella relativa fase di elaborazione;

10% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Aziende di acquisto/vendita di vini sfusi atti a DOP o certificati DOP, in ordine alla verifica della corrispondenza quantitativa del prodotto detenuto con riscontro ai relativi documenti di accompagnamento inerenti al trasporto del vino ed ai registri di cantina;

20% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Imbottigliatore, in ordine alla verifica della corrispondenza quantitativa del prodotto a DOP e atto a DOP detenuto con quanto annotato sui registri di carico e scarico e con quanto risulta sui relativi documenti di accompagnamento, nonché della corrispondenza quantitativa del prodotto detenuto e del corretto uso della denominazione di origine;

7% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Imbottigliatore, con prelievo di campioni da effettuarsi sul vino a DOP già confezionato per verificare la corrispondenza del vino imbottigliato destinato al consumo con la certificazione di idoneità.

Inoltre, il piano dei controlli prevede un controllo di tipo analitico sistematico sul prodotto atto a DOP detenuto dal soggetto vinificatore e/o dal soggetto identificabile con le aziende di acquisto/vendita di vini sfusi atti a DOP o certificati DOP e/o dal soggetto imbottigliatore, prima dell’immissione al consumo, che si realizza mediante il prelievo di campioni da inoltrare alle Commissioni di degustazione ed a un Laboratorio di analisi autorizzato dal Ministero delle

politiche agricole, alimentari e forestali per i successivi esami chimico-fisico e organolettico e con la verifica della rispondenza quantitativa dei prodotti detenuti.

 

Allegato 1

 

Elenco dei Comuni:

Isola del Giglio;

Monte Argentario;

Manciano;

Orbetello.

Elenco delle Frazioni:

nel comune di Manciano:

Marsiliana.

nel comune di Monte Argentario:

Porto Santo Stefano;

Porto Ercole.

nel comune di Orbetello:

 

Albinia; 

 

VIGNETI MASSA MARITTIMA

VIGNETI MASSA MARITTIMA

 

MONTEREGIO DI MASSA MARITTIMA

D.O.C.

Decreto 18 ottobre 2011

(fonte GURI)

Modifica Decreto 30 novembre 2011

(fonte Mipaaf)

Modifica Decreto 12 luglio 2013

(fonte GURI)

 

Articolo 1

Denominazione:

 

1. La Denominazione  di  Origine  Controllata  "Monteregio  di  Massa Marittima" è riservata ai vini bianchi e rossi che  rispondono  alle condizioni e ai requisiti  stabiliti  dal  presente  disciplinare  di produzione per le seguenti tipologie:

 

"Monteregio di Massa Marittima" rosso.

"Monteregio di Massa Marittima" rosso riserva.

"Monteregio di Massa Marittima" rosato.

"Monteregio di Massa Marittima" novello.

"Monteregio di Massa Marittima" bianco.

"Monteregio di Massa Marittima" Sangiovese.

"Monteregio di Massa Marittima" Sangiovese rosato.

"Monteregio di Massa Marittima" Sangiovese novello.

"Monteregio di Massa Marittima" Sangiovese riserva.

"Monteregio di Massa Marittima" Syrah.

"Monteregio di Massa Marittima" Vermentino.

"Monteregio di Massa Marittima" Viognier.

"Monteregio di Massa Marittima" Vin Santo o "Vin Santo di  Monteregio di Massa Marittima".

"Monteregio di Massa Marittima" Vin Santo Riserva  o  "Vin  Santo  di Monteregio di Massa Marittima" riserva.

"Monteregio di Massa Marittima" Vin Santo Occhio di  Pernice  o  "Vin Santo di Monteregio di Massa Marittima" Occhio di Pernice.

"Monteregio di Massa Marittima" Vin Santo Occhio di Pernice Riserva o "Vin Santo di  Monteregio  di  Massa  Marittima"  Occhio  di  Pernice riserva.

 

Articolo 2

Base ampelografica:

 

1. I vini a Denominazione di Origine Controllata "Monteregio di Massa Marittima" devono essere ottenuti dalle uve provenienti  dai  vigneti aventi, nell'ambito aziendale, la composizione ampelografica appresso specificata:

 

"Monteregio di  Massa  Marittima"  rosso, rosso riserva, rosato e novello:

Sangiovese, minimo 50%;

possono concorrere alla produzione di detti vini, fino a  un  massimo del 50%, da sole o congiuntamente, le uve a bacca  nera,  provenienti da altri vitigni idonei alla coltivazione  per  la  Regione  Toscana.

Sono escluse le uve del vitigno Aleatico.

 

"Monteregio di Massa Marittima" Bianco:

Trebbiano toscano e Vermentino, da sole e congiuntamente,  minimo  50%;

possono concorrere alla produzione di detto vino, fino a  un  massimo del 50%, da sole o congiuntamente, le uve a bacca bianca, provenienti da altri vitigni idonei alla coltivazione  per  la  Regione  Toscana.

Sono escluse le uve del vitigno Moscato.

 

"Monteregio  di  Massa  Marittima"  Sangiovese,  Sangiovese  riserva, Sangiovese rosato e Sangiovese novello:

Sangiovese, minimo 85%;

possono concorrere alla produzione di detti vini, fino a  un  massimo del 15%, da sole o congiuntamente, le uve a bacca  nera,  provenienti da altri vitigni idonei alla coltivazione  per  la  Regione  Toscana.

Sono escluse le uve del vitigno Aleatico.

 

«Monteregio di Massa Marittima» Syrah:

Syrah, minimo 85%;

possono concorrere alla produzione di detti vini, fino a  un  massimo del 15%, da sole o congiuntamente, le uve a bacca  nera,  provenienti da altri vitigni idonei alla coltivazione  per  la  Regione  Toscana.

Sono escluse le uve del vitigno Aleatico.

 

"Monteregio di Massa Marittima" Vermentino:

Vermentino, minimo il 90%;

possono concorrere alla produzione di detto vino, fino a  un  massimo del 10%, le uve a bacca bianca, provenienti da altri  vitigni  idonei alla coltivazione per la Regione Toscana.

Sono  escluse  le  uve  del vitigno Moscato.

 

"Monteregio di Massa Marittima" Viognier:

Viognier, minimo 90%;

possono concorrere alla produzione di detto vino, fino a  un  massimo del 10%, le uve a bacca bianca, provenienti da altri  vitigni  idonei alla coltivazione per la Regione Toscana.

Sono  escluse  le  uve  del vitigno Moscato.

 

"Monteregio di Massa Marittima" Vin Santo, Vin Santo riserva:

Trebbiano toscano e Vermentino, da sole e congiuntamente,  minimo  50%;

possono concorrere alla produzione di detto vino, fino a  un  massimo del 50%, da sole o congiuntamente, le uve a bacca bianca  provenienti da altri vitigni idonei alla coltivazione per la Regione Toscana.

 

"Monteregio di Massa Marittima" Vin  Santo  Occhio  di  Pernice,  Vin Santo Occhio di Pernice riserva:

Sangiovese, minimo 50%;

possono concorrere alla produzione di detti vini, fino a  un  massimo del 50%, da sole o congiuntamente, le uve a bacca nera provenienti da altri vitigni idonei alla coltivazione per la Regione Toscana.

 

2. I vitigni idonei alla coltivazione per la Regione Toscana,  citati al precedente comma 1, sono quelli iscritti  nel  Registro  Nazionale delle varietà di vite per uve da vino approvato con  D.M.  7  maggio 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 242 del 14 ottobre 2004, da ultimo aggiornato  con  D.M.  22  aprile  2011,  pubblicato  nella

Gazzetta Ufficiale n. 170 del 23 luglio 2011.

 

Articolo 3

Zona di produzione delle uve:

 

Le uve destinate alla  produzione  dei  vini  a  Denominazione  di Origine  Controllata  "Monteregio  di  Massa  Marittima"  di  cui  al precedente articolo 2 devono  provenire  dai  vigneti  ubicati  nella parte  nord  della  provincia  di  Grosseto  inclusa  nel  territorio amministrativo dei  Comuni  di 

Massa  Marittima  e  di  Monterotondo Marittimo

e  in  parte  nei  territori  dei  Comuni  di 

Roccastrada, Gavorrano, Castiglione  della  Pescaia,  Scarlino  e  Follonica

con esclusione del fondo valle.

 

Tale zona è così delimitata:

la linea di delimitazione inizia dal punto di incontro dei comuni  di Massa Marittima, Montieri e Roccastrada in prossimità del  bivio  di Meleta; prosegue in direzione sud-est per tutta la strada  provinciale  n.  8 passando per gli abitati di Roccatederighi e Sassofortino.

Attraversa la statale n. 73, segue il fondo dei Prati e Seguentina, continua per il torrente Gretano, fino a incontrare la ferrovia Grosseto-Siena  in località Aratrice.

Prosegue lungo detta ferrovia in direzione  ovest fino alla statale n. 73 in localita' Falsacqua,  continua  verso  sud

fino alla strada provinciale di Lattaia in prossimità  di  Sticciano Stazione.

Piega quindi a ovest per Lattaia, fino alla  strada  provinciale  del Madonnino, ritorna  a  sud  fino  alla  chiesa  degli  Olmini,  piega nuovamente a ovest lungo  la  strada  delle  Selvacce,  costeggia  il Podere ex Ente Maremma Santo Stefano, raggiungendo per la via di Pian del Bichi, il Podere Ginepraie in prossimita' del ponte sul  torrente Asina, dal quale piega verso ovest seguendo il percorso  del  Torente Asina fino alla sua confluenza nel Torrente Bruna, lungo il corso del quale  raggiunge  a  poche  centinaia  di  metri  a  sud  la   strada provinciale 152  Aurelia  Vecchia. 

La  segue  verso  ovest  fino  ad arrivare alla località Lupo;  prosegue  per  la  strada  provinciale Castiglionese, entra sulla destra nella  strada della Morina fino a raggiungere l'incrocio con la  strada  che termina all'Ampio.

Prosegue quindi verso  Castiglione  della  Pescaia fino a incontrare il fosso La Valle, lo segue costeggiando  il  bosco

fino a raggiungere Val di Loro, da qui prende la strada Val di  Sona, per arrivare a Castellaccio Prile e prosegue per  la  vecchia  strada fino a Tirli.

Continua per la Strada di Sant'Anna fino al fosso  Rigo in prossimià' del podere Follonica, entra nel  comune  di  Gavorrano seguendo la strada provinciale per il vallone del  Terigi,  raggiunge l'abitato di Caldana e prosegue per la strada provinciale n. 82, fino a Gavorrano, attraversando il centro abitato di Ravi.

Da  Gavorrano, località Cave, prosegue lungo la strada poderale adiacente al bosco, attraversa  i  poderi  Palaia,  fattoria  del  Poderino  e  Biagioni, continua attraversando il fosso Anguillara e  il  podere  Cianello  e raggiunge Scarlino a quota 139.

Da Scarlino prosegue  verso  la  zona 167 e podere Canali, raggiunge il limite  comunale  sud  seguendo  la strada vicinale di Monte Muro, la valle dell'Uccelliera, il fosso  di Val Molina e quello Madonella, continua  fino  al  fosso  dei  Laschi lungo il limite comunale, raggiunge la strada provinciale del Casone.

Seguendo lo stesso fosso Laschi,  la  strada  statale  n.  322  e  la provinciale del Puntone, continua per la strada del Casone,  piega  a est lungo il canale Allacciante, raggiunge la  strada  statale  n.  1 Aurelia in prossimità di Scarlino Stazione.

Prosegue lungo l'Aurelia fino al bivio dei Rondelli, piega per la strada statale n. 349  verso Massa Marittima, si immette nella strada poderale  in  località  San Giuseppe verso il podere Cerrete, raggiunge il  confine  comunale  di Massa Marittima, seguendo la strada poderale al limite del  bosco  in località Tesorino.

Prosegue quindi per il confine comunale di  Massa Marittima e Monterotondo Marittimo per  ricongiungersi  al  punto  di

partenza in prossimità del bivio di Meleta.

 

Articolo 4

Norme per la viticoltura

 

1. Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti  destinati  alla produzione  dei  vini  a   Denominazione   di   Origine   Controllata "Monteregio di Massa Marittima" di cui all'articolo 2  devono  essere quelli tradizionali della zona e comunque atte a conferire alle  uve, ai  mosti  e  ai  vini  derivati  le  specifiche  caratteristiche  di qualità.

2. I sesti di impianto, le  forme  di  allevamento  e  i  sistemi  di potatura devono essere quelli generalmente usati o  comunque  atti  a non modificare le caratteristiche delle uve e dei vini.

3. Per i vigneti impiantati e reimpiantati dopo il 15 ottobre 1994 la densità dei ceppi non  può  essere  inferiore  a  3.300  piante  ad ettaro.

4. E' vietata ogni pratica di forzatura.

E' consentita  l'irrigazione di soccorso.

 

5. La resa massima di uva per ettaro  in  coltura  specializzata  non deve superare tonnellate

10,00 t/ha,  per i vini  a  Denominazione  di  Origine Controllata "Monteregio di Massa Marittima" rosso,  rosato,  novello, Sangiovese e Syrah, anche nelle tipologie rosato  e  novello,  e  nel "Monteregio di  Massa  Marittima"  Vin  Santo  Occhio  di  Pernice;

11,00 t/ha, per i  vini  a  Denominazione  di  Origine  Controllata "Monteregio di Massa Marittima" bianco, Vermentino e Viognier, e  nel "Monteregio di Massa Marittima" Vin Santo.

6. A detti limiti, anche in  annate  eccezionalmente  favorevoli,  la resa deve essere riportata, purché la produzione globale del vigneto non superi del 20% il limite medesimo.

7. L'eccedenza delle uve, nel limite massimo del 20%, non ha  diritto alla denominazione di origine controllata.

8. Fermi restando i limiti sopra  indicati,  la  resa  per  ettaro  a coltura promiscua deve essere calcolata, in rapporto  alla  effettiva superficie coperta dalle viti.

9. La Regione Toscana, con proprio Decreto, sentite le organizzazioni di categoria interessate, di anno in  anno,  prima  della  vendemmia, tenuto conto delle condizioni  ambientali  e  di  coltivazione,  può stabilire un limite massimo di produzione rivendicabile  di  uva  per ettaro inferiore  a  quello  fissato  dal  presente  disciplinare  di produzione,  dandone  immediata  comunicazione  al  Ministero   delle politiche agricole alimentari e forestali.

 

10. Le uve fresche destinate alla vinificazione devono assicurare  ai fini di cui all'articolo 2 un titolo alcolometrico volumico  naturale minimo:

10,00 % vol. per i vini "Monteregio di Massa  Marittima"  Bianco, "Monteregio  di  Massa  Marittima"  Vin  Santo,  Vin  Santo  riserva, "Monteregio di Massa Marittima" Vin  Santo  Occhio  di  Pernice,  Vin Santo Occhio di Pernice riserva;

10,50 % vol. per il vino "Monteregio di Massa Marittima" rosato;

11,00 % vol. per i vini "Monteregio di Massa Marittima"  rosso, rosso riserva, Novello,  Sangiovese,  Sangiovese  rosato,  Sangiovese novello, Syrah, Vermentino e Viognier.

 

Articolo 5

Norme per la vinificazione

 

1. Le operazioni di appassimento  delle  uve,  di  vinificazione,  di conservazione e di invecchiamento dei  vini  di  cui  all'articolo  2 devono essere effettuate  nell'ambito  dell'intero  territorio  della provincia di Grosseto.

2. Nella  vinificazione  ed  elaborazione  devono  essere  seguiti  i criteri tecnici più razionali ed effettuate le  pratiche  enologiche atte a conferire al prodotto finale le  migliori  caratteristiche  di qualità.

3. E' consentito l'arricchimento dei mosti e dei vini di cui all'art. 1, fatta eccezione  per  la  tipologia  "Vin  Santo",  nei  limiti  e condizioni stabilite dalle norme comunitarie e nazionali,  con  mosti concentrati  ottenuti  da  uve  prodotte  nella  zona  di  produzione delimitata dal  precedente  art.  3  o,  in  alternativa,  con  mosto concentrato rettificato o a mezzo di altre tecnologie consentite.

4. Nella vinificazione delle uve  per  il  vino  a  Denominazione  di Origine  Controllata  "Monteregio   di   Massa   Marittima"   rosato, l'eventuale contatto del  mosto  con  le  parti  solide  deve  essere limitato  onde  assicurare  le  caratteristiche  di  colore  di   cui all'articolo 6.

5. La resa massima dell'uva  in  vino,  all'atto  dell'immissione  al consumo, compresa l'eventuale aggiunta  correttiva  e  la  produzione massima di vino per ettaro sono le seguenti:

 

rosso,  rosso  riserva,  movello,  Sangiovese,  Sangiovese   novello, Sangiovese riserva, Syrah:

resa uva/vino 70%;

produzione massima vino 70 hl/ha.

 

bianco:

resa uva/vino 70%;

produzione massima vino 77 hl/ha.

 

rosato e Sangiovese rosato:

resa uva/vino 65%;

produzione massima vino 65 hl/ha.

 

Vermentino e Viognier:

resa uva/vino 65%;

produzione massima vino 71,50 hl/ha.

 

Vin Santo (anche nella tipologia riserva):

resa uva/vino 35% dell'uva fresca;

produzione massima vino 38,5 hl/ha.

 

Vin Santo Occhio di Pernice (anche nella tipologia riserva):

resa uva/vino 35% dell'uva fresca;

produzione massima vino 35 hl/ha.

