Campania › CASERTA

AVERSA D.O.C.

CASAVECCHIA DI PONTELATONE D.O.C.

FALERNO DEL MASSICO D.O.C.

GALLUCCIO D.O.C.

VIGNETI ED ALBERATE AVERSA

VIGNETI E ALBERATE AVERSA

AVERSA

D.O.C.

Decreto 31 luglio1993

Modifica Decreto  9 frbbraio1994

Modifica Decreto  28 febbraio 2000

Modifica Decreto 9 gennaio2002

Modifica Decreto 5 luglio 2006

(fonte GURI)

Modifica Decreto 30 novembre2011

(fonte Mipaaf)

 

Articolo 1

Denominazione e vini

 

1. La denominazione di origine controllata “Aversa”, seguita dal nome del vitigno Asprinio è riservata ai vini che rispondono alle condizioni e ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione per le seguenti tipologie:

 

“Aversa” Asprinio

“Aversa” Asprinio spumante

 

Articolo 2

Base ampelografica

 

Il vino a denominazione di origine controllata “Aversa” Asprinio deve essere ottenuto da uve provenienti da vigneti aventi, in ambito aziendale, la seguente composizione varietale:

Asprinio minimo 85%;

Possono concorrere alla produzione di detto vino le uve di altri vitigni a bacca bianca, non aromatici, idonei alla coltivazione per le rispettive province di Caserta e di Napoli, da soli o congiuntamente, fino ad un massimo del 15%.

 

Il vino a denominazione di origine controllata “Aversa” Asprinio spumante deve essere ottenuto da uve provenienti da vigneti aventi, in ambito aziendale, la seguente composizione varietale:

Asprinio minimo 100%;

 

Articolo 3

Zona di produzione uve

 

1. Le uve destinate alla produzione del vino a DOC “Aversa Asprinio” devono essere prodotte nella zona che comprende tutto il territorio amministrativo dei comuni di:

In provincia di Caserta:

Aversa, Carinaro, Casal di Principe, Casaluce, Casapesenna, Cesa, Frignano, Gricignano di Aversa,

Lusciano, Orta di Atella, Parete, San Cipriano d’Aversa, San Marcellino, Sant’Arpino, Succivo, Teverola, Trentola – Ducenta, Villa di Briano, Villa Literno.

 

In provincia di Napoli:

Giugliano, Qualiano, Sant’Antimo.

 

Articolo 4

Norme per la viticoltura

 

1. Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti destinati alla produzione del vino a DOC “Aversa” Asprinio devono essere quelle tradizionali della zona e comunque atte a conferire alle uve ed ai vini derivati le specifiche caratteristiche di qualità.

Sono pertanto da considerarsi idonei ai fini dell’iscrizione allo Schedario viticolo unicamente quelli allevati in controspalliera con esclusione dei vigneti ubicati nei fondovalle e su terreni particolarmente umidi. In deroga al paragrafo precedente, per salvaguardare la tipica forma di allevamento ad “alberata aversana”, da considerarsi bene ambientale e culturale della zona, sono consentiti gli impianti allevati in forma verticale e ubicati su terreni sciolti, leggeri, facilmente lavorabili, profondi, purché con adeguata sistemazione idraulica.

I sesti di impianto, le forme di allevamento ed i sistemi di potatura devono essere quelli generalmente usati nella zona e comunque atti a non modificare le caratteristiche dell’uva e dei vini.

E’ vietata ogni pratica di forzatura.

2. La resa massima, nel caso di impianti allevati ad alberata, non dovrà essere superiore ai 4 kg di uva per metro quadrato di parete e i 240 kg per ceppo con un numero massimo di 50 ceppi/ettaro.

Nel caso di vigneti specializzati allevati a contro spalliera, la resa massima di uva per ettaro non deve essere superiore ai 12,00 t/ha.

A tali limiti, anche in annate eccezionalmente favorevoli, la produzione dovrà essere riportata, attraverso un’accurata cernita delle uve, purché la produzione non superi del 20% i limiti medesimi sopra stabiliti.

3. La regione Campania con proprio decreto, sentite le organizzazioni di categoria interessate, di anno in anno, prima della vendemmia, tenuto conto delle condizioni ambientali climatiche, di coltivazione e di mercato, può stabilire un limite massimo di produzione di uva per ettaro inferiore a quello fissato dal presente disciplinare di produzione, dandone immediata comunicazione all’organismo di controllo.

4. Le uve destinate alla vinificazione devono assicurare al vino a DOC “Aversa” Asprinio

un titolo alcolometrico volumico naturale minimo di: 10,50% vol.