 

6. Qualora la resa uva/vino superi il limite sopra indicato,  ma  non il 75%, il 70% per le tipologie Rosato, Vermentino e Viognier  e  38% per le tipologie Vin Santo e Vin Santo Occhio di Pernice (anche nelle tipologie riserva), anche se la produzione  ad  ettaro  resta  al  di sotto del limite massimo consentito, l'eccedenza non ha diritto  alla Denominazione di Origine Controllata.

Oltre detti  limiti  decade  il diritto alla  Denominazione  di  Origine  Controllata  per  tutto  il prodotto.

7. I vini a Denominazione di Origine controllata "Monteregio di Massa Marittima"  rosso  e  "Monteregio  di  Massa  Marittima"  Sangiovese, immessi al consumo con

un titolo alcolometrico volumico totale minimo del 12,00% vol.,

dopo  un  periodo  di  invecchiamento  obbligatorio  di

minimo due anni,

di cui almeno sei mesi in botti di legno

e tre  mesi di  affinamento  in  bottiglia, 

possono  portare  in  etichetta   la qualifica "riserva".

8. Il periodo d'invecchiamento  decorre  dal 

1° gennaio  successivo all'annata di produzione delle uve.

9. I vini a Denominazione di Origine Controllata "Monteregio di Massa Marittima"  rosso  e  "Monteregio  di  Massa  Marittima"  Sangiovese, imbottigliati entro il

31 dicembre dell'annata  di  produzione  delle uve,

possono essere designati in etichetta  con  il  termine  novello

purché la vinificazione delle uve sia condotta  secondo  la  tecnica della macerazione carbonica per almeno il 40% e  nella  produzione  e commercializzazione siano rispettate le altre  disposizioni  previste dalla normativa vigente per questa tipologia di vino.

10. Il tradizionale metodo di  vinificazione  per  l'ottenimento  dei vini a Denominazione di  Origine  Controllata  "Monteregio  di  Massa Marittima" Vin Santo e "Monteregio  di  Massa  Marittima"  Vin  Santo Occhio di Pernice, (anche nelle  tipologie  riserva)  prevede  quanto segue:

l'uva, dopo aver subito un'accurata cernita, deve  essere  sottoposta ad appassimento naturale e l'appassimento delle uve deve avvenire  in condizioni idonee.

E' ammessa una  parziale  disidratazione  con  aria ventilata  e  l'uva  deve  raggiungere,  prima  dell'ammostatura,  un contenuto zuccherino non inferiore al 26,60%.

La conservazione e l'invecchiamento delle  tipologie  "Monteregio  di Massa Marittima" Vin Santo  deve  avvenire  in  recipienti  di  legno (caratelli) di capacità non superiore a 500 litri.

L'immissione al consumo del "Monteregio di Massa Marittima" Vin Santo non può avvenire prima del

1° marzo  del  terzo  anno  successivo  a quello di produzione delle uve.

L'immissione al consumo del "Monteregio di Massa Marittima" Vin Santo Occhio di Pernice non può avvenire prima del 1° novembre  del  terzo anno successivo a quello di produzione  delle  uve. 

L'immissione  al consumo del "Monteregio di Massa Marittima"  Vin  Santo  riserva  non può avvenire prima del

1° novembre  del  quarto  anno  successivo  a quello  di   produzione   delle   uve;  

al   termine   del   periodo d'invecchiamento il  prodotto  deve  avere 

un  titolo  alcolometrico volumico totale minimo del 16,00% vol.

 

Articolo 6

Caratteristiche al consumo:

 

1. I vini a Denominazione di Origine Controllata «Monteregio di Massa Marittima» all'atto  dell'immissione  al  consumo  devono  rispondere rispettivamente alle seguenti caratteristiche:

 

"Monteregio di Massa Marittima" rosso:

colore: rosso rubino di buona intensità;

profumo: vinoso, fruttato;

sapore: secco;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 22,00 g/l;

 

"Monteregio di Massa Marittima" rosso riserva:

colore: rubino di buona intensità tendente al granato;

profumo: vinoso, profumo intenso, fruttato;

sapore: secco, armonico, pieno, elegante;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 22,00 g/l;

 

"Monteregio di Massa Marittima" rosato:

colore: rosa di buona intensità;

profumo: vinoso, profumo intenso, fruttato;

sapore: secco;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 18,00 g/l.

 

"Monteregio di Massa Marittima" bianco:

colore: giallo paglierino tenue;

profumo: intenso, delicato;

sapore: asciutto, di media corposità;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 16,00 g/l.

 

"Monteregio di Massa Marittima" Sangiovese:

colore: rosso rubino di buona intensità;

profumo: vinoso, fruttato e caratteristico;

sapore: armonico, asciutto, caldo ed elegante, leggermente tannico;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 22,00 g/l.

 

"Monteregio di Massa Marittima" Sangiovese riserva:

colore: rubino di buona intensità tendente al granato;

profumo: ampio vinoso, fruttato e caratteristico;

sapore: armonico, asciutto, caldo ed elegante, leggermente tannico;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 22,00 g/l.

 

"Monteregio di Massa Marittima" Sangiovese novello:

colore: rosso rubino;

profumo: vinoso, fruttato, caratteristico;

sapore: asciutto, leggermente acidulo, sapido;

zuccheri riduttori residui massimo: 6,00 g/l;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 20,00 g/l.

 

"Monteregio di Massa Marittima" Sangiovese rosato:

colore: rosa di buona intensità;

profumo: vinoso, con profumo intenso e fruttato, caratteristico;

sapore: asciutto;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 18,00 g/l.

 

"Monteregio di Massa Marittima" Syrah:

colore: da rosso rubino a granato;

profumo: caratteristico, elegante;

sapore: armonico, asciutto;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 22,00 g/l.

 

"Monteregio di Massa Marittima" Vermentino:

colore: paglierino brillante, a volte con riflessi verdognoli;

profumo: delicato, caratteristico;

sapore: secco, morbido, vellutato;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 16,00 g/l;

 

"Monteregio di Massa Marittima" Viognier:

colore: giallo paglierino brillante;

profumo: delicato, caratteristico, con nette  sensazioni  di  fruttato, fresco;

sapore: asciutto, morbido, vellutato, armonico;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 16,00 g/l.

 

"Monteregio di Massa Marittima" novello:

colore: rosso rubino;

profumo: vinoso, fruttato;

sapore: asciutto, leggermente acidulo, sapido;

zuccheri riduttori residui massimo: 6,00 gr/l;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 20,00 g/l;

 

"Vin Santo  di  Monteregio  di  Massa  Marittima"  e  "Vin  Santo  di Monteregio di Massa Marittima" riserva:

 colore: dal paglierino al dorato, fino all'ambrato intenso;

profumo: etereo, intenso, caratteristico;

sapore: armonico, vellutato, con più pronunciata rotondità  per  il tipo amabile;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 16,00% vol.;

titolo alcolometrico volumico svolto minimo: il tipo secco 12,00% svolto;

acidità totale minima: 4,50 g/l

acidità volatile massima: 30 meq/l;

estratto non riduttore minimo: 21,00 g/l.

 

"Vin Santo di Monteregio di Massa Marittima" Occhio di Pernice (anche nella tipologia riserva):

colore: da rosa intenso a rosa pallido;

profumo: caldo, intenso;

sapore: dolce, morbido, vellutato e rotondo;

titolo alcolometrico volumico totale minimo:16,00% vol.;

titolo alcolometrico volumico svolto minimo:14,00% vol.;

acidità volatile massima: 25 meq/ l;

acidità totale minima: 4,00 g/l;

estratto non riduttore minimo: 26,00 g/l.

 

2. E' facoltà del Ministero delle politiche agricole,  alimentari  e forestali modificare, modificare con proprio Decreto, i limiti minimi sopra menzionati per l'acidità totale e per l'estratto non riduttore minimo.

3. In relazione all'eventuale conservazione in recipienti di legno il sapore dei vini può rivelare sentore di legno.

 

Articolo 7

Etichettatura, designazione e presentazione:

 

1. Ai vini a Denominazione di Origine Controllata di cui all'articolo 1 è vietata l'aggiunta di qualsiasi qualificazione diversa da quelle previste dal presente disciplinare di  produzione  ivi  compresi  gli aggettivi "extra", "fine", "scelto", "selezionato e similari.

2.  E'  tuttavia consentito l'uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni  sociali  e  marchi  privati  non  aventi significato laudativo e non  idonei a trarre in inganno il consumatore.

3.  E'  consentito altresì  l'uso  di  indicazioni  geografiche   e toponomastiche aggiuntive che facciano riferimento ai comuni e alle frazioni riportati nell' Allegato A e alle fattorie, zone e località dalle quali effettivamente provengono le uve da  cui  il  vino  così qualificato e' stato ottenuto, purché nel rispetto  delle  normative vigenti in materia.

4. E' consentito inoltre l'uso del termine "vigna", accompagnato  dal relativo toponimo, ai sensi  dell'  art.  6,  comma  8,  del  Decreto legislativo n. 61/2010.

5. Sulle bottiglie contenenti  i  vini  a  Denominazione  di  Origine Controllata «Monteregio di  Massa  Marittima»  deve  sempre  figurare l'indicazione dell'annata di produzione delle uve.

 

Articolo 8

Confezionamento:

 

1.Per  il  confezionamento  dei  vini  a  Denominazione  di   Origine Controllata «Monteregio di Massa  Marittima»  sono  ammessi  tutti  i recipienti di volume nominale autorizzati dalla normativa vigente  in materia, ivi compresi i contenitori alternativi al  vetro  costituiti da un  otre  di  materiale  plastico  pluristrato  di  polietilene  e poliestere racchiuso in un involucro di cartone o di altro  materiale rigido di capacità non inferiore a  2  litri,  ad  esclusione  della

tipologia Novello.

2.Per la  tappatura  dei  vini,  allorquando  siano  confezionati  in bottiglie  di  vetro,  può  essere  utilizzata  qualsiasi  tipo   di chiusura, escluso il  tappo  a  corona  per  bottiglie  di  capacità nominale superiore a 375 ml.

Tuttavia, per  le  tipologie  "riserva",  e  per  quelle  recanti  la menzione "vigna" sono consentite soltanto bottiglie di  vetro  aventi forma ed abbigliamento consoni ai caratteri dei vini di  pregio,  con volume nominale fino a 5 litri e con chiusura a tappo di sughero raso bocca.

Il «Vin  Santo  Monteregio  di  Massa  Marittima»  e  il  «Vin  Santo Monteregio di  Massa  Marittima»  Occhio  di  Pernice  devono  essere immessi al consumo esclusivamente in bottiglie in vetro di  capacità non superiore a 3 litri, con chiusura a tappo di sughero raso bocca.

 

Articolo 9

(Legame con l’ambiente geografico)

 

A) Informazioni sulla zona geografica

A.1. Fattori naturali rilevanti per il legame.

La zona geografica delimitata ricade nella parte meridionale della regione Toscana e, in particolare, nel lembo settentrionale della provincia di Grosseto, in un ampio territorio a giacitura prevalentemente collinare e pedecollinare (media, medio-alta e alta collina) che si estende dai confini con la provincia di Livorno (a nord-ovest) fin oltre il paese di Roccastrada (ad est), per scendere verso sud fin quasi a lambire la costa tirrenica tra Follonica e Castiglione della Pescaia, mentre a nord è delimitata dai confini con le province di Pisa e Siena lungo i versanti delle Colline Metallifere. L’area delimitata comprende per intero il territorio comunale di Massa Marittima e di Monterotondo Marittimo, e in parte quello dei comuni di Roccastrada, Gavorrano, Castiglione della Pescaia, Scarlino e Follonica, con esclusione del fondo valle.

I terreni dell’area, relativamente all’origine geologica, presentano alcune varietà ambientali, dovute alla diversa natura del suolo ed alle molteplici forme dei rilievi collinari.

L’area è infatti caratterizzata da rilievi da bassa ad alta collina su formazioni prevalentemente argillose a nord e a est di Massa Marittima, e su formazioni prevalentemente marnose, marnosopelitiche e pelitiche, nonché da depositi alluvionali fluvio-lacustri a granulometria mista ad ovest e a sud di Massa Marittima; nel territorio a sud della via Aurelia, nell’area di Gavorrano, i rilievi di bassa collina poggiano su formazioni prevalentemente calcaree, arenitico-marnose e depositi alluvionali.

Alcune zone sono state fortemente condizionate dalle esondazioni dei fiumi Pecora – il cui intero bacino resta all’interno dell’area – e Bruna, quest’ultimo anche con gli affluenti di destra Carsia e Sovata, che hanno apportato sabbie e limo in quantità variabile.

La quota media varia da 128 a 343 metri s.l.m., mentre la pendenza oscilla tra l’8 ed il 12%; l’esposizione media è a sud-est.

Il clima dell’area è di tipo mediterraneo caratterizzato da stress idrici più o meno accentuati nelle fasi che precedono la maturazione dell’uva e buone escursioni termiche tra giorno e notte.

Le precipitazioni, disordinate e talvolta anche di elevata intensità, sono concentrate soprattutto nei mesi autunnali -invernali (massimo della piovosità localizzato tra la fine di ottobre e la prima decade di dicembre, col mese di novembre caratterizzato dai valori più elevati), mentre nel periodo compreso tra gennaio e maggio la pioggia è distribuita in maniera un po’ più omogenea con valori comparabili, che diminuiscono progressivamente dalla prima

decade di maggio, fino a raggiungere un minimo assoluto tra la prima e la terza decade di luglio, tanto che si può parlare di un’aridità di regola prolungata nella primavera e spesso accentuata nei mesi estivi.

Possono essere considerate tre prevalenti condizioni climatiche, e cioè quella dell’area di Follonica, con temperatura media superiore a 16°C e precipitazioni inferiori a 700 mm/anno, quella dell’area di Massa Marittima, con temperatura media di 13,5°C e precipitazioni medie di 900 mm/anno, e quella dell’area di Montieri, con temperatura media inferiore a 12°C e precipitazioni intorno ai 1.100 mm/anno, che presenta una stretta analogia con l’area a nord di Roccastrada, la quale registra precipitazioni superiori ai 1.000 mm/anno.

Può essere quindi considerato un valore medio di precipitazioni annue intorno ai 850-900 mm, con un minimo di 16,5 mm nel mese di luglio (dato medio) e un massimo di 135 mm nel mese di novembre (dato medio), ed una temperatura media annua di 14-14,5°C; l’indice di Huglin si attesta tra 2.100 e 2.500 unità, a seconda dell’area

considerata.

Le estati sono per lo più siccitose e le condizioni di aridità sono accentuate dai venti che soffiano con frequenza soprattutto dal terzo al quarto quadrante; in particolare, nella primavera soffiano venti di Scirocco e di Libeccio piuttosto carichi di salsedine, mentre nell’estate il Maestrale che, sebbene provenga dal mare, è asciutto, regolando di fatto la temperatura; in inverno non è raro, invece, che soffi, anche in modo violento, la Tramontana.

A.2. Fattori umani rilevanti per il legame.

I fattori umani legati al territorio di produzione, che per consolidata tradizione hanno contribuito ad ottenere i vini del «Monteregio di Massa Marittima», sono di fondamentale rilievo.

In quest’area, infatti, esistono testimonianze della coltivazione della vite che risalgono al periodo Etrusco – l’antica città etrusca di Vetulonia, nella parte meridionale della zona di produzione, l’area intorno al lago dell’Accesa, più a nord, e la stessa Massa Marittima sono solo alcuni esempi di insediamenti più o meno rilevanti – come confermano alcuni reperti rinvenuti nelle necropoli di Vetulonia e presso il lago dell’Accesa, tra i quali i tradizionali pithoi, recipienti particolari per la raccolta del vino proveniente dalla pigiatura delle uve e dai torchi; la tradizione viticola è continuata durante la dominazione romana, durante la quale si accentuò la tendenza al miglioramento delle tecniche di vinificazione, che rimasero insuperate fino al medioevo; in questo periodo storico, i documenti di varia natura conservati presso gli archivi monastici, confermano la diffusione della coltivazione della vite, seppur limitata alle aree prospicienti i castelli ed i conventi della zona, come il Castello di Gerfalco o il Santuario della Madonna del Frassine.

Le norme degli Statuti medioevali relativi alle comunità di Massa Marittima, Montieri e Monterotondo Marittimo, che curavano vari aspetti della vita sociale, stabilivano regole elementari per diverse attività artigianali come la macerazione del lino e la produzione del vino; anche nelle Leggi Statutarie che il comune di Massa Marittima – al tempo libera Repubblica prima che le guerre con Siena ne segnassero la caduta e l’annessione ai domini senesi – redasse tra la fine del Duecento e gli inizi del Trecento si dettavano regole precise allo scopo di evitare la dispersione delle risorse alimentari come il grano, l’olio, il vino.

Tuttavia, dovranno passare alcuni secoli perché la coltivazione della vite, nel territorio maremmano, si diffonda in modo esteso diventando, insieme all’olivo, una presenza fondamentale del paesaggio.

Solo con la dominazione dei Lorena, ed in particolare durante il governo di Pietro Leopoldo nella seconda metà del 1700, furono ideati i principali interventi rivolti allo sviluppo agricolo delle campagne ed alla bonifica delle aree paludose, non solo costiere ma anche di quelle che occupavano i fondovalle dell’entroterra.

Più tardi, il dott. Alfonso Ademollo, in una relazione all’inchiesta parlamentare Jacini, tenendo conto della vocazione viticola della Maremma, nel 1884 affermava che tutte le varietà “vegetano bene nel nostro suolo ed a noi non mancano le uve da spremere e da mangiare, queste ultime a dovizia fornite dal Monte Argentario e dall’Isola del Giglio”.

L’Ademollo, nel fornire interessanti informazioni sulla situazione viticola della provincia, così scriveva: “La vite ha sempre allignato, fino dalle epoche più remote, nella provincia di Grosseto.

Le varietà di vite da noi conosciute e coltivate sono molte, poiché si può asserire che tutte le varietà di sì prezioso sarmento, anche le esotiche, vegetano bene nel nostro suolo……

Le vigne pure da qualche tempo si sono estese ed hanno migliorato nel proprio prodotto, ma tuttavia anche per questo lato la provincia di Grosseto sarebbe capace di più, poiché la vite cresce benissimo e porge preziosi e squisiti grappoli in ogni parte della provincia, perché non abbiamo veramente né caldi né freddi eccessivi,….. perché dovunque trovasi terreni leggeri, permeabili, aridi nelle parti elevate, dovute a sabbie, a rocce decomposte, a detriti vulcanici e sassaie”.

Da ciò la categorica affermazione: “La provincia di Grosseto, per cinque sesti ha terreno adatto alla viticoltura”.

Parlando dei pregi e dei difetti del nostro vino lo stesso Ademollo così si esprimeva: “II vino, questo benefico liquido che ha tanta importanza nella pubblica e privata economia, come nella pubblica e privata salute, viene prodotto dai nostri viticoltori con sempre crescente progresso e accuratezza in ogni parte della provincia di Grosseto, sia nella zona piana, che in quella montuosa, e per la bontà e quantità in alcuni Comuni è di una rendita importante ai proprietari…… Attualmente la maggior quantità di vino viene data dai comuni di Pitigliano, Sorano, Massa Marittima e Roccastrada i quali sono pure dotati di buone Cantine per conservarlo ………..

Vini forti e generosi poi si incontrano nei comuni più marittimi i quali sono quelli di Orbetello, Monte Argentario e Giglio; Castiglione della Pescaia dà un eccellente Aleatico, che il Thaon disse superiore a qualunque vino fatto nelle altre fattorie della Toscana”.

Furono questi i presupposti che portarono alla consapevolezza che il territorio dell’alta Maremma poteva aspirare al riconoscimento della denominazione di origine controllata per i vini prodotti nella zona, riconoscimento che verrà attribuito col decreto ministeriale del 3 ottobre 1994 per i vini bianchi e rossi del «Monteregio di Massa Marittima» incentrati, per lo più, sulle uve dei vitigni Sangiovese, Trebbiano toscano, Vermentino e Malvasia bianca lunga, prodotti anche nelle versioni tradizionali Vin Santo e Vin Santo occhio di pernice, ai quali si sono aggiunti, nel corso degli anni, nei nuovi impianti, varietà internazionali, come il Merlot, Cabernet Sauvignon, Syrah e Viognier.

L’incidenza dei fattori umani, nel corso della storia, è riferita, in particolare, alla puntuale definizione dei seguenti aspetti tecnico-produttivi, che costituiscono parte integrante del vigente disciplinare di produzione:

base ampelografica dei vigneti:

i vitigni idonei alla produzione del vino in questione sono quelli tradizionalmente coltivati nell’area geografica considerata, e cioè, in primis, i vitigni autoctoni Sangiovese, Trebbiano toscano e Vermentino (in minor parte Ciliegiolo, Canaiolo nero, Malvasia bianca lunga, Ansonica, varietà idonee alla coltivazione nel territorio regionale che, perciò, concorrono eventualmente nella percentuale riservata ai vitigni complementari), affiancati da varietà alloctone quali il Syrah e il Viognier (e le altre Merlot, Cabernet Sauvignon, Chardonnay, eventualmente presenti tra i vitigni

complementari);

le forme di allevamento, i sesti d’impianto e i sistemi di potatura che, anche per i nuovi impianti, sono quelli tradizionali della zona, e cioè il Cordone speronato, il Guyot e, in misura minore, il Capovolto, tali da perseguire la migliore e razionale disposizione sulla superficie delle viti; ciò sia per agevolare l’esecuzione delle operazioni colturali con un aumento della meccanizzazione, sia per garantire una razionale gestione della chioma, consentendo di ottenere un’adeguata superficie fogliare ben esposta e, al contempo, di perseguire un contenimento delle rese di produzione di vino entro i limiti fissati dal disciplinare, rapportate ad una densità minima di 3.300 piante per ettaro, il che consente

di ottenere una buona competizione fra le piante (77 hl/ha di vino per il tipo Bianco, che scende a 71,50 hl per le tipologie varietali Vermentino e Viognier, mentre è di 70 hl/ha per il tipo Rosso ed i varietali Sangiovese e Syrah, ivi comprese le riserve ed il tipo Novello, e 65 per il Rosato ed il Sangiovese Rosato, ma di soli 38,5 hl/ha per il Vin Santo

e 35 hl/ha per il Vin Santo occhio di pernice);

le pratiche relative alla elaborazione dei vini, che sono quelle tradizionalmente consolidate in zona per la vinificazione in bianco e in rosso dei vini tranquilli, adeguatamente differenziate per le tipologie di base e le tipologie Rosso Riserva e Sangiovese Riserva, riferite, le ultime due, a rossi maggiormente strutturati ottenuti da uve con un titolo alcolometrico volumico totale minimo di 12,00% vol., caratterizzate da una elaborazione che comporta determinati periodi di invecchiamento in botti di legno ed affinamento in bottiglia obbligatori; di tradizione consolidata è anche la produzione di vini rosati ottenuti con un limitato contatto del mosto con le parti solide, proveniente dalla pigiatura di uve per lo più della varietà Sangiovese, e quella di vini novelli, prodotti secondo la tecnica della macerazione delle uve – per lo più della varietà Sangiovese – per almeno il 40%; nella stessa zona esistono anche varie espressioni di vini ottenuti da uve appassite, prodotti con la tradizionale tecnica del “vinsanto” utilizzando prevalentemente uve a bacca bianca (Trebbiano toscano e Vermentino) o bacca rossa (Sangiovese) nel caso in cui si produca la tipologia particolare “occhio di pernice”: in entrambi i casi, le uve subiscono un’accurata cernita e sono fatte appassire in locali idonei, per essere successivamente conservate ed invecchiate in tradizionali caratelli per un periodo adeguato.

 

B) Informazioni sulla qualità o sulle caratteristiche del prodotto essenzialmente o esclusivamente attribuibili all’ambiente geografico

La DOC «Monteregio di Massa Marittima» è riferita alle tipologie Bianco e Rosso “di base”, ai tipi Rosato e Novello, a quella con menzione “Riserva” per il rosso, alle tipologie varietali Sangiovese – presentata anche con la menzione “Riserva” e nelle versioni Novello e Rosato – Syrah, Vermentino e Viognier, ed alle tipologie Vin Santo, le quali, dal punto di vista analitico ed organolettico, presentano caratteristiche molto evidenti e peculiari, descritte all’articolo 6 del disciplinare, che ne permettono una chiara individuazione e tipicizzazione legata all’ambiente geografico.

In particolare, tutti i vini presentano un modesto tenore di acidità.

I vini rossi presentano un colore rosso rubino di buona intensità con riflessi violacei nei vini giovani, che sfuma al granato nei vini più maturi, comunque influenzato, nella tonalità, dalla percentuale di Sangiovese presente: il Sangiovese, infatti, rispetto ad altri vitigni come il Cabernet, il Syrah e il Merlot, conta su di una quantità di antociani totali inferiore, a vantaggio, però, di una notevole ricchezza in tannini proantocianidici e catechine.

Per questo motivo, nella tipologia “di base”, è possibile riscontrare una maggiore complessità aromatica con sfumature fruttate e speziate più evidenti e, al contempo, un’attenuazione della sensazione tannica del vitigno base – soprattutto nei vini più giovani – proprio in funzione della diversa presenza di Sangiovese (minimo 50%) e di quella di altre varietà a bacca rossa (fino al 50%), il che conferisce, ai vini, un gusto più rotondo e pieno; l’aumento della percentuale di Syrah presente, infatti, porta a ottenere vini di un colore rosso rubino molto intenso, talvolta granato, con profumi intensi di frutta matura, confettura e spezie, mentre al palato risultano morbidi e vellutati.

Nelle tipologie che si fregiano della menzione “Riserva” (per il rosso e il Sangiovese) il colore tende al rosso rubino intenso con riflessi violacei più o meno frequenti, che si tramuta in granato con l’invecchiamento, mentre l’intensità del profilo aromatico aumenta ed aumenta la sua complessità, ampiezza ed eleganza, con sentori di piccoli frutti accompagnati da evidenti note speziate, ed al palato si amplia la sensazione di lunghezza, di corpo e di volume; queste caratteristiche sono direttamente influenzate, infatti, dall’affinamento e dall’invecchiamento dei vini, ed è per questi motivi che il disciplinare stabilisce un invecchiamento minimo di sei mesi in botti di legno ed un affinamento in bottiglia di almeno tre mesi.

Il vino Novello, sia nella tipologia “di base” che in quella prodotta con rilevante presenza di uve Sangiovese, si presenta con un colore rosso rubino con sfumature violacee, profumo intenso di frutti rossi e viola, mentre al palato è morbido, leggermente acidulo, sapido.

I vini della versione Rosato, sia nella tipologia “di base” che in quella prodotta con rilevante presenza di uve Sangiovese, si presentano con un colore rosa di buona intensità, profumi intensi, fruttati, mentre al palato sono freschi, sapidi, asciutti.

I vini bianchi “tranquilli” presentano un colore giallo paglierino tenue, un profumo tendenzialmente fruttato e delicato, talvolta con note floreali, la cui ricchezza è in funzione della percentuale di Vermentino presente (minimo 50%, da solo o congiuntamente al Trebbiano toscano) e delle altre varietà a bacca bianca eventualmente utilizzate, mentre al gusto si presentano asciutti, freschi, di media corposità; l’aumento della percentuale di Viognier e Vermentino presenti, infatti, porta a ottenere vini di un colore paglierino brillante (a volte, nel Vermentino, con riflessi verdognoli), con profumi intensi e gradevoli che richiamano frutti a polpa bianca, agrumi e fiori, mentre al palato sono più morbidi e vellutati.

La tipologia Vin Santo si presenta con un colore dal paglierino al dorato fino all’ambrato intenso, un profumo ricco e complesso, etereo, intenso, con evidenti note di frutta matura, di uva passa e candita, mentre al gusto denota sensazioni vellutate, rotonde, con una notevole ampiezza, lunghezza e persistenza.

Il Vin Santo occhio di pernice è caratterizzato, invece, da un colore da rosa intenso a rosa pallido, profumi intensi di frutta matura con note che richiamano il cioccolato e la liquirizia, mentre al palato è morbido, vellutato, caldo e dolce,

molto rotondo ed ampio, con una notevole lunghezza e persistenza delle note retro olfattive.

 

C) descrizione dell’interazione causale fra gli elementi di cui alla lettera A) e quelli di cui alla lettera B)

L’orografia collinare e pedecollinare della zona di produzione (rilievi da bassa ad alta collina), nell’area compresa tra i confini con la provincia di Livorno (a nord-ovest), il paese di Roccastrada (a est), la costa tirrenica tra Follonica e Castiglione della Pescaia (a sud) ed i confini con le province di Pisa e Siena lungo i versanti delle Colline Metallifere (a nord), con una quota media che varia da 128 a 343 metri s.l.m., una pendenza media del 8-12%, una esposizione media a sud-est ed una buona ventilazione durante tutto l’anno, concorrono a determinare un ambiente areato, luminoso e con un suolo naturalmente sgrondante dalle acque reflue, particolarmente vocato per la coltivazione della vite.

Anche la tessitura e la struttura chimico-fisica dei terreni interagiscono in modo determinante con la coltura della vite, contribuendo all’ottenimento delle peculiari caratteristiche fisico chimiche ed organolettiche dei vini del «Monteregio di Massa Marittima».

In particolare, i terreni, caratterizzati da frequenti variazioni nelle diverse formazioni (prevalentemente argillose a nord e a est di Massa Marittima; marnose, marnoso-pelitiche e pelitiche, e da depositi alluvionali fluvio-lacustri a granulometria mista ad ovest e a sud di Massa Marittima; calcaree, arenitico-marnose e depositi alluvionali a sud della via Aurelia, nell’area di Gavorrano), presentano un’elevata profondità utile per lo sviluppo radicale, una buona capacità di drenaggio ed una buona/moderata capacità di acqua disponibile, condizioni tali da consentire un buon sviluppo vegeto-produttivo delle coltivazioni arboree.

Sono terreni per lo più abbastanza sciolti, sabbiosi e sabbioso-argillosi, calcarei e spesso frammisti a ghiaia e silice, talvolta riposano nelle arenarie di vario tipo, nell’eocene e su conglomerati rocciosi di travertino, con buona dotazione nutritiva, modesto tenore in humus, fosforo e potassio (zone collinari e pedecollinari e retroterra maremmano); in alcuni casi (colline che contornano la piana da Follonica a Gavorrano e Ribolla) sono terreni grossolani, ghiaiosi - sabbiosi profondi, che poggiano sul terzo orizzonte pliocenico o su ciottolami del quaternario, provvisti di ciottoli calcarei e silicei, molto aridi.

In entrambi i casi, questi terreni presentano una spiccata attitudine alla coltivazione della vite e, per tali ragioni, risultano pienamente idonei ad una vitivinicoltura di qualità, in particolare se coltivati con l’ausilio di pratiche agronomiche e gestionali dei suoli corrette (quali inerbimento, potatura verde, alta densità di impianto) e basse rese produttive.

Anche il clima della zona di produzione, caratterizzato da una buona piovosità (media intorno ai 850-900 mm/anno), con scarse piogge estive (intorno ai 100-110 mm) e una certa aridità nei mesi di luglio e agosto – tanto da far riscontrare lievi stress idrici nelle fasi che precedono la maturazione dell’uva –, da ottimi valori dell’indice bioclimatico di Huglin (tra 2100 e 2500°C-giorno), da una buona temperatura media annuale (tra i 12 e i 16°C a seconda delle

aree), unita ad una ventilazione sempre presente anche nel periodo primaverile-estivo grazie alle brezze di Maestrale che soffiano nelle ore più calde della giornata, contribuendo a regolare le temperature ed a creare un ambiente sfavorevole alle malattie parassitarie, il tutto unito ad una temperatura piuttosto elevata, con ottima insolazione, nei mesi di settembre ottobre e buone escursioni termiche tra giorno e notte, consente alla vite di ottenere un giusto

equilibrio vegetativo, permettendo una lenta, graduale ed ottimale maturazione fisiologica delle uve, contribuendo in maniera significativa alle particolari caratteristiche organolettiche dei vini del «Monteregio di Massa Marittima».

La millenaria storia vitivinicola riferita al territorio dell’alta Maremma grossetana, dall’epoca etrusca a quella romana, al medioevo, fino ai giorni nostri, attestata da numerosi documenti e testimonianze storiche, è la prova fondamentale della stretta connessione ed interazione tra i fattori umani e la qualità e le caratteristiche peculiari dei vini del «Monteregio di Massa Marittima».

È la testimonianza, perciò, di come l’intervento dell’uomo in questo particolare territorio abbia tramandato, nel corso dei secoli, le tecniche tradizionali di coltivazione della vite ma anche le rituali prassi enologiche, le quali, tuttavia, in epoca moderna, sono state migliorate ed affinate, grazie all’indiscutibile progresso scientifico e tecnologico, fino ad ottenere i vini della denominazione «Monteregio di Massa Marittima», le cui caratteristiche peculiari sono

specificamente descritte all’articolo 6 del disciplinare di produzione.

In tutti questi secoli, la coltivazione della vite ha sempre costituito un’attività primaria nell’ambito dell’economia agricola del territorio dell’alta Maremma grossetana, così come la tradizione vinicola, spesso perpetrata dai monaci benedettini nei periodi più bui del basso medioevo, ed oggi ancora riscontrabile visitando alcune vecchie cantine presenti nelle vie dei paesi della zona, come Massa Marittima, Roccastrada o Gavorrano.

Di notevole rilievo storico è anche il nome tradizionale che accompagna il nome geografico “Massa Marittima” e che, insieme a questo, costituisce la denominazione tutelata. Monteregio, infatti, rappresenta il castello dell’antica città Massa Metallorum, probabilmente sorto intorno all’anno 840, quando venne a stabilirsi in questa città la sede vescovile di Populonia, ed ampliato e fortificato agli inizi del 1200 con la Repubblica del libero comune di Massa Marittima; più tardi (1744) verrà restaurato e riadattato ad Ospedale da Francesco III di Lorena.

L’importanza del castello di Monteregio e la motivazione della scelta di questo nome per rappresentare la denominazione di origine, è nella sua posizione topografica: da lì, infatti, si domina uno spazio amplissimo, dalle Cornate di Gerfalco al mare, tra declivi e collinette a volger d’occhi, con la vallata ampia e pianeggiante fino al Golfo di Follonica, che rappresenta, perciò, buona parte del territorio compreso nella Doc «Monteregio di Massa Marittima».

L’importanza dell’attività viticola e di trasformazione del vino sul territorio vanta numerose attestazioni e testimonianze, dalle norme degli Statuti medioevali relativi alle comunità di Massa Marittima, Montieri e Monterotondo Marittimo e dalle Leggi Statutarie di Massa Marittima – che prevedevano una specifica regolamentazione della produzione e del consumo del vino – fino all’opera intrapresa, secoli più tardi, dal governo di Pietro Leopoldo di Lorena

(seconda metà del 1700) con interventi per il recupero dell’attività agricola e viticola dallo stato di abbandono in cui si trovava. La viticoltura, tuttavia, conobbe un vero impulso solo nel corso del XIX° secolo, come attestato anche dal dott. Alfonso Ademollo in una relazione all’inchiesta parlamentare Jacini.