Le uve destinate alla produzione del “vino spumante” oppure provenienti dalle “alberate” dovranno assicurare

un titolo alcolometrico volumico naturale minimo di: 9,50% vol.

purché la destinazione alla spumantizzazione o la provenienza dall’alberata vengano espressamente indicate nella denuncia annuale delle uve.

 

Articolo 5

Norme per la vinificazione

 

1. Nella vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche atte a conferire ai vini le proprie peculiari caratteristiche.

2. Le operazioni di vinificazione devono essere effettuate all’interno della zona di produzione di cui all’art. 3.

3. E’ tuttavia facoltà del Ministero per le politiche agricole alimentari e forestali su conforme parere della regione Campania, consentire che le suddette operazioni di vinificazione siano effettuate in stabilimenti siti nel territorio amministrativo delle province di Caserta, Napoli e Benevento, a condizione che le ditte interessate che ne fanno richiesta, dimostrino di aver vinificato, nelle vendemmie precedenti a quella di entrata in vigore del presente disciplinare di produzione, vini del tipo di quelli qui regolamentati.

4. La resa massima dell’uva in vino finito non deve essere superiore al 70%.

Gli eventuali superi sono da classificarsi, se ne hanno le caratteristiche, fra i vini da tavola, anche ad indicazione geografica tipica.

5. Le operazioni di elaborazione del vino a DOC “Aversa” Asprinio spumante, ossia le pratiche enologiche per la presa di spuma e la stabilizzazione, devono essere effettuate in stabilimenti situati nell’ambito del territorio delimitato nel precedente art. 3 o autorizzati ai sensi del terzo comma del presente articolo.

Per il solo tipo spumantizzato in autoclave è facoltà del Ministero per le politiche agricole alimentari e forestali su conforme parere della regione Campania, consentire per un periodo di anni dieci a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente disciplinare di produzione (31/07/1993), che le operazioni sopra indicate siano effettuate in stabilimenti siti al di fuori della zona delimitata nell’art. 3 o autorizzati ai sensi del secondo comma di questo stesso articolo.

 

Articolo 6

Caratteristiche al consumo

 

1. I vini a DOC “Aversa” di cui all’art. 1, all’atto dell’immissione al consumo, devono rispondere alle seguenti caratteristiche:

 

“Aversa” Asprinio:

colore: giallo paglierino più o meno carico;

profumo: intenso, fruttato, caratteristico;

sapore: secco, fresco, caratteristico;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,50% vol.;

acidità totale minima: 6,00 g/l;

estratto non riduttore minimo: 15,00 g/l;

 

“Aversa” Asprinio spumante:

spuma: fine e persistente;

colore: giallo paglierino più o meno intenso;

profumo: fine, fragrante, caratteristico;

sapore: secco, fresco, caratteristico;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.;

acidità totale minima: 7,00 g/l;

estratto non riduttore minimo: 15,00 g/l;

 

E’ facoltà del Ministero per le politiche agricole alimentari e forestali modificare, con proprio decreto, i limiti sopra indicati per l’acidità totale e l’estratto non riduttore minimo.

 

Articolo 7

Designazione e presentazione

 

Nella designazione dei vini a DOC “Aversa” in deroga alle misure stabilite a titolo generale dagli articoli 1 e 6 del presente disciplinare può figurare il nome del vitigno “Asprinio” seguito dalla specificazione di origine “Aversa”, in caratteri della medesima ampiezza, colorimetria e forma grafica.

Per il vino a DOC “Aversa” ottenuto dalle uve provenienti dai vigneti allevati ad “alberata” è obbligatorio indicare sulla denuncia di produzione delle uve, sui registri e sui documenti previsti dalla normativa vigente, nonché nell’etichettatura, la menzione aggiuntiva “alberata o vigneti ad alberata”.

Nella designazione tale menzione deve essere riportata immediatamente al di sotto della dicitura “denominazione di origine protetta”.

Nella designazione e presentazione del vino a DOC “Aversa” è vietato l’uso di qualsiasi qualificazione aggiuntiva diversa da quelle previste dal presente disciplinare di produzione, ivi compresi gli aggettivi: extra, fine, scelto, superiore, riserva, selezionato e similari.

E’ consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali e marchi privati non aventi significato laudativo e non idonei a trarre in inganno l’acquirente.

Le indicazioni tendenti a specificare l’attività agricola dell’imbottigliatore quali: viticoltore, fattoria, podere, tenuta, cascina ed altri termini similari, sono consentite in osservanza delle disposizioni comunitarie e nazionali in materia.

Sulle bottiglie o altri recipienti contenenti vini a DOC “Aversa” deve figurare l’indicazione dell’annata di produzione delle uve, tale indicazione è facoltativa per il tipo “spumante”.

 

Articolo 8

Legame con l’ambiente geografico

 

A) Informazione sulla zona geografica

1) Fattori naturali

La zona geografica delimitata comprende una pianura geologicamente omogenea posta a Nord dei campi Flegrei in quelli che un tempo erano denominati Regi Lagni.