Egli, infatti, nel 1884, affermava che tutte le varietà si adattano bene al territorio maremmano, una zona dove la vite è sempre esistita, fin dalle epoche più remote; nella stessa relazione, che fotografa perfettamente la situazione della

viticoltura maremmana alla fine del 1800, egli afferma che le varietà coltivate sono numerose, alcune delle quali anche “internazionali”, perfettamente adattate al territorio, concludendo che quasi l’intera provincia presenta un’elevata vocazione alla viticoltura grazie a un clima mai eccessivamente caldo o freddo e a terreni leggeri, permeabili, freschi, ricchi di scheletro, di rocce decomposte o detriti vulcanici.

Inoltre, relativamente ai pregi e difetti del vino prodotto sul territorio maremmano, ne sottolinea la diffusa qualità in ogni parte della provincia, grazie anche all’opera accurata dei viticoltori, segnalando, come aree di maggiore produzione, i territori dei comuni di Massa Marittima e Roccastrada, dotati anche di buone cantine per la conservazione, non dimenticando anche i comuni più marittimi come Castiglione della Pescaia, ricordato per un eccellente Aleatico.

Con il trascorrere degli anni, la nascita delle prime cantine cooperative (in primis quella di Braccagni-Montepescali, ora scomparsa, e quella del Cristo di Marina di Grosseto) e ilcontributo proveniente dall’attività di sperimentazione e di studio condotta sul territorio dalle istituzioni pubbliche (provincia di Grosseto, Università degli Studi di Firenze e di Pisa) e da parte delle aziende private, si crearono i presupposti per richiedere il riconoscimento della denominazione di origine controllata per il territorio del Monteregio, nell’intento di valorizzare i vini ottenuti su questa area, in modo da evidenziarne le peculiarità e le ottime caratteristiche qualitative.

Nel 1994, col decreto ministeriale del 3 ottobre, è stata così riconosciuta la denominazione di origine controllata per i vini prodotti nel territorio del «Monteregio di Massa Marittima» basata, nelle tipologie rosse, come ovvio, sul Sangiovese – vitigno da sempre coltivato in questo comprensorio – e in quelle bianche sul Trebbiano toscano, il Vermentino e la Malvasia bianca lunga, prodotti anche nelle versioni tradizionali Vin Santo e Vin Santo occhio di

pernice.

Ma l’attività di sperimentazione e di studio su varietà di vite diverse dal Sangiovese e su metodi di vinificazione più innovativi, non si interruppe col riconoscimento della denominazione di origine, semmai si fece più dinamica, tanto che, grazie anche all’impianto di nuovi vigneti e alla nascita di nuove aziende, i risultati emersi convinsero i produttori

dell’area del Monteregio che era necessario aggiornare il disciplinare di produzione, riducendo la presenza del Sangiovese nella tipologia “di base” e, al contempo, introducendo nuove tipologie varietali come il Syrah e lo stesso Sangiovese (prodotte con almeno l’85% delle rispettive varietà) e come il Viognier, impiegato per almeno il 90%.

Ciò è stato sancito con la modifica del disciplinare intervenuta col decreto ministeriale del 18 ottobre 2011.

 

Articolo 10

(Riferimenti alla struttura di controllo)

Nome e indirizzo:

Valoritalia Srl

Sede legale

Via Piave, 24

00187 ROMA

Tel.: +390645437975;

Fax: +390645438908;

e-mail: info@valoritalia.it

Valoritalia S.r.l assicura che il processo produttivo ed il prodotto certificato rispondano ai requisiti stabiliti dal disciplinare di produzione.

Valoritalia società per la certificazione delle qualità e delle produzioni vitivinicole italiane s.r.l. è l’Organismo di controllo autorizzato dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 61/2010 , che effettua la verifica annuale del rispetto delle disposizioni del presente disciplinare, conformemente all’art. 25, paragrafo 1, 1° capoverso, lettere a) e c), ed all’art. 26 del Regolamento CE n. 607/2009, per i prodotti beneficianti della DOC, mediante una metodologia dei controlli sistematica nell’arco dell’intera

filiera produttiva (viticoltura, elaborazione, confezionamento), conformemente al citato art. 25, paragrafo 1, 2° capoverso, lettera c).

In particolare, tale verifica è espletata nel rispetto di un predeterminato piano dei controlli, approvato dal citato Ministero, conforme al modello approvato col DM 2 novembre 2010, pubblicato in G.U. n. 271 del 19-11-2010 (Allegato 3) il quale prevede il 100% del controllo documentale su tutti gli utilizzatori della filiera vitivinicola, ed un controllo di tipo ispettivo annuo, a campione, su una percentuale minima degli utilizzatori.

Le attività di controllo per ognuno dei soggetti interessati (viticoltori, imbottigliatori e vinificatori) possono essere così sintetizzate:

15% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Viticoltore, in ordine alla verifica della persistenza delle condizioni per l’idoneità alla DO della superficie coltivata ed alla verifica del rispetto delle disposizioni di tipo agronomico impartite dal disciplinare; tale percentuale è comprensiva della verifica ante-vendemmia per accertare il

rispetto della resa massima di uva/ettaro pari al 10% delle aziende;

10% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Centro intermediazione delle uve atte alla vinificazione, in ordine alla verifica della corrispondenza quantitativa del prodotto detenuto con riscontro ai relativi documenti di accompagnamento inerenti al trasporto uve ed ai registri di cantina, nonché alla rispondenza ai requisiti previsti dal disciplinare di produzione;

15% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Vinificatore, in ordine alla verifica della corrispondenza quantitativa del prodotto a DOP e atto a DOP detenuto con quanto annotato sui registri di carico e scarico e con quanto risulta sui relativi documenti di accompagnamento, nonché della conformità delle operazioni tecnologiche effettuate sui prodotti alle disposizioni impartite dal disciplinare;

7% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Vinificatore, con prelievo di campioni ai fini della verifica del titolo alcolometrico minimo previsto per la detenzione del prodotto in cantina nella relativa fase di elaborazione;

10% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Aziende di acquisto/vendita di vini sfusi atti a DOP o certificati DOP, in ordine alla verifica della corrispondenza quantitativa del prodotto detenuto con riscontro ai relativi documenti di accompagnamento inerenti al trasporto del vino ed ai registri di cantina;

20% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Imbottigliatore, in ordine alla verifica della corrispondenza quantitativa del prodotto a DOP e atto a DOP detenuto con quanto annotato sui registri di carico e scarico e con quanto risulta sui relativi documenti di accompagnamento, nonché della corrispondenza quantitativa del prodotto detenuto e del corretto uso della denominazione di origine;

7% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Imbottigliatore, con prelievo di campioni da effettuarsi sul vino a DOP già confezionato per verificare la corrispondenza del vino imbottigliato destinato al consumo con la certificazione di idoneità.

Inoltre, il piano dei controlli prevede un controllo di tipo analitico sistematico sul prodotto atto a DOP detenuto dal soggetto vinificatore e/o dal soggetto identificabile con le aziende di acquisto/vendita di vini sfusi atti a DOP o certificati DOP e/o dal soggetto imbottigliatore, prima dell’immissione al consumo, che si realizza mediante il prelievo di campioni da inoltrare alle Commissioni di degustazione ed a un Laboratorio di analisi autorizzato dal Ministero delle

politiche agricole, alimentari e forestali per i successivi esami chimico-fisico e organolettico e con la verifica della rispondenza quantitativa dei prodotti detenuti.

 

Allegato A

 

Elenco dei Comuni:

Castiglione della Pescaia

Follonica

Gavorrano

Monterotondo Marittimo

Roccastrada

Scarlino

 

Elenco delle Frazioni:

nel comune di Castiglione della Pescaia:

Vetulonia

Ampio

Buriano

 

nel comune di Gavorrano:

Giuncarico

Caldana

Ravi

Castellaccia

 

nel comune di Roccastrada:

Montemassi

Ribolla

Roccatederighi

Meleta

Sticciano

Pian del Bichi

 

nel comune di Massa Marittima:

Tatti

Valpiana

Perolla

Ghirlanda

Montebamboli

Cura Nuova

 

nel comune di Monterotondo Marittimo:

Frassine.

 

 

N.B. fa fede solo il testo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

 

 

VIGNETI PARRINA ORBETELLO

VIGNETI PARRINA ORBETELLO

 

PARRINA

D.O.C.

Decreto 28 settembre 2009

(fonte Guri)

Modifica 30 novembre 2011

(fonte Mipaaf9

 

Articolo 1       

 

La denominazione di origine controllata “Parrina”  è riservata ai vini che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione per le seguenti tipologie:

Parrina rosso

Parrina rosso riserva

Parrina rosato

Parrina Sangiovese

Parrina Sangiovese riserva

Parrina Cabernet Sauvignon

Parrina Merlot

Parrina bianco

Parrina Vermentino

Parrina Chardonnay

Parrina Sauvignon

Parrina Vin Santo 

 

Articolo 2       

 

I vini a DOC “Parrina” devono essere ottenuti da uve di vigneti aventi, in ambito aziendale, la seguente composizione ampelografica:

 

“Parrina rosso e rosso riserva”

Sangiovese minimo 70%

possono concorrere alla produzione di detti vini anche le uve di altri vitigni a bacca rossa, non aromatici, idonei alla coltivazione per la Regione Toscana,, da soli o congiuntamente, fino ad un massimo del 30%.

 

“Parrina rosato”

Sangiovese minimo 70%

possono concorrere alla produzione di detti vini anche le uve di altri vitigni a bacca rossa, non aromatici, idonei alla coltivazione per la Regione Toscana,, da soli o congiuntamente, fino ad un massimo del 30%.

 

“Parrina bianco”

Trebbiano toscano (Procanico) dal 10 al 30%

Ansonica dal 30 al 50%

Vermentino dal 20 al 40%

Chardonnay e Sauvignon da soli o congiuntamente massimo 20%

per il complessivo rimanente, possono concorrere alla produzione di detto vino le uve di altri vitigni a bacca bianca, non aromatici, idonei alla coltivazione per la Regione Toscana.

 

“Parrina Vin Santo”

Trebbiano toscano dal 10 al 30%

Ansonica dal 30 al 50%bodylt;/span>

Vermentino dal 20 al 40%

Chardonnay e Sauvignon da soli o congiuntamente massimo 20%

per il complessivo rimanente, possono concorrere alla produzione di detto vino le uve di altri vitigni a bacca bianca, non aromatici, idonei alla coltivazione per la Regione Toscana.

 

“Parrina Vermentino”

Vermentino minimo 85%

“Parrina Chardonnay”

Chardonnay minimo 85%

“Parrina Sauvignon”

Sauvignon minimo 85%

possono concorrere alla produzione di detti vini anche le uve di altri vitigni a bacca bianca, non aromatici, idonei alla coltivazione per la Regione Toscana,, da soli o congiuntamente, fino ad un massimo del 15%.

 

“Parrina Sangiovese e Sangiovese riserva”

Sangiovese minimo 85%

“Parrina Cabernet Sauvignon”

Cabernet Sauvignon minimo 85%

“Parrina Merlot”

Merlot minimo 85%

possono concorrere alla produzione di detti vini anche le uve di altri vitigni a bacca rossa, non aromatici, idonei alla coltivazione per la Regione Toscana,, da soli o congiuntamente, fino ad un massimo del 15%.

 

Art 3   

 

Le uve devono essere prodotte nella zona che comprende parte del territorio amministrativo del comune di:

Orbetello

in provincia di Grosseto.

Tale zona è così delimitata:

partendo dalla Fornace Bartolini sita nei pressi della stazione ferroviaria di Albinia la linea di delimitazione segue il corso del Torrente Radicata, dalla strada statale n. 74 fino al ponte del Fosso del Magione nei pressi della località Priorato. Segue detto Fosso Magione fino a quota 6 e quindi, verso nord – est, per 750 metri la strada poderale che conduce alla fattoria La Polverosa per raggiungere al km 6,700 la strada statale n. 74 Maremmana, dopo aver costeggiato il limite orientale del campo di aviazione.

Segue detta strada statale n. 74 fino al km 8,000 e, piegando a destra, continua lungo la strada doganale fino alla quota 14 in prossimità della sorgente del Fosso Magione.

Dalla quota 14, in direzione ovest, la linea di delimitazione segue le pendici delle colline rocciose di Poggio Raso, Poggio Spocciatoio e Poggio Pratino, fino a raggiungere la strada poderale che collega il Priorato con la Torretta.

Da detta strada sale verso la cresta del Poggio Pratino e, con una linea spezzata che tocca – prima verso sud e poi verso ovest – le quote 99, 166, 153, 174 (Poggio della Fata), 164, 154, 77 (Poggio Fornace), giunge alla strada di Vecchia Dogana presso il Casale di Terra Nuova e successivamente al Casale Tiberini.

Di qui segue la strada vicinale che passa per Cerreto, toccando il Casale Guglielmina, fino ad incontrare la strada vicinale che conduce alla cantoniera del Ramo per poi continuare lungo la strada costruita dall’Ente Maremma, che corre quasi parallela alla ferrovia Roma – Pisa dalla suddetta cantoniera del Ramo fino alla Fornace Bartolini, punto di partenza della delimitazione.

 

Articolo 4       

 

Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti destinati alla produzione dei vini a DOC “Parrina” devono essere quelle tradizionali della zona e, comunque, atte a conferire alle uve e ai vini derivati le loro specifiche caratteristiche di qualità.

Sono pertanto da considerarsi idonei, ai fini dell’iscrizione all’Albo dei Vigneti di cui all’articolo 15 della legge 10 Febbraio 1992 n. 164, unicamente i vigneti compresi nella fascia collinare e pedecollinare.

I nuovi impianti e i reimpianto devono prevedere un minimo di 3.300 ceppi per ettaro

E la produzione massima per ceppo non deve essere superiore mediamente i

kg. 2,700 per le tipologie rosse

kg. 3,000 per le tipologie bianche

E’ vietata ogni pratica di forzatura.

E’ consentita l’irrigazione di soccorso.

La resa massima di uva ammessa per ettaro di vigneto in coltura specializzata per la produzione dei vini a DOC “Parrina” non deve essere superiore a:

vitigni rossi: 9,00 t/ha

vitigni bianchi: 10,00 t/ha

A tali limiti, anche in annate eccezionalmente favorevoli, la resa dovrà essere riportata attraverso un’accurata cernita delle uve, purché la produzione globale non superi del 20% i limiti medesimi.

L’eccedenza delle uve, nel limite massimo del 20%, non ha diritto alla denominazione di origine controllata.

La regione Toscana con proprio decreto, sentite le organizzazioni di categoria interessate, di anno in anno, prima della vendemmia, tenuto conto delle condizioni ambientali di coltivazione, può stabilire un limite massimo di produzione di uva per ettaro inferiore a quelli fissati nel presente disciplinare di produzione, dandone immediata comunicazione al Ministero per le politiche agricole e forestali – Comitato nazionale per la tutela e la valorizzazione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche tipiche dei vini e alla competente C.C.I.A.A. di Grosseto.

 

Le uve destinate alla vinificazione devono assicurare ai vini a DOC “Parrina” un titolo alcolometrico volumico naturale minimo di:

“Parrina rosso e rosato”: 11,00% vol.

“Parrina bianco”: 11,00% vol.

“Parrina più vitigno”: 11,00% vol.

“Parrina rosso riserva”          : 12,00% vol.

“Parrina Sangiovese riserva”: 12,00% vol.

 

Articolo 5       

 

Le operazioni di vinificazione e di invecchiamento obbligatorio devono essere effettuate all’interno della zona di produzione delimitata al precedente art. 3.

Tuttavia tenuto conto delle situazioni tradizionali di produzione, è consentito che tali operazioni siano effettuate nell’intero territorio dei comuni di:

Orbetello, Capalbio;

in provincia di Grosseto.

Nella vinificazione dei vini a DOC “Parrina” sono ammesse soltanto le pratiche enologiche locali, leali e costanti atte a conferire ai vini medesimi le loro peculiari caratteristiche.

La resa massima delle uve in vino per tutti i tipi della DOC “Parrina” non deve essere superiore al 70%.

Qualora la resa uva/vino superi il limite sopra indicato ma non oltre il 75%, l’eccedenza non avrà diritto alla denominazione di origine controllata.

Oltre detto limite percentuale decade il diritto alla denominazione di origine controllata per tutto il prodotto.

Per la tipologia “Parrina rosso riserva” e “Parrina Sangiovese riserva” è obbligatorio  l’invecchiamento di almeno:

due anni di cui uno in botti di legno e almeno tre mesi in bottiglia

a decorrere dal 1° Novembre dell’anno di produzione delle uve

per le tipologie “Parrina rosso, Parrina Rosato, Parrina Sangiovese, Parrina Cabernet Sauvignon e Parrina Merlot” l’immissione al consumo non può avvenire prima del

1° Marzo dell’anno successivo a quello di produzione delle uve.

per le tipologie “Parrina bianco, Parrina Chardonnay, Parrina Sauvignon e Parrina Vermentino” l’immissione al consumo non può avvenire orima del

31 Dicembre dell’anno di produzione delle uve 

per la produzione della tipologia “Parrina Vin Santo” il metodo di vinificazione prevede quanto segue:

l’uva, dopo aver subito un’accurata cernita, deve essere sottoposta ad appassimento e può essere ammostata non prima del

1° Dicembre dell’anno di produzione delle uve

e non oltre il

31 Marzo dell’anno successivo

l’appassimento delle uve deve avvenire in locali idonei, è ammessa una parziale disidratazione con aria ventilata, fino al raggiungere un contenuto zuccherino non inferiore al 26,00%.

La conservazione e l’invecchiamento devono essere effettuate in recipienti di legno (caratelli) di capacità non superiore a 300 litri per un periodo di almeno

due anni

Per il vino a DOC “Parrina Vin Santo” la resa massima dell’uva  in vino finito non deve essere superiore al 35% dell’uva fresca al terzo anno d’invecchiamento del vino, l’immissione al consumo non può avvenire prima del

1° Novembre del terzo anno successivo a quello di produzione delle uve.

 

Articolo 6       

 

I vini a DOC “Parrina”, all’atto dell’immissione al consumo, devono rispondere alle seguenti caratteristiche:

 

“Parrina rosso”

colore: rosso rubino più o meno intenso;

profumo: delicato, gradevole;

sapore: asciutto, armonico, vellutato;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol.;

acidità totale minima: 4,50 gr/l.;

estratto non riduttore minimo:          20,00 gr/l.

 

“Parrina rosso riserva”

colore: rosso rubino tendente al granata;

profumo: intenso, pieno e complesso;

sapore: asciutto, austero, di notevole carattere;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,50% vol.;

acidità totale minima: 4,50 gr/l.;

estratto non riduttore minimo:          23,00 gr/l.

 

“Parrina rosato”

colore: rosato brillante;

profumo: delicato, elegante;

sapore: asciutto, rotondo, fresco, armonico;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.;

acidità totale minima: 5,00 gr/l.;

estratto non riduttore minimo:          17,00 gr/l.

 

“Parrina Sangiovese”

colore: rosso rubino più o meno intenso;

profumo: delicato, gradevole;

sapore: asciutto, armonico, vellutato;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol.;

acidità totale minima: 4,50 gr/l.;

estratto non riduttore minimo:          20,00 gr/l.

 

“Parrina Sangiovese riserva”

colore: rosso rubino tendente al granata;

profumo: intenso, pieno e complesso;

sapore: asciutto, austero, di notevole carattere;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,50% vol.;

acidità totale minima: 4,50 gr/l.;

estratto non riduttore minimo:          22,00 gr/l.

 

“Parrina Merlot”

colore: rosso rubino vivo talvolta con riflessi violacei;

profumo: ampio, con sentore di piccoli frutti;

sapore: asciutto, armonico, strutturato, con note speziate tipiche;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,50% vol.;

acidità totale minima: 4,50 gr/l.;

estratto non riduttore minimo:          22,00 gr/l.

 

“Parrina Cabernet Sauvignon”

colore: rosso rubino vivo;

profumo: intenso, con note speziate;

sapore:            asciutto, corposo, armonico, giustamente tannico;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,50% vol.;

acidità totale minima: 4,50 gr/l.;

estratto non riduttore minimo:          20,00 gr/l.

 

“Parrina bianco”

colore: giallo paglierino leggermente dorato;

profumo: vinoso, fine, persistente;

sapore: secco, vellutato con leggero retrogusto amarognolo;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol.;

acidità totale minima: 5,00 gr/l.;

estratto non riduttore minimo:          16,00 gr/l.

 

“Parrina Chardonnay”

colore: giallo paglierino;

profumo: intenso, elegante, caratteristico, con sottofondo aromatico;

sapore: secco, armonico, elegante;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol.

acidità totale minima: 5,00 gr/l.;

estratto non riduttore minimo:          16,00 gr/l.

 

“Parrina Sauvignon”

colore: giallo paglierino;

profumo: intenso, elegante, caratteristico, talvolta aromatico;

sapore: secco, armonico, elegante;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol.

acidità totale minima: 5,00 gr/l.;

estratto non riduttore minimo:          16,00 gr/l.

 

“Parrina Vermentino”

colore: giallo paglierino, talvolta con riflessi verdognoli;

profumo: delicato, caratteristico, fruttato;

sapore: secco, armonico, sapido, caratteristico;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol.

acidità totale minima: 5,00 gr/l.;

estratto non riduttore minimo:          16,00 gr/l.

 

In relazione all’eventuale conservazione in recipienti di legno, ove consentiti, il sapore dei vini può rilevare percezioni di legno.

E’ facoltà del Ministero per le politiche agricole e forestali – Comitato nazionale per la tutela e la valorizzazione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche tipiche dei vini, modificare, con proprio decreto, i limiti sopra indicati per l’acidità totale e l’estratto non riduttore minimo.

 

 

Articolo 7       

 

Nella etichettatura, designazione e presentazione dei vini a DOC “Parrina” è vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione diversa da quelle espressamente previste dal presente disciplinare di produzione, ivi compresi gli aggettivi: extra, fine, scelto, selezionato, superiore e similari.

E’ consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali, marchi privati, purché privi di significato laudativo e non idonei a trarre in inganno l’acquirente.

Le indicazioni tendenti a specificare l’attività agricola dell’imbottigliatore quali: viticoltore, podere, fattoria, tenuta, cascina ed altri termini similari, sono consentite in osservanza alle disposizioni comunitarie e nazionali in materia.

Per tutte le tipologie di cui all’articolo 1, sulle bottiglie o altri recipienti contenenti i vini a DOC “Parrina” deve  figurare obbligatoriamente l’indicazione dell’annata di produzione delle uve .

In sede di designazione del vino a DOC “Parrina rosso e Parrina Sangiovese”, la specificazione aggiuntiva “riserva” deve figurare in etichetta al di sotto della dicitura “denominazione di origine controllata” e pertanto non può essere intercalata tra quest’ultima dicitura e la denominazione di origine “Parrina”.

In ogni caso tale specificazione di tipologia deve figurare in caratteri di dimensioni non superiori a quelli utilizzati per la denominazione di origine “Parrina” della stessa evidenza e riportati sulla medesima base colorimetrica.

E’ consentito altresì l’uso di indicazioni geografiche e toponomastiche che facciano riferimento a frazioni, aree, zone e località dalle quali effettivamente provengono le uve da cui il vino così qualificato è stato ottenuto, alle condizione previste dai decreti ministeriali 22/04/1992.

 

Articolo 8       

 

I vini a DOC “Parrina” di cui all’articolo 1, possono essere immessi al consumo in recipienti di vetro, di capacità non superiore a litri 5,000.

I vini a DOC “Parrina Vin Santo” devono essere immessi al consumo esclusivamente in bottiglie di capacità non superiore a 0,750 litri.

Per le tipologie “Parrina rosso e Parrina bianco” è consentito l’uso di contenitori alternativi al vetro, costituiti da un otre di materiale plastico pluristrato di polietilene e poliestere racchiuso in un involucro di cartone o di altro materiale rigido, nei volumi da 2,000 a 20,000 litri.

 

Articolo 9

(Legame con l’ambiente geografico)

 

A) Informazione sulla zona geografica

A1) Fattori naturali rilevanti per il legame.

La zona di produzione della doc Parrina è una piccola zona che ricade nell’ambiente pedocollinare a nord est di Orbetello e comprende parte del territorio comunale di Orbetello.

Il territorio interessato dalla denominazione di origine è quello individuato dal decreto ministeriale con cui fu riconosciuta la denominazione, che risale all’11 agosto 1971.

Nella parte collinare i terreni, prevalentemente di origine eocenica, derivano da arenarie inferiori o scisti arenari, mentre nella zona pedocollinare si trovano terreni neogenici e quaternari di consistenza sabbiosa.

Le caratteristiche dei suoli indicano che la zona in oggetto è caratterizzata da due tipi di terreno uno avente tessitura prevalentemente sabbiosa a bassissima Capacità di Scambio Cationico, e l’altro argilloso-sabbiosa ad elevata Capacità di Scambio Cationico, mentre meno presente risulta la tessitura sabbioso-limosa.

Il pH dei terreni si differenzia in due categorie, uno acido o sub acido, con pH che vanno da un minimi di 5,2 a 6, 7, e dalla’altro un pH sub alcalino che si aggira intorno 7,2- 7,9.

Conseguentemente abbiamo da un lato terreni calcio carenti e dall’altro leggermente calcarei.

È generalizzata il basso livello di sostanza organica, che nei riguardi della vite rappresenta un elemento fondamentale per indurre buona qualità, giusto equilibrio vegeto-produttivo e sanità delle uve.

Buona è in generale la dotazione di microelementi, e di potassio, mentre in particolari situazioni possono essere dotazioni insufficienti talvolta di magnesio, di potassio o di fosforo, tali da non determinare inconvenienti nutrizionali in quanto possono essere riportate alla normalità con apporti mirati di fertilizzanti.

 

A2) Fattori umani rilevanti per il legame.

La tradizione viticola di questo territorio la possiamo far risalire già al tempo degli Etruschi, i quali avevano appreso la tecnica della coltura della vite attraverso i loro contatti con le civiltà mediterranee dei fenici e dei greci pratiche che vennero successivamente imparate e diffuse dai romani.

E ancora in epoca successiva Alla Parrina parve continuarsi nel patrimonio personale la tradizione dei Lorena, l'opera di governo di bonificamento e trasformazione dell'assetto fondiario, in Maremma era rimasta, dell'età granducale, la cultura dell'innovazione agraria, sollecitata e diffusa da antiche istituzioni come la Società Agraria e il Comizio Agrario, ispirate dall'Accademia dei Georgofili.

Di epoca successiva è la coniazione del nome La Tenuta la Parrina che da il nome alla denominazione vanta una lunga tradizione nella produzione vitivinicola.

Infatti si ritiene che il suo nome sia derivata dalla presenza spagnola del XVI-XVIII secolo. Infatti, dopo la cessione della Toscana ai Medici, gli spagnoli fondarono lo stato dei Presidi (1557-1815) comprendente Portolongone (Isola d’Elba), Porto Ercole, Santo Stefano, Ansedonia ed Orbetello, che ne era la capitale.

Vi sono numerose testimonianze di questa presenza nel territorio, nella lingua, nei monumenti e nei toponimi tra i quali può essere annoverato quello di “Parrina” che deriverebbe da “Parra” ovvero pergola di vite.

Numerosi scritti attestano la vocazione vitivinicola di questa zona, tra i quali assume particolare rilievo la relazione del Dr. Alfonso Ademollo (1884) all’inchiesta parlamentare Iacini, sulla situazione vitivinicola della provincia di Grosseto. Inoltre, nella “monografia sulla vite e il vino nel territorio di Orbetello” l’enotecnico Luigi Vivarelli (1906) afferma: “la vite viene coltivata esclusivamente in coltura specializzata utilizzando come sostegni le canne, che sarebbe bene

sostituire con i fili di ferro. Inoltre la potatura più comune è a cornetti a 5-6 occhi per vite, ma si potrebbe introdurre con vantaggio il Guyot”.

Il vino della zona della Parrina, ed in particolare quello bianco, era conosciuto ed apprezzato soprattutto nel luogo d’origine, nelle osterie e nelle locande della “frasca”, dove era consumato sfuso ed accompagnava con successo piatti a base di pesce tra i quali le anguille marinate ed affumicate, che venivano prodotte nella laguna di Orbetello.

Nel 1953 la fattoria della Parrina ricevette dall’Ente Autonomo Mostra Mercato Nazionale dei Vini Tipici e Pregiati di Siena un Diploma di Merito per il vino “Ansonica bianca del litorale di Orbetello”, era questo un tangibile segnale di apprezzamento che spinse una decina di aziende a richiedere il riconoscimento della Denominazione di Origine Controllata che venne concesso nel 1971.

Da questo momento in poi i vini della denominazione Parrina iniziano ad essere commercializzati e conosciuti in vari paesi d’Europa.

Successivamente, a seguito degli studi condotti sulle caratteristiche produttive e qualitative dei vitigni utilizzati e dopo un’attenta scelta, vengono apportate ulteriori modifiche al disciplinare (D.P.R. 11-7-1986 D.P.R. 2-9-1993; D.M. 12-1-1994; D.M. 08-9-1997, rettifica G.U. n. 276 del 26-11-1997), l’ultima della quale evidenzia in maniera piuttosto netta i nuovi orientamenti produttivi che si basano sull’utilizzo negli uvaggi del vitigno Chardonnay, mentre altri vitigni come il Sauvignon tra i bianchi, il Cabernet Sauvignon, il Cabernet Franc e il Merlot tra i rossi, vengono ormai utilizzati negli uvaggi dei vini bianchi e rossi, in quanto ammessi alla coltura in provincia di Grosseto ormai da oltre un ventennio. Con questa fase iniziano anche nuove strategie produttive basate sull’ampliamento dei vitigni utilizzati, l’aumento della densità di piantagione, la diminuzione della produzione unitaria e l’aggiornamento della tecnica enologica, che prevede l’utilizzo del legno per l’affinamento dei vini rossi (Scalabrelli, 2008a).

 

B) Informazioni sulla qualità e sulle caratteristiche del prodotto essenzialmente o esclusivamente attribuibili all’ambiente geografico.

La conformazione orografica particolare del territorio ed i conseguenti caratteri agro climatici consentono una maturazione delle uve sempre regolare e completa.

La variabilità dei suoli è il fattore fondamentale per garantire ai vini prodotti la complessità e la persistenza proprie dei vini di alta qualità.

Qualità e caratteristiche dei vini di cui al presente disciplinare sono confermate dai parametri analitici dei vini, che presentano, dal punto di vista analitico ed organolettico, caratteristiche con andamento positivo superiore ai minimi precauzionali previsti dal disciplinare in vigore, e permettono una chiara individuazione e tipicizzazione legata all’ambiente geografico.

 

C) Interazione causale tra gli elementi di cui alla lettera A) e gli elementi di cui alla lettera B).

La qualità dei vini dell’area è sempre la risultante dell’azione combinata di un insieme di fattori

generatori. I fattori latitudinali, con i conseguenti effetti sulla ciclicità giornaliera e sulla radiazione

solare, si combinano con i fattori orografici (pendenza, esposizione e giacitura) e l’effetto combinato dà origine al topoclima.

Le variabilità topoclimatiche vengono costantemente monitorate e concorrono a determinare un ambiente ben areato, luminoso e con suolo sgrondante dalle acque in eccesso durante i rari periodi di eccessiva piovosità.

Nel corso storico di coltivazione della vite sono state selezionate le varietà che meglio si adattano alle peculiarità topoclimatiche e sono state affinate tecniche di coltivazione che esaltano le caratteristiche fisico-chimiche ed organolettiche delle uve.

I viticoltori hanno applicato da tempo tecniche produttive atte a valorizzare la qualità delle uve prodotte dai vitigni presenti forma di allevamento principalmente effettuata a cordone speronato, lasciando poche gemme produttive a tutto vantaggio dell’aumento del contenuto di zuccheri e delle componenti aromatiche, particolarmente influenzate dal clima temperato, e caratterizzato, segnatamente nella fase finale di maturazione delle uve, da una elevata escursione termica tra notte e giorno.

Le analisi chimiche compiute regolarmente su campioni di vini sia bianchi che rossi dimostrano che esiste una correlazione tra andamento climatico annuale e valori analitici dei parametri “titolo alcolometrico, acidità totale, pH, ceneri, estratto secco totale, estratto ridotto”.

I dati rilevati sono sempre comunque superiori ai minimi precauzionali previsti dal disciplinare. Si da risalto quindi

all’interazione tra il fattore umano e l’ambiente, in quanto i vini prodotti sono il risultato di quanto ottenuto in vigna e risentono soltanto marginalmente di manipolazioni successive tendenti ad uniformare il prodotto in maniera indipendente dall’ambiente. Le tecniche di vinificazione affinate nel corso dei secoli, ed attualmente praticate sono varie, ma sempre volte al rispetto ed al mantenimento delle caratteristiche organolettiche delle uve, oltre che all’ottenimento del miglior livello qualitativo del prodotto finale.

Sulla base di quanto riportato si può affermare che il vino prodotto in questa zona ha caratteristiche peculiari proprio perché in questo ambiente e con le scelte fatte dall’uomo si ottiene un prodotto unico e tipico, con caratteristiche che consentono inequivocabilmente di ricondurlo alla zona di origine.

 

Articolo 10

(Riferimento alla struttura di controllo)

 

Nome ed indirizzo:

Valoritalia Srl

Sede legale

Via Piave, 24

00187 ROMA

Tel.: +390645437975;

Fax: +390645438908;

e-mail: info@valoritalia.it

Valoritalia società per la certificazione delle qualità e delle produzioni vitivinicole italiane s.r.l. è l’Organismo di controllo autorizzato dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 61/2010, che effettua la verifica annuale del rispetto delle disposizioni del presente disciplinare, conformemente all’art. 25, paragrafo 1, 1° capoverso, lettere a) e c), ed all’art. 26 del Regolamento CE n. 607/2009, per i prodotti beneficianti della DOC, mediante una metodologia dei controlli sistematica nell’arco dell’intera filiera produttiva (viticoltura, elaborazione, confezionamento), conformemente al citato art. 25, paragrafo 1, 2°

capoverso, lettera c).

In particolare, tale verifica è espletata nel rispetto di un predeterminato piano dei controlli, approvato dal citato Ministero, conforme al modello approvato col DM 2 novembre 2010, pubblicato in G.U. n. 271 del 19-11-2010 (Allegato 3) il quale prevede il 100% del controllo documentale su tutti gli utilizzatori della filiera vitivinicola, ed un controllo di tipo ispettivo annuo, a campione, su una percentuale minima degli utilizzatori.

 

N.B. fa fede solo il testo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

 

VIGNETI MANCIANO

VIGNETI MANCIANO

 

SOVANA

D.O.C.