L'area è compresa tra Orta di Atella ad Est, Casal di Principe a Nord, Villa Literno ad Ovest, Qualiano a Sud.

L'area dell'Asprinio di Aversa è totalmente pianeggiante e l'altimetria è compresa tra i 10 m. s.l.m. di Villa Literno e i 101 m. s.l.m. di Qualiano.

L'esposizione prevalente dei vigneti è sud.

Il clima della regione rientra nell’area di influenza mediterranea; l’andamento delle temperature è caratterizzato da medie escursioni, con estati calde e inverni temperati.

La precipitazione media annua è di 702 mm. (ultimi 12 anni)

La distribuzione stagionale delle piogge ha caratteri tipicamente mediterranei concentrandosi per circa il 60% nel periodo autunno-inverno.

Nel complesso i terreni rilevati nell'area in studio, presentano in sommità uno spessore variabile, di alcuni metri, di materiali riconducibili al secondo periodo flegreo che rappresentano le facies incoerenti (pozzolane) e coerenti o pseudo coerenti (tufo giallo); in profondità uno spessore di materiali riconducibili al primo periodo flegreo (tufo grigio).

Tali formazioni sciolte o litoidi, provengono da una stessa tipologia di terreni, le piroclastici.

La composizione mineralogica delle piroclastici, prevalendo i prodotti dei Campi Flegrei è trachitica di natura alcalina ed inquadrabile nelle associazioni magmatiche potassiche.

Detti terreni a seconda dei grado di litificazione e di "autopneumatolisi" a cui sono stati soggetti, si presentano scotte o litificate.

Le pozzolane hanno una diversa classificazione geologica, in quanto possono essere in sede, rimaneggiate e alluvionali. Le prime sono di colore grigio chiaro e sono costituite da ceneri, lapilli pomiceì e in misura assai ridotta, da lapilli lapidei.

Questi terreni talvolta sono stati rimossi dalle acque superficiali, trasportati rimaneggiati e ridepositati formando così le pozzolane rimaneggiate.

Queste ultime sono di colore giallognolo marrone, si differenziano da quelle in sede per la maggiore presenza di lapilli lapidei e per la granulometria che è in genere più fine; inoltre molto spesso è presente negli strati più superficiali e negli orizzonti di paleosuoli, della sostanza organica sotto forma dí humus da cui ne consegue una certa plasticità e deformabilità degli stessi.

Le pozzolane alluvionali hanno subito processi simili a quelle rimaneggiate ma di intensità nettamente maggiore. Si sono verificate così variazioni nella granulometria, precisamente è stata asportata la frazione più grossolana costituita da pomici, mentre è aumentata la frazione di lapilli lapidei di dimensioni ridotte.

Il rilevamento geologico di superficie, e le risultanze delle indagini, hanno evidenziato per l'area investigata, la presenza di depositi tali piroclastici depositatisi in tempi diversi, pertanto il sottosuolo in oggetto in base:

a) al rilevamento di dettagliato

b) alle indagini acquisite

c) alle indagini eseguite

risulta in perfetto accordo con la geologia generale dell'area, precedentemente descritta; cioè i litotipi riconosciuti sono essenzialmente prodotti piroclastici ascrivibili ad attività vulcanica degli apparati del Roccamonfina, dei Campi Flegrei e del Somma-Vesuvio, sia in deposizione primaria, sciolti o litoidi che secondaria (alluvionali), questi ultimi sempre sciolti.

Premesso ciò, per semplicità di esposizione, i terreni attraversati dalle terebrazioni (sondaggi), vengono distinti, in base alla loro consistenza, in tre formazioni piroclastiche;

1) superficiale di tipo pozzolanico (sciolto) fino a max. 12 m dal p.c.

2) di tipo tufitico (pseudolitoide) fino a circa 21 m dal p.c. - 3) di tipo cìneritico sabbioso oltre tale profondità.

La I formazione si presenta incoerente, policroma, a granulometría sabbiosa, ma con inclusi lapilli, pomici e scorie

La II formazione appare spesso litoide o semilitoide Tufo Grigio (nella variazione da Giallo a Grigio — potenza massima di 10-12 m)

La III formazione è in effetti una cinerite sabbioso ghiaiosa di origine vulcanica talvolta alternate a orizzontì tufacei. Il loro spessore può raggiungere varie decine di metri, ed è quella che ospita la falda acquifera.

2) Fattori umani

Di fondamentale rilievo sono i fattori umani legati al territorio di produzione, che per consolidata tradizione hanno contribuito ad ottenere il vino “ Aversa”.

L’agro aversano, ricadente nelle province di Napoli e Caserta, è delimitato, a guisa di barriere vegetali, dalle tipiche alberate (o festoni) che ne caratterizzano il paesaggio.

La vite maritata a tutori vivi, in genere il pioppo, raggiunge anche i venti metri di altezza dando origine a prodotti di pregio e spiccata tipicità che possono vantare una tradizione antichissima e saldamente radicata nelle popolazioni locali.

Infatti il vitigno Asprinio è presente in Campania da epoca remota ma varie e diversificate sono le ipotesi formulate sulla sua origine, come pure diverse sono le sinonimie da più parti segnalate.

3) Fattori storici

Secondo alcuni ampelografi in Puglia il vitigno riceverebbe il nome di “Olivese”, “Ragusano” e “Ragusano bianco”. Nelle aree aversane, maddalonese e casertana, invece, è ricorrente la denominazione di “Asprinio” – “Asprino” – “Uva Asprinia”.

Più consona risulta, comunque, la terminologia di “Asprinio di Aversa”, la cui codificazione è ormai accettata dagli operatori agricoli dagli Enti locali preposti alla tutela ed alla valorizzazione della produzione viticola.

La coltura del vitigno Asprinio, diffusa un po’ dappertutto nel Mezzogiorno d’Italia, ha sempre trovato in Campania, e più specificatamente in Agro Aversano, la più ampia collocazione.

Circa l’ introduzione in Italia di tale vitigno, le ipotesi formulate sono molto diverse ed anche il particolare sistema di allevamento è oggetto delle più svariate considerazioni, non esclusa qualcuna chiaramente frutto di pura fantasia, in quanto collegata ad una probabile funzione di più o meno valida barriera bellica per contrastare le cariche della cavalleria degli eserciti avversi ai Borboni.

Più consono, ci sembra invece, collocare il particolare sistema di allevamento della vite alla coltura della canapa, tipica dell’area di Terra di Lavoro. La canapa, infatti, raggiungendo altezze variabili intorno ai due metri dal suolo, creava condizioni sfavorevoli ad un allevamento basso della vite, soprattutto in considerazione che la coltura della vite veniva condotta in consociazione.

Secondo Violante e Bordignon sembra che la diffusione della coltura dell’Asprinio abbia avuto la maggiore espansione nelle Puglie ed in Campania.

In particolare, poi, l’incidenza più elevata si sarebbe registrata nella provincia di Caserta, un po’ meno in quella di Napoli.

Secondo Giampaglia, il vitigno Asprinio deriverebbe dalla “tribù dei Pinot” e sarebbe stato introdotto nel Napoletano nel secolo scorso durante la dominazione francese. A sostegno di questa ipotesi vale la considerazione avallata dagli stessi agricoltori, secondo i quali, nel passato, l’uva asprinia veniva acquistata da commercianti francesi e ungheresi, per poi utilizzarla nella preparazione di vino spumante.

Altri sostengono che il vitigno in parola derivi direttamente dal “Greco” e ciò verrebbe confermato da quanto scriveva, nel 1804, Nicola Columella Onorati che elencando le principali varietà di uva che si coltivano nell’agro alifano, cosi si esprimeva: “L’uva asprinia, della quale varietà di uva bianca si fa il Greco in buona parte in Campania è conosciuta sotto il nome di Asprinio di Aversa”.

Ma gli stessi cultori dell’epoca non sembrano condividere tali affermazioni, perché le differenze morfologiche tra “Greco” ed “Asprinio” risulterebbero tali da non lasciare alcun dubbio.

Secondo notizie tramandate da Sante Lancerio, cantiniere di S.S. Papa Paolo III Farnese, la coltura del vitigno risalirebbe agli inizi del ‘500, cioè in un’epoca anteriore alla dominazione francese.

Infatti, ne “I Viaggi di Papa Paolo III”, il Lancerio dice che S.S. usava l’Asprinio come bevanda dissetante servendosene prima di coricarsi. Lo stesso autore facendo le lodi a questo vino “diuretico” dice che il migliore è quello di Aversa, apprezzato dai commercianti perché “li cortigiani et cortigiane corrono volentieri alla foglietta” (la “foglietta” è una misura di capacità del vino, circa mezzo litro).

Questa la descrizione: “Il vino Asprinio vien da un luogo vicino Napoli. Li migliori sono quelli di Aversa, città unica e buona.

Ce ne sono delli bianchi et delli rossi, ma questi sono meglio. Tali vini sono molto crudi, sono vini da podagrosi. L’estate è sana bevanda.

Di questa sorta di S.S. usava bere alcuna volta per cacciare la sete avanti che andasse a dormire, et diceva farlo per rosicare la flemma.