Decreto 22 novembre 2011

(fonte GURI)

Modifica Decreto 30 novembre 2011

(fonte Mipaaf)

Modifica Decreto 12 luglio 2013

(fonte GURI)

 

Articolo 1.

Denominazione

 

1. La denominazione di origine controllata «Sovana» è riservata ai vini che rispondono alle condizioni ed ai requisiti previsti dal presente disciplinare di produzione per le seguenti tipologie:

 

«Sovana» Rosso

«Sovana» Rosso Superiore

«Sovana» Rosso Riserva

«Sovana» Rosato

«Sovana» Aleatico Superiore

«Sovana» Aleatico Riserva

«Sovana» Aleatico Passito

«Sovana» Aleatico Riserva Passito

«Sovana» Cabernet Sauvignon Superiore

«Sovana» Cabernet Sauvignon Riserva

«Sovana» Ciliegiolo Superiore

«Sovana» Ciliegiolo Riserva

«Sovana» Merlot Superiore

«Sovana» Merlot Riserva

«Sovana» Sangiovese Superiore

«Sovana» Sangiovese Riserva.

 

Articolo 2.

Base ampelografica

 

1. I vini a denominazione di origine controllata «Sovana» devono essere ottenuti dalle uve prodotte dai vigneti aventi, nell’ambito aziendale, la seguente composizione ampelografica:

 

«Sovana» Rosso, «Sovana» Rosso Superiore, «Sovana» Rosso Riserva e «Sovana» Rosato:

Sangiovese: almeno il 50%;

possono concorrere alla produzione di detti vini, fino a un massimo del 50%, le uve a bacca rossa, provenienti da altri vitigni idonei alla coltivazione per la Regione Toscana.

 

«Sovana» Aleatico Superiore, «Sovana» Aleatico Riserva, «Sovana» Aleatico Passito e «Sovana» Aleatico Riserva Passito

Aleatico: minimo 85%;

possono concorrere alla produzione di detti vini, fino a un massimo del 15%, le uve a bacca rossa provenienti da altri vitigni idonei alla coltivazione per la Regione Toscana.

 

«Sovana» Cabernet Sauvignon Superiore e «Sovana» Cabernet Sauvignon Riserva:

Cabernet Sauvignon: minimo 85%;

possono concorrere alla produzione di detti vini, fino a un massimo del 15%, le uve a bacca rossa provenienti da altri vitigni idonei alla coltivazione per la Regione Toscana.

 

«Sovana» Ciliegiolo Superiore e «Sovana» Ciliegiolo Riserva:

Ciliegiolo: minimo 85%;

possono concorrere alla produzione di detti vini, fino a un massimo del 15%, le uve a bacca rossa,

provenienti da altri vitigni idonei alla coltivazione per la Regione Toscana.

«Sovana» Merlot Superiore e «Sovana» Merlot Riserva:

Merlot: minimo 85%.

Possono concorrere alla produzione di detti vini, fino a un massimo del 15%, le uve a bacca rossa provenienti da altri vitigni idonei alla coltivazione per la Regione Toscana.

 

«Sovana» Sangiovese Superiore e «Sovana» Sangiovese Riserva:

Sangiovese: minimo 85%;

possono concorrere alla produzione di detti vini, fino a un massimo del 15%, le uve a bacca rossa provenienti da altri vitigni idonei alla coltivazione per la Regione Toscana.

 

Articolo 3.

Zona di produzione delle uve

 

1.La zona di produzione delle uve atte alla produzione dei vini a Denominazione di Origine Controllata «Sovana» è collocata all’interno della provincia di Grosseto

e comprende per intero i comuni di:

Pitigliano, Sorano

e parte del comune di Manciano.

2. La delimitazione inizia:

a nord dall’incrocio dei comuni di Sorano, Semproniano e Manciano, prosegue a ovest lungo il limite comunale di Manciano fino alla strada provinciale della Follonata.

Scende a sud inoltrandosi nel comune di Manciano, per la vecchia strada fino all’abitato di Poggio Capanne.

Da questa località la linea di delimitazione scende ancora a sud lungo la strada provinciale della Follonata che segue fino al fosso Stellata. Risale il corso di detto fosso fino a quota 191, continua a sud per la strada Camporeccia fino all’abitato di Poderi di Montemerano, attraversa la strada statale n. 323, continua, deviando a sud-ovest, lungo la vecchia strada Dogana e raggiunge la fattoria Cavallini.

Per la strada dei Laschi arriva al fiume Albegna in corrispondenza della confluenza del fosso Vivaio. Prosegue a sud lungo il corso del fiume Albegna fino all’intersecazione con la strada di bonifica n. 17. Segue detta strada passante per case del Lasco, prosegue poi per la strada di bonifica n. 19 che passa per case Pinzuti, per Casalnuovo e case Poggio Lepraio (quota 39).

La delimitazione segue sulla strada statale n. 74 fino alla località Sgrillozzo e si innesta nella strada provinciale della Vallerana, proseguendo verso sud-est fino a raggiungere il confine fra il comune di Manciano e il comune di Capalbio. Prosegue a nord lungo il confine comunale di Manciano, Pitigliano e Sorano per ricongiungersi al punto di partenza.

 

Articolo 4.

Norme per la viticoltura

 

1. Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti destinati alla produzione dei vini a Denominazione di Origine Controllata «Sovana» devono essere quelle normali della zona di produzione e, comunque, atte a conferire alle uve e ai vini derivati le specifiche caratteristiche di qualità.

2. Sono pertanto da considerarsi idonei i vigneti ubicati in terreni di favorevole giacitura ed esposizione, con esclusione di quelli umidi o non sufficientemente soleggiati.

3. La densità di impianto deve essere quella generalmente usata in funzione delle caratteristiche peculiari delle uve e dei vini; per i nuovi impianti e i reimpianti la densità dei ceppi non può essere inferiore a 3.300 piante ad ettaro.

4. I sesti di impianto, le forme di allevamento e i sistemi di potatura devono essere quelli generalmente usati nella zona, comunque atti a non modificare le caratteristiche delle uve e dei vini.

5. È vietata ogni pratica di forzatura.

È consentita l’irrigazione di soccorso.

6. La produzione massima di uva ad ettaro ed il titolo alcolometrico volumico minimo naturale sono le seguenti:

 

“Sovana” Rosso e Rosato: 11,00 t/ha, 10,50% vol.;

“Sovana” Rosso Superiore e Rosso Riserva: 9,00 t/ha, 11,50% vol.;

“Sovana” Aleatico Superiore e Riserva, Cabernet Sauvignon Superiore e Riserva: 9,00 t/ha, 11,50% vol.;

“Sovana” Ciliegiolo Superiore e Riserva, Merlot Superiore e Riserva, Sangiovese Superiore e Riserva: 9,00 t/ha, 11,50% vol.;

“Sovana” Aleatico Passito e Aleatico Passito Riserva: 7,00 t/ha, 16,00% vol.

 

7. A detti limiti, anche in annate eccezionalmente favorevoli, la resa dovrà essere riportata attraverso una cernita delle uve, purché la produzione non superi del 20% il limite medesimo, fermi restando i limiti resa uva/vino per i quantitativi di cui trattasi.

8. Fermo restando il limite massimo sopra indicato, la resa per ettaro di vigneto a coltura promiscua deve essere calcolata in rapporto alla effettiva superficie coperta dalle viti.

9. La regione Toscana, con proprio decreto, su istanza motivata del Consorzio di Tutela sentite le organizzazioni di categoria interessate, di anno in anno, prima della vendemmia, tenuto conto delle condizioni ambientali e di coltivazione, può stabilire un limite massimo di produzione rivendicabile di uva per ettaro inferiore a quello fissato dal presente disciplinare di produzione, dandone immediata comunicazione al competente organismo di controllo.

 

Articolo 5.

Norme per la vinificazione

 

1. Le operazioni di vinificazione, di appassimento delle uve ed invecchiamento devono essere effettuate nell’ambito della zona di produzione di cui al precedente articolo 3.

2. L’imbottigliamento deve essere effettuato nell’intera provincia di Grosseto.

3. Qualora le uve dei vigneti esistenti in ambito aziendale vengano utilizzate per la produzione di diverse tipologie previste dall’articolo 1 è consentito destinare, tramite scelta vendemmiale, una parte delle uve alla produzione della tipologia «rosso» e della tipologia «rosato» purché risultino rispettati i requisiti posti dal presente disciplinare sia per le uve destinate separatamente a una data tipologia sia per le rimanenti uve dello stesso vigneto destinate ad altra tipologia.

4. È consentito l’arricchimento dei mosti e dei vini di cui all’articolo 1, fatta eccezione per la tipologia “Aleatico Passito”, nei limiti e condizioni stabilite dalle norme comunitarie e nazionali, con mosti concentrati ottenuti da uve prodotte nella zona di produzione delimitata dal precedente articolo 3 o, in alternativa, con mosto concentrato rettificato o a mezzo di altre tecnologie consentite.

5. La tipologia «rosato» deve essere ottenuta con la vinificazione in «rosato» delle uve a bacca rossa.

6. Nella preparazione della tipologia “Aleatico Superiore” le uve, in tutto o in parte, possono essere sottoposte ad appassimento naturale, sulla pianta o dopo la raccolta. Per l’appassimento delle uve ci si può avvalere anche di sistemi e/o tecnologia che comunque non aumentino la temperatura dell’appassimento naturale.

7. Le uve di Aleatico destinate alla produzione della tipologia “Aleatico Passito”, dopo aver subito un’accurata cernita, devono essere sottoposte ad appassimento naturale all’aria o in locali idonei, con possibilità di una parziale disidratazione con aria ventilata, fino a raggiungere

un contenuto zuccherino minimo del 26%.

8. La resa massima dell’uva in vino, all’atto dell’immissione al consumo, compresa l’eventuale aggiunta correttiva e la produzione massima di vino per ettaro sono le seguenti:

 

“Sovana” Rosso e Rosato: 70%, 77,00 hl/ha;

“Sovana” Rosso Superiore e Riserva: 70%, 63,00 hl/ha;

“Sovana” Aleatico Superiore, Aleatico Riserva, Cabernet Sauvignon Superiore, Cabernet Sauvignon Riserva, Ciliegiolo Superiore, Ciliegiolo Riserva, Merlot Superiore, Merlot Riserva, Sangiovese Superiore e Sangiovese Riserva: 70%, 63,00 hl/ha;

“Sovana” Aleatico Passito e Riserva Passito: 40%, 28,00 hl/ha.

 

9. Qualora la resa uva/vino superi il limite sopra indicato, ma non il 75% (45% per il vino «Sovana» Aleatico Passito), anche se la produzione ad ettaro resta al di sotto del limite massimo consentito, l’eccedenza non ha diritto alla denominazione di origine controllata.

Oltre il 75% (45% per il vino «Sovana» Aleatico Superiore Passito), decade il diritto alla denominazione di origine controllata per tutto il prodotto.

10. I vini a denominazione di origine controllata «Sovana» rosso superiore e «Sovana» superiore con la specificazione del vitigno che sono stati oggetto di

invecchiamento in botti di legno per un periodo non inferiore a 18 mesi

e di affinamento in bottiglia per un periodo non inferiore a 6 mesi,

possono optare per la menzione «riserva».

12. Per i seguenti vini l’immissione al consumo è consentita soltanto a partire dalla data per ciascuno di essi di seguito indicata:

 

Tipologia «Sovana» Doc Data di immissione al consumo

Rosato: 1° gennaio (anno successivo alla vendemmia);

Rosso: 1° marzo (anno successivo alla vendemmia);

Rosso Superiore: 1° giugno (anno successivo alla vendemmia);

Aleatico Superiore, Aleatico Passito, Cabernet Sauvignon Superiore, Ciliegiolo Superiore, Merlot Superiore e Sangiovese Superiore: 1° giugno (anno successivo alla vendemmia);

Rosso Riserva: 1° novembre (24 mesi dal 1° novembre dell’anno di vendemmia);

Aleatico Riserva, Aleatico Riserva Passito, Cabernet Sauvignon Riserva, Ciliegiolo Riserva, Merlot Riserva e

Sangiovese Riserva: 1° novembre (24 mesi dal 1° novembre dell’anno di vendemmia)

 

Articolo 6.

Caratteristiche al consumo

 

1. I vini a Denominazione di Origine Controllata «Sovana» all’atto dell’immissione al consumo devono rispondere alle seguenti caratteristiche:

 

«Sovana» rosso:

colore: rosso rubino con riflessi violacei;

profumo: vinoso;

sapore: asciutto, armonico ed equilibrato;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 20,00 g/l.

 

«Sovana» rosato:

colore: dal rosa tenue al rosa cerasuolo;

profumo: vinoso, delicato, con intense note fruttate;

sapore: asciutto, armonioso, leggermente acidulo;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.;

acidità totale minima: 5,00 g/l;

estratto non riduttore minimo: 16,00 g/l.

 

«Sovana» rosso superiore o «Sovana» rosso riserva:

colore: rosso intenso tendente al granato con l’invecchiamento;

profumo: vinoso, intenso e caratteristico che si affina nel corso dell’invecchiamento;

sapore: asciutto, corposo, armonico, asciutto;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 22,00 g/l.

 

«Sovana» Sangiovese superiore o «Sovana» Sangiovese riserva:

colore: rosso rubino tendente al granato con l’invecchiamento;

profumo: vinoso, talvolta con note fruttate di ciliegia e viola;

sapore: asciutto, corposo, armonico;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 22,00 g/l.

 

«Sovana» Aleatico superiore o «Sovana» Aleatico riserva:

colore: rosso rubino di buona intensità;

profumo: vinoso, caratteristico;

sapore: da secco a dolce, armonico ed equilibrato;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol.;

titolo alcolometrico volumico svolto minimo: 9,50% vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 22,00 g/l.

 

«Sovana» Aleatico Passito o «Sovana» Aleatico riserva Passito:

colore: rosso rubino intenso;

profumo: intenso, vinoso, caratteristico;

sapore: dolce di corpo, armonico;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 16,00% vol.;

titolo alcolometrico volumico svolto minimo: 12,50% vol.;

acidità totale minima: 5,00 g/l;

estratto non riduttore minimo: 25,00 g/l.

acidità volatile massima: 25 meq/l.

 

«Sovana» Ciliegiolo superiore o «Sovana» Ciliegiolo riserva:

colore: rosso rubino tendente al granato con l’invecchiamento;

profumo: vinoso, delicato;

sapore: asciutto, vellutato, armonico, di buon corpo;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 22,00 g/l.

 

«Sovana» Cabernet Sauvignon superiore o «Sovana» Cabernet Sauvignon riserva:

colore: rosso intenso con riflessi violacei, tendenti al granato con l’invecchiamento;

profumo: vinoso con note speziate;

sapore: corposo, sapido, asciutto, giustamente tannico;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 22,00 g/l.

 

«Sovana» Merlot superiore o «Sovana» Merlot riserva:

colore: rosso con riflessi violacei, tendente al granato con l’invecchiamento;

profumo: tipico con note fruttate;

sapore: asciutto, ampio e vellutato;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 20,00 g/l.

 

2. È facoltà del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali modificare, con proprio decreto, i limiti minimi sopra menzionati per l’acidità totale e per l’estratto non riduttore minimo.

3. In relazione all’eventuale conservazione in recipienti di legno il sapore dei vini può rivelare sentore di legno.

 

Articolo 7.

Etichettatura, designazione e presentazione

 

1. Alla denominazione di cui all’articolo 1 è vietata l’aggiunta di qualsiasi specificazione aggiuntiva diversa da quella prevista dal presente disciplinare, ivi compresi gli aggettivi “extra”, “fine”, “scelto”, “selezionato” e “similari”.

2. È tuttavia consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali, e marchi privati non aventi significato laudativo e non idonei a trarre in inganno il consumatore.

3. È consentito altresì l’uso di indicazioni geografiche e toponomastiche aggiuntive che facciano riferimento ai comuni e alle frazioni riportati nell’Allegato 1.

4. È obbligatoria l’indicazione dell’annata in etichetta per tutte le tipologie di vino.

 

Articolo 8.

Confezionamento

 

1. Per il confezionamento dei vini a denominazione di origine controllata «Sovana» sono ammessi tutti i recipienti di volume nominale autorizzati dalla normativa vigente, ivi compresi i contenitori alternativi al vetro costituiti da un otre in materiale plastico pluristrato di polietilene e poliestere racchiuso in un involucro di cartone o di altro materiale rigido.

2. Per la tappatura dei vini, allorquando siano confezionati in bottiglie di vetro, può essere utilizzata qualsiasi tipo di chiusura, escluso il tappo a corona per bottiglie di capacità nominale superiore a 375 ml.

 

Articolo 9

(Legame con l’ambiente geografico)

 

A) Informazioni sulla zona geografica

A.1. Fattori naturali rilevanti per il legame.

La zona geografica delimitata ricade nella parte meridionale della regione Toscana e, in particolare, nel lembo sud-orientale della provincia di Grosseto, in un territorio a giacitura collinare e pedecollinare che comprende l’intero territorio comunale di Pitigliano e di Sorano e parte di quello del comune di Manciano.

I terreni dell’area, relativamente all’origine geologica, sono caratterizzati da superfici strutturali su formazioni costituite prevalentemente da rocce effusive e vulcanoclastiche mentre, a ovest del fiume Fiora, prevalgono forme di aggradazione su formazioni prevalentemente marnose, marnoso - pelitiche e pelitiche. Le formazioni quaternarie antiche e recenti, con conglomerati di sabbia, detriti fluviali, ciottoli con argille e sabbia, affiorano dovunque nella parte centrale della zona, lungo i corsi d’acqua e nella fascia collinare a ovest di Manciano.