A volere conoscere la sua perfetta bontà vuole essere odorifero, di colore dorato, et non del tutto crudo. Volendolo per le state, bisogna metterelo, la primavera, nella cantina, et sia si crudo che il caldo lo maturi, et prima faccisi la prova del colore.

Tali vini sono stimati assai dagli osti, che li Cortigiani et Cortigiane corrono volentieri alla foglietta. Anco questo vino è lodato dai Medici, sicchè e buono.”

Anche la tradizione popolare vuole far risalire la coltivazione dell’Asprinio nella zona ai primi del ‘500.

Si vuole, ma senza alcuna prova storica, che Luigi XII di Valais, Re di Francia detto “Padre del Popolo” (nato a Blais 1462 – morto a Parigi 1515), disceso nella penisola italiana all’inizio del 1500 ed impadronitosi prima del Ducato di Milano e quindi del Regno di Napoli che, poi, dovette cedere agli Spagnoli (1504), importasse dalla Francia una certa quantità di vitigni che, avendoli fatti mettere a sito nelle terre del Casertano, ne ottenne l’Asprinio.

Questo vino chiaro, color verdolino, asciutto e frizzante è gradevolissimo e dissetante per cui i napoletani presero a berne ben fresco anche fuori pasto per meglio sopportare le arsure estive.

Sta di fatto che questo vino giovane, prodotto all’epoca di bassa gradazione alcoolica (dagli 8 ai 10 gradi), ebbe vasta diffusione nel napoletano talché nelle antiche e più rinomate taverne della Napoli prima spagnola e poi borbonica quali quelle: del Cerriglio: della Vicaiola: di Porta Capuana: di Florio a Chiaia e del Crispano, la bionda bevanda “scorreva a fiumi” con grande sussiego dei tavernari e grande gioia dei festosi chiassosi consumatori.

A convalidare l’antichità di questo gradevole prodotto enologico va ricordato che da un “Assisa del vino” in data 15 febbraio 1640 risulta che il prezzo dell’Asprinio era di denari nove la caraffa, (la “caraffa” equivalente a trentatre once di liquido, poco meno di un litro).

Questo tipico prodotto partenopeo che, forse, aveva in un certo qual modo colpito l’attenzione della moglie del Re Gioacchino Murat, portò la Regina Carolina a scrivere in una lettera: “Questa e la terra promessa, nella campagna si vedono festoni di viti attaccati agli alberi con sparsi grappoli di uva assai più belli di quelli che gli Ebrei portarono a Mosè.

Spero che quanto ti dico ti ispiri il desiderio di venire a vedere questo paese, vale la pena di fare cinquecento leghe per vederlo.”

Non si può escludere che la principessa napoleonica fosse stata attratta proprio dal vitigno Asprinio allevato secondo il sistema classico ad alberata, detto anche “Sistema Aversano”.

E poiché, se è vero, che tutto torna alle origini giova ricordare che dall’Asprinio si ottennero i primi spumanti secchi che, prodotti con le più pregiate uve dei Siti Reali dell’aversano, trovarono favorevole accoglienza nella vicina Francia.

Pare che lo stesso Garibaldi lo abbia apprezzato in una rustica colazione dopo la battaglia del Volturno.

Diversamente dagli altri il Redi evidenzia , con un certo dispregio, la caratteristica acidità del Vini Asprinio, definendolo “bevanda agreste”: ma, ricorda il Monelli, forse per ripicca a seguito di contrasti con l’Avvocato napoletano Francesco d’Andrea.

Rendella, a sua volta, riferisce di un vino Asprinio facile a digerirsi, ma poco serbevole per cui ne consiglia il consumo prima dei forti calori estivi, raccomandandone la conservazione in grotte scavate nel tufo a profondità di 15-20 metri, affinché la temperatura si mantenga costantemente bassa.

In queste cantine, tutt’ora esistenti, il vino si conserva bene e si presenta frizzante a causa dell’anidride carbonica che si svolge dalla fermentazione lenta che, favorita dall’ambiente fresco, si dissolve facilmente nella massa.

Da rilevare, la testimonianza di Vincenzo Sammola, secondo il quale il maggior consumo di vino a Napoli era appannaggio del tipo rosso mentre “solo nell’estate avanzata” la preferenza era accordata al vino bianco “Asprinio di Aversa”.

Nel 1839 nel suo “Corricolo”, interessante tra l’altro per una classificazione delle pizze d’epoca, Alessandro Dumas, definì l'Asprinio come l’unico vino capace di andar bene con la pizza e gli spaghetti.

Il Bruno Bruno, invece lo definisce atto su lucci e anguille, riportando un giudizio di Veronelli, che è rimasto affascinato dall’Asprinio di Aversa:

“Quando l’ho bevuto, mi sono emozionato. Ero in campagna da un contadino, dalle parti di Aversa, e quell’ Asprinio era eccezionalmente buono. Ben lavorato, fragile, elegante.

Quello che i fa rabbia è la consapevolezza di non poterlo ritrovare.

L’Asprinio di Aversa sarebbe un vino splendido se venisse valorizzato”.

È questo è l’obbiettivo che si prefigge la proposta di conferimento della Denominazione di Origine Protetta per il vino “Asprinio di Aversa”, dare dignità ed un futuro ad un vino di grande pregio e tradizione.

base ampelografica dei vigneti:

i vitigni idonei alla produzione del vino in questione sono quelli tradizionalmente coltivati nell’area di produzione

le forme di allevamento,i sesti di impianto e i sistemi di potatura:

che, anche per i nuovi impianti, sono quelli tradizionali e tali da perseguire la migliore e razionale disposizione sulla superficie delle viti, sia per agevolare l’esecuzione delle operazioni colturali, sia per consentire la razionale gestione

della chioma.

le pratiche relative all’elaborazione dei vini:

sono quelle tradizionalmente consolidate in zona per la vinificazione dei vini bianchi e dei bianchi spumanti.

 

B) Informazioni sulla qualità o sulle caratteristiche del prodotto essenzialmente o esclusivamente attribuibili all’ambiente geografico

I vini di cui il presente disciplinare di produzione presentato, dal punto di vista analitico ed organolettico, caratteristiche molto evidenti e peculiari, descritte all’articolo 6, che ne una chiara individuazione e tipicizzazione legata all’ambiente geografico.

In particolare i vini presentano caratteristiche chimico-fisiche equilibrate in tutte le tipologie, mentre al sapore e all’odore si riscontrano aromi prevalenti tipici dei vitigni.

 

C) Descrizione all’interazione casuale fra gli elementi di cui alla lettera A) e quelli di cui alla lettera B).

L’orografia pianeggiante del territorio di produzione e l’esposizione prevalente dei vigneti, orientati a sud, e localizzati in zone storicamente vitate, concorrono a determinare un ambiente adeguatamente ventilato, luminoso, favorevole all’espletamento di tutte le funzioni vegeto produttive della pianta.

Nella scelta delle aree di produzione vengono privilegiati i terreni con buona esposizione adatti ad una viticoltura di qualità e ad una notevole tipicità.

La millenaria storia vitivinicola dell'area, come descritto al capoverso 2 è la fondamentale prova della stretta connessione ad interazione esistente fra i fattori umani e la qualità e le peculiari caratteristiche del vino “Asprinio”.

Ovvero è la testimonianza di come l’intervento dell’uomo nel particolare territorio abbia, nel corso dei secoli, tramandato le tradizioni tecniche di coltivazione della vite, le quali nell’epoca moderna e contemporanea sono state migliorate ed affinate, grazie all’indiscusso processo scientifico e tecnologico, fino ad ottenere gli attuali rinomati vini.

La presenza stessa di una particolare forma di allevamento che prende il nome da quest'area (alberata aversana) e la conservazione di alcuni esemplari centenari di vite prefillossera sono la prova tangibile del rapporto storico culturale che lega questo vino al suo territorio.

La DOC “ Aversa “ è stata riconosciuta con Decreto ministeriale del 31 luglio 1993.

 

Articolo 9

Riferimenti alla struttura di controllo

 

Is.Me.Cert. Istituto Mediterraneo di Certificazione Agroalimentare

Corso Meridionale 6

80143 Napoli .

Organismo di controllo di cui all’art. 3, comma 1, let. B) e C) del DM 19 marzo 2010.

L’IsMeCert è l’Organismo di controllo autorizzato dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 61/2010 (Allegato 1) che effettua la verifica annuale del rispetto delle disposizioni del presente disciplinare, conformemente all’articolo 25, par. 1, 1° capoverso, lettera a) e c), ed all’articolo 26 del Reg. CE n. 607/2009, per i prodotti beneficianti della DOP, mediante una metodologia dei controlli sistematica nell’arco dell’intera filiera produttiva (viticoltura, elaborazione, confezionamento), conformemente al citato articolo 25,

par. 1, 2° capoverso, lettera c).

In particolare, tale verifica è espletata nel rispetto di un predeterminato piano dei controlli, approvato dal Ministero, conforme al modello approvato con il DM 2 novembre 2010, pubblicato in GU n. 271 del 19-11-2010 (Allegato 2).

 

N.B. fa fede solo il testo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

VIGNETI PONTELATONE

VIGNETI PONTELATONE

CASAVECCHIA DI PONTELATONE

D.O.C.

Decreto 08 novembre 2011

(fonte GURI)

Modifica Decreto 30 novembre 2011

(fonte Mipaaf)

 

Articolo 1

Denominazioni e vini

 

La denominazione di origine controllata “Casavecchia di Pontelatone " è riservata ai vini che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione per le seguenti tipologie:

 

rosso

riserva.