L’area è caratterizzata da rilievi da bassa a medio - alta collina.

Al centro del comprensorio delimitato, nei comuni di Pitigliano e Sorano, sono presenti vaste zone di altopiano; in quest’area, la quasi totale presenza di rocce di tufo vulcanico – originate da eruzioni che si sono succedute in tempi diversi, molto lontani fra loro e con diversa consistenza della lava – hanno formato una crosta rocciosa più o meno compatta e di coerenza molto variabile, in molti punti incisa da profonde erosioni provocate dall’azione del vento e delle acque piovane, talvolta delle vere e proprie voragini alla base delle quali scorrono ruscelli e torrenti affluenti dei fiumi Albegna e Fiora, creando un paesaggio suggestivo.

La quota media è di 290 metri s.l.m., con un’altitudine minima di circa 30 metri in località Marsiliana e massima di circa 800 metri in località Elmo nel comune di Sorano, mentre la pendenza oscilla intorno al 5%; l’esposizione media è a sud-est.

Il clima dell’area è di tipo mediterraneo, con temperature miti e precipitazioni disordinate, talvolta anche di elevata intensità, concentrate soprattutto nei mesi autunnali-invernali (massimo della piovosità localizzato tra la fine di ottobre e la prima decade di dicembre, col mese di novembre caratterizzato dai valori più elevati), mentre nel periodo compreso tra gennaio e maggio la pioggia è distribuita in maniera un po’ più omogenea con valori comparabili, che

diminuiscono progressivamente dalla seconda decade di maggio, fino a raggiungere un minimo assoluto tra la prima e la terza decade di luglio, tanto che si può parlare di un’aridità di regola prolungata nella primavera e spesso accentuata nei mesi estivi.

Possono essere considerate due prevalenti condizioni climatiche, e cioè quella dell’area di Pitigliano-Sorano, con temperatura media intorno a 14°C e precipitazioni intorno a 920 mm/anno e quella dell’area di Manciano, situata più a ovest verso il mare, con temperatura media di 14-14,5°C e precipitazioni medie di 750 mm/anno.

Può essere quindi considerato un valore medio di precipitazioni annue intorno agli 820-870 mm, con un minimo di 24 mm nel mese di luglio (dato medio) e un massimo di 126 mm nel mese di novembre (dato medio), e una temperatura media annua di 14-14,5°C; l’indice di Huglin si attesta tra 2.100 e 2.500 unità, a seconda dell’area considerata.

Le estati sono per lo più siccitose e le condizioni di aridità sono accentuate dai venti che soffiano con frequenza soprattutto dal terzo al quarto quadrante; in particolare, nella primavera soffiano venti di Scirocco e di Libeccio (nelle aree più prossime al mare piuttosto carichi di salsedine), mentre nell’estate soffia il Maestrale che, sebbene provenga dal mare, è asciutto, regolando di fatto la temperatura; in inverno non è raro, invece, che soffi, anche in modo violento, la Tramontana, soprattutto nel comprensorio di Pitigliano e Sorano.

 

A.2. Fattori umani rilevanti per il legame.

I fattori umani legati al territorio di produzione, che per consolidata tradizione hanno contribuito a ottenere i vini di «Sovana», sono di fondamentale rilievo. In quest’area, infatti, esistono testimonianze della coltivazione della vite che risalgono al periodo etrusco, greco e romano – l’antica città etrusca di Statonia, nella parte orientale della zona di produzione, le città etrusche di Sovana e di Saturnia, più a ovest, l’area di Poggio Buco, nella parte meridionale, sono solo alcuni esempi di insediamenti più o meno rilevanti – come testimoniano alcuni reperti; in particolare, presso Marsiliana lungo il corso del fiume Albegna, è stato rinvenuto un numero consistente di vasellame e pithoi (recipienti particolari per la raccolta del vino proveniente dalla pigiatura delle uve e dai torchi), probabilmente poiché il luogo corrispondeva a un vero e proprio centro di raccolta per i vini che provenivano dalle aree più interne (colline di Manciano, Pitigliano e Scansano), trasportati lungo il corso del fiume; nelle necropoli di Vitozza e Sovana, invece, sono state rinvenute cantine scavate direttamente nel tufo, e un esempio ancor oggi chiaramente visibile lo si ha visitando la fortezza Orsini a Sorano.

La dominazione romana accentuò la tendenza al miglioramento delle tecniche di vinificazione, che rimasero insuperate

fino al medioevo; in questo periodo storico, la vite acquistò particolare importanza come pianta colonizzatrice, tanto che governanti e feudatari riconobbero la necessità di concedere terre adatte per questa coltura, che ebbe particolare protezione con apposite norme statutarie.

Negli Statuti della Comunità del Cotone le norme stabilite per la protezione delle viti e dell’uva erano molto severe, tanto che stabilivano perfino una multa di 10 soldi per ciascuna bestia grossa entrata a far danno in “vigne o chiuse di olivi da calende di marzo fino a Ognissanti”.

La tradizione vitivinicola del territorio pitiglianese e soranese ha continuato a trasmettersi nei secoli, passando attraverso le vicissitudini della famiglia Aldobrandeschi e, più tardi, con la scissione di questa famiglia nei due rami di Sovana e Santa Fiora, con quelle degli Orsini, fino alla lunga guerra che questi ingaggiarono con Siena conclusasi, nel 1410, con l’annessione definitiva di Sovana ai domini di Siena, e il conseguente spopolamento di Sovana a favore delle

vicine Pitigliano e Sorano.

Fin da epoche lontane, tutti coloro che sostarono nell’antica cittadina di Pitigliano per traffici e azioni militari, ebbero modo di apprezzare e gustare i vini ottenuti in quella zona, conservati in vasi vinari nelle profonde e fredde grotte di tufo.

Studiosi di ogni tempo riconobbero i pregi delle uve di questo territorio e l’eccellenza dei vini prodotti.

Il dott. Villafranchi-Giorgini, nel 1847, in una memoria letta alla Società Agraria Grossetana, affermava che esisteva all’Orto Botanico di Pisa un tronco di vite alto 5 braccia (metri 2,92) e della circonferenza di 4 (metri 2,30) proveniente da Valle Castagneta.

L’enotecnico Luigi Vivarelli, in una memoria pubblicata nel 1906 su “La vite e il vino nel mandamento di Orbetello” riferiva che “nel 1787 un turbine svelse una vite nel podere di Valle Castagneta (comune di Sorano) il cui tronco, misurato dal Prof. Santi aveva una circonferenza di metri 1,76 e lo stesso professore nel 1793 ne vide un’altra che aveva uguali dimensioni”.

Parlando quindi di sistemi di allevamento della vite lo stesso Vivarelli scrive ancora: “nel nostro mandamento è raro il caso di trovare la vite disposta ai lati dei campi, ma invece vi predomina la vigna specializzata e quindi la consociazione è pratica quasi sconosciuta…..

Sarebbe utile piano piano, sostituire il filo di ferro alle canne giacchè esso permette una notevole economia……

La forma di potatura più in uso presso i nostri viticoltori, mi pare sia quella a cornetti con 5 o 6 occhi; non è certo un metodo sbagliato, ma ho l’opinione che si potrebbe con maggior vantaggio introdurre la potatura Guyot”.

Giacomo Barabino nel suo studio pubblicato nel 1884 sullo sviluppo dell’agricoltura, dell’industria e del commercio nella provincia di Grosseto, scriveva “I vini di Magliano, di Pereta e di Scansano, sono eccellenti e in pochi luoghi il vino si produce di qualità così squisita come nei vigneti di Manciano, Pitigliano e di Sorano. Il vino che si produce presso Scansano assomiglia alquanto a quello del Chianti”.

Il dott. Alfonso Ademollo, in una relazione all’inchiesta parlamentare Jacini, tenendo conto della vocazione viticola della Maremma, nel 1884 affermava che tutte le varietà “vegetano bene nel nostro suolo”.

L’Ademollo, nel fornire interessanti informazioni sulla situazione viticola della provincia, così scriveva: “La vite ha sempre allignato, fino dalle epoche più remote, nella provincia di Grosseto. Le varietà di vite da noi conosciute e coltivate sono molte, poichè si può asserire che tutte le varietà di sì prezioso sarmento, anche le esotiche, vegetano bene nel nostro suolo……

Le vigne pure da qualche tempo si sono estese ed hanno migliorato nel proprio prodotto, ma tuttavia anche per questo lato la provincia di Grosseto sarebbe capace di più, poichè la vite cresce benissimo e porge preziosi e squisiti grappoli in ogni parte della provincia, perchè non abbiamo veramente nè caldi nè freddi eccessivi,….. perchè dovunque trovasi terreni leggeri, permeabili, aridi nelle parti elevate, dovute a sabbie, a rocce decomposte, a detriti vulcanici e sassaie”.

Da ciò la categorica affermazione: “La provincia di Grosseto, per cinque sesti ha terreno adatto alla viticoltura”.

Parlando dei pregi e dei difetti del vino prodotto nella zona lo stesso Ademollo così si esprimeva: “II vino, questo benefico liquido che ha tanta importanza nella pubblica e privata economia, come nella pubblica e privata salute, viene prodotto dai nostri viticoltori con sempre crescente progresso e accuratezza in ogni parte della provincia di Grosseto, sia nella zona piana, che in quella montuosa, e per la bontà e quantità in alcuni Comuni è di una rendita importante ai

proprietari…… Attualmente la maggior quantità di vino viene data dai comuni di Pitigliano, Sorano, Massa Marittima e Roccastrada i quali sono pure dotati di buone Cantine per conservarlo specialmente i primi due, fabbricati come sono nella lavorabile tufa vulcanica”.

Nel periodo storico successivo, caratterizzato da due eventi bellici e da un ventennio di dittatura politica, la situazione viticola della zona pitiglianese e soranese ha seguito le sorti dell’agricoltura in genere, il cui obiettivo principale era quello di conseguire un’economia di consumo e la piena occupazione della mano d’opera.

In tale periodo, la viticoltura non era certamente florida, in quanto legata all’immobilismo, alla polverizzazione delle proprietà diretto coltivatrici e alle diffuse forme di conduzione mezzadrile, sfavorevoli all’espansione della specializzazione viticola, tanto che nella prima metà del Novecento la superficie vitata non subisce in questa zona profonde modificazioni.

Nei decenni successivi, invece, si moltiplicano le iniziative di molti proprietari – aiutate e incentivate anche dall’applicazione della riforma fondiaria e dall’opera dei tecnici agricoli – intese a sviluppare una viticoltura più razionale, anche con la diffusione di nuove cultivar nei territori collinari più facili.

Ma l’espansione viticola, se non accompagnata dal perfezionamento della tecnica vinicola e quindi della qualità dei vini prodotti, creava notevoli problemi di organizzazione e diffusione dei vini stessi, anche a causa della disponibilità di modeste partite, dalle caratteristiche poco omogenee anche se pregiate.

Un contributo decisivo alla risoluzione di questi problemi è stato dato dalla realizzazione nel 1954 della Cantina Sociale di Pitigliano, con lo scopo di raccogliere e trasformare la produzione viticola del comprensorio circostante e che rappresenta una circostanza importante per la nascita dell’industria enologica, alfine di presentare sul mercato vini uniformi, di tipo costante, migliorati nella qualità e standardizzati nella presentazione.

Più tardi, anche alcune pubblicazioni scientifiche del settore, occupandosi dei vini ottenuti su questo territorio, apportarono un contributo importante alla loro valorizzazione; “Vini tipici e pregiati d’Italia” di R. Capone, edito nel 1963, illustra proprio le caratteristiche dei vini di Pitigliano.

Più tardi, anche alcune pubblicazioni scientifiche del settore, occupandosi dei vini ottenuti su questo territorio, apportarono un contributo importante alla loro valorizzazione; “Vini tipici e pregiati d’Italia” di R. Capone, edito nel 1963, illustra proprio le caratteristiche dei vini di Pitigliano, soffermandosi non solo sui rinomati vini bianchi, ma illustrando anche le caratteristiche dei rossi, da sempre prodotti in questa zona utilizzando, a partire dagli anni ’80, le

indicazioni geografiche transitorie autorizzate dal Ministero dell’Agricoltura, quali “Saturnia” e “Sorano”.

Furono questi i presupposti che portarono alla consapevolezza che il territorio della Maremma sud-orientale poteva aspirare al riconoscimento della denominazione di origine controllata per i vini rossi prodotti nella zona, che verrà attribuito col decreto ministeriale 20 maggio 1999 per i vini «Sovana» (rettificato, con modifica di alcuni articoli del disciplinare, con decreto ministeriale del 12 novembre dello stesso anno) ottenuti esclusivamente in tipologie rosse e nel tipo rosato incentrate, per lo più, sulle uve dei vitigni Sangiovese, Aleatico, Cabernet Sauvignon e Merlot, al quale si sono aggiunte, con la modifica del disciplinare intervenuta a novembre 2011, le tipologie Aleatico Passito e Ciliegiolo.

L’incidenza dei fattori umani, nel corso della storia, è riferita, in particolare, alla puntuale definizione dei seguenti aspetti tecnico-produttivi, che costituiscono parte integrante del vigente disciplinare di produzione:

base ampelografica dei vigneti: i vitigni idonei alla produzione del vino in questione sono quelli tradizionalmente coltivati nell’area geografica considerata, e cioè, in primis, i vitigni autoctoni Sangiovese, Aleatico e Ciliegiolo, e gli internazionali Cabernet Sauvignon e Merlot, oltre alle varietà che concorrono eventualmente nella percentuale riservata ai vitigni complementari;

le forme di allevamento, i sesti d’impianto e i sistemi di potatura che, anche per i nuovi impianti, sono quelli tradizionali della zona, e cioè il Cordone speronato orizzontale e il Guyot singolo o a doppia palmetta, tali da perseguire la migliore e razionale disposizione sulla superficie delle viti; ciò sia per agevolare l’esecuzione delle operazioni colturali con un aumento della meccanizzazione, sia per gestire la razionale gestione della chioma, consentendo di ottenere

un’adeguata superficie fogliare ben esposta e, al contempo, di perseguire un contenimento delle rese di produzione di vino entro i limiti fissati dal disciplinare, rapportate a una densità minima di 3.300 piante per ettaro, il che consente di ottenere una buona competizione fra le piante (77 hl/ha per il tipo “base” e il rosato, che scende a 63 per il Rosso con menzione Superiore e qualifica Riserva, e per tutte le tipologie varietali – Aleatico, Sangiovese, Ciliegiolo, Merlot e

Cabernet Sauvignon – obbligatoriamente accompagnate dalla menzione Superiore ed, eventualmente, dalla qualifica Riserva, e a 28 hl/ha per l’Aleatico Passito e Passito Riserva);

le pratiche relative alla elaborazione dei vini, che sono quelle tradizionalmente consolidate in zona per la vinificazione in rosso dei vini tranquilli, adeguatamente differenziate per la tipologia di base e le tipologie con menzione Superiore e con qualifica Riserva, riferite, le ultime due, a rossi maggiormente strutturati ottenuti da uve con un titolo alcolometrico volumico totale minimo più elevato di un grado rispetto al tipo “base” e caratterizzate da un’elaborazione che comporta determinati periodi di invecchiamento e affinamento in bottiglia e/o in botte obbligatori; di tradizione consolidata è anche la produzione di vini rosati ottenuti con un limitato contatto del mosto con le parti solide, proveniente dalla pigiatura di uve per lo più della varietà Sangiovese, e la produzione di vini ottenuti da uve della varietà Aleatico sottoposte ad appassimento all’aria o in locali idonei.

 

B) Informazioni sulla qualità o sulle caratteristiche del prodotto essenzialmente o esclusivamente attribuibili all’ambiente geografico.

La DOC «Sovana» è riferita alla tipologia Rosso “di base”, al tipo Rosato, a quello con menzione “Superiore” e qualifica “Riserva”, alle tipologie varietali Aleatico, Cabernet Sauvignon, Ciliegiolo, Merlot e Sangiovese, obbligatoriamente accompagnate dalla menzione “Superiore” ed, eventualmente, dalla qualifica “Riserva”, e alla tipologia Aleatico Passito, anche con qualifica “Riserva”, le quali, dal punto di vista analitico e organolettico, presentano caratteristiche molto evidenti e peculiari, descritte all’articolo 6 del disciplinare, che ne permettono una chiara individuazione e tipicizzazione legata all’ambiente geografico.

In particolare, tutti i vini presentano un modesto tenore di acidità, leggermente più elevato nelle tipologie Rosato e Passito.

I vini rossi presentano un colore rosso rubino di buona intensità con riflessi violacei nei vini giovani, che sfuma al granato nei vini più maturi, comunque influenzato, nella tonalità, dalla percentuale di Sangiovese presente: il Sangiovese, infatti, rispetto ad altri vitigni come il Cabernet e il Merlot, conta su di una quantità di antociani totali inferiore, a vantaggio, però, di una notevole ricchezza in tannini proantocianidici e catechine.

Per questo motivo, nella tipologia “di base”, è possibile riscontrare una maggiore complessità aromatica con sfumature fruttate e speziate più evidenti e, al contempo, un’attenuazione della sensazione tannica del vitigno base – soprattutto nei vini più giovani – proprio in funzione della diversa presenza di Sangiovese (minimo 50%) e di quella di altre varietà a bacca rossa (fino al 50%), il che conferisce, ai vini, un gusto più rotondo e pieno; l’aumento della presenza percentuale di vitigni come Merlot o Cabernet Sauvignon, infatti, porta a ottenere vini di un colore rosso rubino più intenso, talvolta granato, con profumi intensi di frutta matura e spezie, talvolta con note erbacee, mentre al palato

risultano morbidi e vellutati.