 

Articolo 2

Base ampelografica

 

La denominazione d'origine controllata di cui all'art. 1 è riservata ai vini ottenuti da uve provenienti da vigneti aventi, nell’ambito aziendale, la seguente composizione varietale:

“Rosso” e “riserva”:

Casavecchia n. minimo 85%;

possono concorre altri vitigni a bacca rossa non aromatici idonei alla coltivazione per la Regione Campania, fino a un massimo del 15%;

 

Articolo 3

Zona di produzione delle uve

 

La zona di origine delle uve idonee a produrre il vino DOC “Casavecchia di Pontelatone” comprende l’intero territorio amministrativo del comune di Liberi e Formicola e parte dei comuni di

Pontelatone, Caiazzo, Castel di Sasso, Castel Campagnano, Piana di Monte Verna e Ruviano,

tutti in provincia di Caserta.

Fisicamente i confini sono così individuati:

Partendo da nord dall’intersezione tra il limite amministrativo del comune di Ruviano e la strada comunale San Domenico in località Composto, si prosegue in direzione Sud, fino al centro abitato di Ruviano.

Da qui si prosegue con la ex strada statale 87 e successivamente con la Strada Provinciale Castel Campagnano – Piana di Monte Verna fino all’incrocio con la ex strada Statale 87.

Da detto incrocio si prosegue verso Ovest con la Strada Provinciale 264 Piana di Monte Verna – Trifilisco fino in località Barignano, Taverna Nuova, raggiungendo successivamente il confine amministrativo dei comuni di Pontelatone, Formicola, di nuovo Pontelatone, Liberi, chiazzo e Ruviano terminando con il ricongiungimento con la strada comunale San Domenico in località Composto.

 

Articolo 4

Norme per la viticoltura

 

Condizioni naturali dell'ambiente.

Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti destinati alla produzione del vino “Casavecchia di Pontelatone” devono essere quelle tradizionali della zona e comunque atte a conferire alle uve e al vino derivato le specifiche caratteristiche di qualità.

Sono pertanto da considerarsi idonei i vigneti collinari o comunque di giacitura ed esposizioni adatte, con esclusione di quelli impiantati su terreni di fondovalle e/o umidi e/o non sufficientemente soleggiati.

Densita' di impianto.

I sesti d’impianto, le forme di allevamento ed i sistemi di potatura devono essere razionali e tali da non modificare le caratteristiche peculiari dell’uva e del vino.

I nuovi impianti e reimpianti devono rispondere a moderne tecniche colturali e prevedere un numero di ceppi per ettaro non inferiore a 2.500 ceppi.

Per I nuovi impianti e reimpianti è vietata l’adozione di forme di allevamento orizzontali.

E’ vietata ogni pratica di forzatura e altresì consentito effettuare irrigazioni di soccorso, prevedendo impianti di irrigazione.

Resa a ettaro e gradazione minimale naturale.

La produzione massima di uve ammesse per i vini "Casavecchia di Pontelatone” per ettaro di coltura specializzata, non deve essere superiore, e il titolo alcolometrico volumico naturale dei mosti non deve essere inferiore ai sotto elencati limiti:

 

“Casavecchia di Pontelatone” rosso: 9,00 t/ha, 11,50% vol.;

“Casavecchia di Pontelatone” rosso riserva: ,00 t/ha,9 12,00% vol.

 

Nelle annate più favorevoli le quantità di uve destinante alla produzione dei vini a denominazione di origine controllata Casavecchia di Pontelatone devono essere riportate ai limiti massimi di cui sopra, purché le resa unitaria non superi per più del 20 % i limiti stessi.

Superata la percentuale del 20%, tutta la produzione decade dal diritto alla rivendicazione della denominazione di origine.

La Regione Campania, con proprio decreto, sentite le organizzazioni di categoria interessate, prima della vendemmia può modificare i limiti massimi di resa unitaria ed il titolo alcolometrico volumico minimo naturale in conformità alle norme di legge.

 

Articolo 5

Norme per la vinificazione

 

Nella vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche enologiche leali e costanti, atte a conferire al vino le sue peculiari caratteristiche varietali e territoriali.

Zona di vinificazione.

Le operazioni di vinificazione, di invecchiamento e di imbottigliamento dei vini a denominazione di origine controllata “Casavecchia di Pontelatone” possono essere effettuate nell’ambito dell’intera provincia di Caserta e nel territorio amministrativo del comune di Amorosi in provincia di Benevento.

Conformemente all’art. 8 del Reg. CE n. 607/2009, l’imbottigliamento o il condizionamento deve aver luogo nella predetta zona geografica delimitata per salvaguardare la qualità o la reputazione o garantire l’origine o assicurare l’efficacia dei controlli.