Nelle tipologie che si fregiano della menzione “Superiore” e della qualifica “Riserva” il colore tende al rosso rubino intenso con riflessi violacei più o meno frequenti, che si tramuta in granato con l’invecchiamento, mentre l’intensità del profilo aromatico aumenta e aumenta la sua complessità, ampiezza ed eleganza, con sentori di piccoli frutti accompagnati da evidenti note speziate, talvolta con sentori erbacei, e al palato si amplia la sensazione di lunghezza, di corpo e di volume; queste caratteristiche sono direttamente influenzate, infatti, dall’affinamento e dall’invecchiamento dei vini, ed è per questi motivi che il disciplinare stabilisce una data di immissione al consumo che non può essere antecedente al 1° giugno dell’anno successivo alla vendemmia per la menzione Superiore, e un invecchiamento minimo di 18 mesi in botti di legno e un affinamento in bottiglia di almeno 6 mesi per tutte le tipologie con qualifica Riserva.

Il vino della versione Rosato si presenta con un colore dal rosa tenue al rosa cerasuolo, profumi intensi, fruttati, delicati, mentre al palato è fresco, sapido, asciutto, leggermente acidulo.

La tipologia Aleatico Passito, infine, si presenta con un colore rosso rubino intenso, un profumo ricco, vinoso e complesso, etereo, intenso, con evidenti note di confettura, liquirizia e cioccolato, mentre al gusto denota sensazioni vellutate, rotonde, con una notevole ampiezza, lunghezza e persistenza.

 

C) descrizione dell’interazione causale fra gli elementi di cui alla lettera A) e quelli di cui alla lettera B).

L’orografia collinare e pedecollinare della zona di produzione, nel lembo sud-orientale della provincia di Grosseto, nell’intero territorio comunale di Pitigliano e di Sorano e in parte di quello di Manciano, con una quota media intorno a 290 metri s.l.m., una pendenza media del 5%, una esposizione che da nord-est degrada verso sud-ovest (media a sud-est), per il particolare beneficio delle sue colline protette dai venti freddi del nord e aperte alle brezze marine ma con una buona ventilazione durante tutto l’anno, concorrono a determinare un ambiente areato, luminoso e con un suolo naturalmente sgrondante dalle acque reflue, particolarmente vocato per la coltivazione della vite.

Anche la tessitura e la struttura chimico-fisica dei terreni interagiscono in modo determinante con la coltura della vite, contribuendo all’ottenimento delle peculiari caratteristiche fisico chimiche e organolettiche dei vini «Sovana».

In particolare, i terreni, caratterizzati da formazioni costituite prevalentemente da rocce effusive e vulcanoclastiche (marnose, marnoso-pelitiche e pelitiche a ovest del fiume Fiora, conglomerati di sabbia, detriti fluviali, ciottoli con argille e sabbia nella fascia collinare a ovest di Manciano), presentano un’elevata profondità utile per lo sviluppo radicale, una buona capacità di drenaggio e una moderata capacità di acqua disponibile, condizioni tali da consentire un buon sviluppo vegeto-produttivo delle coltivazioni arboree.

Sono terreni per lo più franchi, tufacei, più o meno ricchi di scheletro, sub-acidi o neutri, privi di carbonati, tendenzialmente aridi, ricchi di potassio e poveri di fosforo assimilabile, con discreta dotazione di sostanza organica, che presentano, perciò, una spiccata attitudine alla coltivazione della vite e, per tali ragioni, risultano pienamente idonei a una vitivinicoltura di qualità, in particolare se coltivati con l’ausilio di pratiche agronomiche e gestionali dei suoli corrette (quali potatura verde e alta densità di impianto) e basse rese produttive.

Anche il clima della zona di produzione, caratterizzato da una buona piovosità (media intorno agli 820-870 mm/anno), con scarse piogge estive (intorno ai 90-100 mm) e una certa aridità nei mesi di luglio e agosto – tanto da far riscontrare lievi stress idrici nelle fasi che precedono la maturazione dell’uva –, da ottimi valori dell’indice bioclimatico di Huglin (tra 2100 e 2500°C14 giorno), da una buona temperatura media annuale (14-14,5°C), unita a una ventilazione sempre presente anche nel periodo primaverile-estivo grazie alle brezze di Maestrale che soffiano nelle

ore più calde della giornata, contribuendo a regolare le temperature e a creare un ambiente sfavorevole alle malattie parassitarie, il tutto unito a una temperatura piuttosto elevata, con ottima insolazione nei mesi di settembre-ottobre e buone escursioni termiche tra giorno e notte, consente alla vite di ottenere un giusto equilibrio vegetativo, permettendo una lenta, graduale e ottimale maturazione fisiologica delle uve, contribuendo in maniera significativa alle particolari caratteristiche organolettiche dei vini «Sovana».

La millenaria storia vitivinicola riferita al territorio della Maremma sud-orientale, dall’epoca etrusca a quella romana, al medioevo, fino ai giorni nostri, attestata da numerosi documenti, citazioni e testimonianze storiche, è la prova fondamentale della stretta connessione e interazione tra i fattori umani e la qualità e le caratteristiche peculiari dei vini «Sovana».

È la testimonianza, perciò, di come l’intervento dell’uomo in questo particolare territorio abbia tramandato, nel corso dei secoli, le tecniche tradizionali di coltivazione della vite ma anche le rituali prassi enologiche, le quali, tuttavia, in epoca moderna, sono state migliorate e affinate, grazie all’indiscutibile progresso scientifico e tecnologico, fino a ottenere i vini «Sovana», le cui caratteristiche peculiari sono specificamente descritte all’articolo 6 del disciplinare di

produzione.

In particolare, la presenza della viticoltura nel territorio della Maremma sud-orientale è attestata fin dall’epoca etrusca (il vasellame e i pithoi reperiti in molte delle aree archeologiche presenti sul territorio, e le stesse cantine scavate nel tufo nella zona di Pitigliano, Vitozza e Sorano ne sono una prova), ma le testimonianze continuano in epoca romana fino al medioevo (nel centro del paese di Sovana, nella chiesa romanica di Santa Maria di fronte al Palazzo Pretorio, si trova un ciborio preromanico in travertino bianco che reca lastre decorate con viticci annodati, grappoli di uva e foglie di vite) nel corso del quale la vite acquistò particolare importanza come pianta colonizzatrice, tanto che governanti e feudatari riconobbero la necessità di concedere terre adatte per questa coltura e di stabilirne la protezione con apposite norme statutarie.

E furono molti gli studiosi di epoche successive che riconobbero i pregi delle uve di questo territorio e l’eccellenza dei vini prodotti, e non mancarono le testimonianze di chi, attraversando il territorio pitiglianese, rimase colpito dai vini qui prodotti, conservati in vasi vinari nelle profonde e fredde grotte di tufo.

Alla fine del 1500, Bacci così descriverà queste campagne “…situate nel cuore dell’Etruria, godono di molti pregi, sono esposte da una parte al vento che spira da settentrione dalle falde del monte Amiata e dall’altra, estendendosi verso mezzogiorno, godono anche di quello australe che dona loro calore”…Quale migliore incipit per identificare un territorio viticolo; e infatti, la zona era ricca “…di ottimi vini, soprattutto rossi, sinceri, e chiarificati con null’altro che la semplice fermentazione dei tini”. Tre secoli più tardi, il dott. Villafranchi-Giorgini (1847) cita un tronco di vite di dimensioni eccezionali proveniente da Valle Castagneta, mentre l’enotecnico Luigi Vivarelli (1906) un episodio del 1787 avvenuto nella zona di Sorano sempre riferito a una vite di dimensioni rilevanti, a conferma che la viticoltura aveva tradizioni centenarie già a quel tempo.

Lo stesso Vivarelli parla diffusamente di sistemi di allevamento della vite, affermando che, nella Maremma meridionale, è già ampiamente diffusa la vigna specializzata allevata a cordone speronato, mentre Giacomo Barabino (1884) si sofferma sulla eccellente qualità dei vini prodotti nelle zone di Magliano, Pereta, Scansano, Manciano, Pitigliano e Sorano, già a quel tempo tra le più significative della provincia, paragonati addirittura a quelli già rinomati del Chianti.

Tra le testimonianze più significative ed esaurienti, quelle del dott. Alfonso Ademollo, riconducibili a una relazione all’inchiesta parlamentare Jacini (1884), si soffermano lungamente sulla vocazione viticola della Maremma; nella stessa relazione, che fotografa perfettamente la situazione della viticoltura maremmana alla fine del 1800, egli afferma che le varietà coltivate sono numerose, alcune “internazionali” perfettamente adattate al territorio, il quale viene ritenuto altamente vocato alla coltura della vite (per cinque sesti della superficie), mancando periodi di caldo o di freddo eccessivi e grazie anche ai terreni leggeri e permeabili, dovuti a sabbie, rocce decomposte, detriti vulcanici e ciottolame. Inoltre, relativamente ai pregi e difetti del vino prodotto sul territorio maremmano, egli si esprime in modo molto positivo, tanto da affermare che il vino è prodotto in ogni parte della provincia, sia in aree pianeggianti che montuose, citando come zone di maggiore produzione i territori dei comuni di Massa Marittima, Roccastrada, Pitigliano e Sorano, gli ultimi due dotati anche di buone cantine per la conservazione.

In tutti questi secoli, lo sviluppo dell’agricoltura di questo lembo di Maremma è sempre stato accompagnato da un’affermazione della viticoltura e, di pari passo, da una forte valenza della tradizione vinicola, spesso perpetrata dai monaci benedettini nei periodi più bui del basso medioevo, e oggi ancora riscontrabile percorrendo il territorio, dove non di rado è possibile trovare vecchie cantine scavate direttamente nel tufo già al tempo degli etruschi e dei romani e, in parte, ancora oggi utilizzate, come accade a Pitigliano e Sorano.

All’inizio del XX° secolo, la viticoltura in provincia di Grosseto, come in altre aree del Paese, conobbe un periodo di crisi, con una polverizzazione delle proprietà diretto coltivatrici e diffuse forme di conduzione mezzadrile ma, con i decenni successivi, si moltiplicarono le iniziative di molti proprietari intese a sviluppare una viticoltura più moderna e razionale, anche con l’inserimento di nuove cultivar.

Col trascorrere degli anni, la nascita della Cantina Sociale di Pitigliano nel lontano 1954 e il contributo proveniente dall’attività di sperimentazione e di studio condotta sul territorio dalle istituzioni pubbliche e dalle aziende private, si crearono i presupposti per richiedere il riconoscimento della denominazione di origine controllata per i vini “Sovana

col decreto ministeriale del 20 maggio 1999 (preceduto, tuttavia, nel corso degli anni ’80, dall’utilizzo di indicazioni geografiche transitorie autorizzate dal Ministero dell’Agricoltura, quali “Saturnia” e “Sorano”), valorizzando, così, anche i vini rossi e rosati ottenuti in questo territorio, incentrati sui vitigni tradizionali Sangiovese e Aleatico, e sulle varietà internazionali Cabernet Sauvignon e Merlot.

Ma l’attività di sperimentazione e di studio su varietà di vite diverse e su metodi di vinificazione più innovativi, non si interruppe col riconoscimento della denominazione di origine, semmai si fece più dinamica, tanto che, grazie anche all’impianto di nuovi vigneti e alla nascita di nuove aziende, i risultati emersi convinsero i produttori dell’area del Sovana che era necessario aggiornare il disciplinare di produzione, inserendo la versione varietale Ciliegiolo, anche con

menzione Superiore e qualifica Riserva (al pari delle altre tipologie previste, ad eccezione del rosato), e la tipologia tradizionale Aleatico Passito, anche con qualifica Riserva, il che è stato sancito con la modifica del disciplinare intervenuta col decreto ministeriale 22.11.2011.

 

Articolo 10

(Riferimenti alla struttura di controllo)

 

Nome e indirizzo: Valoritalia società per la certificazione delle qualità e delle produzioni

vitivinicole italiane s.r.l.

Via Piave, 24

00187 Roma

Tel. : 0445 313088

16

Fax : 0445 313080

Mail: info@valoritalia.it

Valoritalia società per la certificazione delle qualità e delle produzioni vitivinicole italiane s.r.l. è l’Organismo di controllo autorizzato dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 61/2010 (Allegato 2) che effettua la verifica annuale del rispetto delle disposizioni del presente disciplinare, conformemente all’art. 25, paragrafo 1, 1° capoverso, lettere a) e c), ed all’art. 26 del Regolamento CE n. 607/2009, per i prodotti beneficianti della DOP, mediante una metodologia dei controlli sistematica nell’arco

dell’intera filiera produttiva (viticoltura, elaborazione, confezionamento), conformemente al citato art. 25, paragrafo 1, 2° capoverso, lettera c).

In particolare, tale verifica è espletata nel rispetto di un predeterminato piano dei controlli, approvato dal citato Ministero, conforme al modello approvato col DM 2 novembre 2010, pubblicato in G.U. n. 271 del 19-11-2010 (Allegato 3) in applicazione del Decreto legislativo n. 61/2010.

In particolare il piano prevede il 100% del controllo documentale su tutti gli utilizzatori della filiera vitivinicola, ed un controllo di tipo ispettivo annuo, a campione, su una percentuale minima degli utilizzatori che può essere così sintetizzata:

15% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Viticoltore, in ordine alla verifica della persistenza delle condizioni per l’idoneità alla DO della superficie coltivata ed alla verifica del rispetto delle disposizioni di tipo agronomico impartite dal disciplinare; tale percentuale è comprensiva della verifica ante-vendemmia per accertare il rispetto della resa massima di uva/ettaro pari al 10% delle aziende;

10% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Centro intermediazione delle uve atte alla vinificazione, in ordine alla verifica della corrispondenza quantitativa del prodotto detenuto con riscontro ai relativi documenti di accompagnamento inerenti al trasporto uve ed ai registri di cantina, nonché alla rispondenza ai requisiti previsti dal disciplinare di produzione;

15% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Vinificatore, in ordine alla verifica della corrispondenza quantitativa del prodotto a DOP e atto a DOP detenuto con quanto annotato sui registri di carico e scarico e con quanto risulta sui relativi documenti di accompagnamento, nonché della conformità delle operazioni tecnologiche effettuate sui prodotti alle disposizioni impartite dal disciplinare;

7% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Vinificatore, con prelievo di campioni ai fini della verifica del titolo alcolometrico minimo previsto per la detenzione del prodotto in cantina nella relativa fase di elaborazione;

10% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Aziende di acquisto/vendita di vini sfusi atti a DOP o certificati DOP, in ordine alla verifica della corrispondenza quantitativa del prodotto detenuto con riscontro ai relativi documenti di accompagnamento inerenti al trasporto del vino ed ai registri di cantina;

20% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Imbottigliatore, in ordine alla verifica della corrispondenza quantitativa del prodotto a DOP e atto a DOP detenuto con quanto annotato sui registri di carico e scarico e con quanto risulta sui relativi documenti di accompagnamento, nonché della corrispondenza quantitativa del prodotto detenuto e del corretto uso della denominazione di origine;

7% annuo a campione degli utilizzatori riconducibili al soggetto Imbottigliatore, con prelievo di campioni da effettuarsi sul vino a DOP già confezionato per verificare la corrispondenza del vino imbottigliato destinato al consumo con la certificazione di idoneità.

Inoltre, il piano dei controlli prevede un controllo di tipo analitico sistematico sul prodotto atto a DOP detenuto dal soggetto vinificatore e/o dal soggetto identificabile con le aziende di acquisto/vendita di vini sfusi atti a DOP o certificati DOP e/o dal soggetto imbottigliatore, prima dell’immissione al consumo, che si realizza mediante il prelievo di campioni da inoltrare alle Commissioni di degustazione ed a un Laboratorio di analisi autorizzato dal Ministero delle

politiche agricole, alimentari e forestali per i successivi esami chimico-fisico e organolettico e con la verifica della rispondenza quantitativa dei prodotti detenuti.

 

Allegato A

Elenco delle Menzioni Geografiche Aggiuntive

 

Elenco dei Comuni:

- Sorano

- Manciano

 

Elenco delle Frazioni e delle località:

nel comune di Pitigliano:

- Casone

- Collina

- Conatelle

- Filetta

- La Rotta

- La Prata

- Malpasso

- Il Piano

- Valle Palombata

- Corano

- Bagnolungo

- Fratenuti

- Felcetoni

- San Martino – Madonna delle Grazie

- Pietramora

- Poggio Grillo

- Porcile – Vallelunga

- Crocignano

- Naioli

- Vallebuia

- Bellavista

- Belvedere

- Poggio Lombardello

- Gradone

- Selvicciola

- Trigoli

- Vacasio

- Doganella

- Annunziata

- Fiora – Meletello

- Poggio Rota

- Rusceti

- San Pietro

- Turiano

- Valle Morta

- Valle Orsaia

- Formica

- Poggio Cavalluccio

- Rimpantoni

- Roccaccia

- Rompicollo

- Pantano

- Poggio lepre

- Ortale

- Sconfitta

- Vuglico

- Pian di Morrano

- Bottinello

- Ornelleta

- Pantalla

- Pian D’Arciano

- Porcarecce

- Ripignano

- Spinicci

- Insuglieti – Le Sparne

- Pian di Conati

nel comune di Sorano:

- Filetta

- Vignamurata

- Pian di Conati

- Elmo

- Montebuono

nel comune di Manciano:

- Montemerano

- Saturnia

- Marsiliana

- Poggio Murella

- Poggio Fuoco

- San Martino

- Sgrilla

- Cavallini

 

- Guinzoni