Arricchimento.

L'aumento del titolo alcolometrico è consentito ai sensi delle norme vigenti e solo per la tipologia rosso.

Resa uva/vino.

La resa massima delle uve in vino non deve essere superiore al 70%.

Qualora la resa uva/vino superi il limite di cui sopra, ma non oltre il 5% del vino totale finito, l’eccedenza non ha diritto alla denominazione di origine controllata e garantita.

Oltre detto limite del 5% sul vino totale finito, decade il diritto alla denominazione di origine controllata e garantita per tutta la partita.

Invecchiamento.

lì vino a denominazione di origine controllata “Casavecchia di Pontelatone” deve essere sottoposto a un periodo minimo di invecchiamento obbligatorio di

due anni

di cui almeno uno in legno.

Per la tipologia “riserva” l’invecchiamento deve essere di non meno di

tre anni

di cui almeno 18 mesi in legno.

Il periodo di invecchiamento decorre dal primo Novembre dell’anno della vendemmia.

 

Articolo 6

Caratteristiche al consumo

 

Il vino a denominazione di origine controllata “Casavecchia di Pontelatone” all’atto dell’immissione al consumo deve rispondere alle seguenti caratteristiche:

 

“Casavecchia di Pontelatone” rosso:

colore: Rosso rubino più o meno intenso, tendente al granato con l’invecchiamento

profumo: intenso, persistente, caratteristico

sapore: secco, sapido, giustamente tannico, morbido e di corpo

titolo alcolometrico volumico minimo totale: rosso 12,50% Vol.; riserva 13,00% vol.

acidità totale minima: 5,00 g/l;

estratto non riduttore minimo: 26,00 g/l.

 

“Casavecchia di Pontelatone” rosso riserva:

colore: Rosso rubino più o meno intenso, tendente al granato con l’invecchiamento

profumo: intenso, persistente, caratteristico

sapore: secco, sapido, giustamente tannico, morbido e di corpo

titolo alcolometrico volumico minimo totale: 13,00% vol.

acidità totale minima: 5,00 g/l;

estratto non riduttore minimo: 26,00 g/l.

 

 

È facoltà del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, con proprio decreto, stabilire limiti minimi diversi per l’acidità totale e l’estratto non riduttore.

 

Articolo 7

Designazione e presentazione

 

E’ vietato usare assieme alla denominazione di origine controllata “Casavecchia di Pontelatone” qualsiasi qualificazione aggiuntiva diversa da quelle previste nel presente disciplinare di produzione, ivi compresi gli aggettivi “superiore”, “extra”, “fine”, “selezionato” e similari.

È consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali, marchi privati non aventi significato laudativo e non idonei a trarre in inganno l’acquirente.

Le indicazioni tendenti a specificare l’attività agricola dell’imbottigliatore quali “viticoltore”, “fattoria”, “tenuta”, “podere”, “masseria” ed altri termini similari sono consentite in osservanza delle disposizioni Comunitarie e Nazionali in materia.

La menzione “vigna” o I suoi sinonimi, seguita dal relativo toponimo o nome tradizionale può essere utilizzata nella presentazione e designazione dei vini DOP ottenuti dalla superficie vitata che corrisponde al toponimo, purché sia rivendicata nella denuncia annuale di produzione delle uve.

Sulle bottiglie o altri recipienti contenenti il vino Doc “Casavecchia di Pontelatone” deve figurare obbligatoriamente l’indicazione dell’annata di produzione delle uve.

Nella designazione e presentazione del vino Doc “Casavecchia di Pontelatone” la specificazione di tipologia “riserva” deve figurare al di sotto della dicitura “denominazione di origine controllata” ed essere scritta in caratteri di dimensioni non superiori a quelli utilizzati per la denominazione di origine “Casavecchia di Pontelatone”.

 

Articolo 8

Confezionamento

 

Il vino a Doc “Casavecchia di Pontelatone” deve essere immesso al consumo in bottiglia o altri recipienti di vetro di capacità non superiore a 5 litri.

I recipienti devono essere di forma bordolese, di vetro scuro, chiusi con tappo di sughero e, per quanto riguarda l’abbigliamento, confacenti ai tradizionali caratteri di un vino di particolare pregio.

E’ ammesso per le bottiglie di contenuto inferiore e/o uguale a 0.200 litri il tappo a vite e/o strappo.

 

Articolo 9

Legame con l’ambiente geografico

 

A) Informazioni sulla zona geografica

Fattori storici

La storia popolare, molto diffusa nelle persone del luogo, vuole che il Casavecchia abbia avuto origine da seme, nei pressi di un antico rudere del quale esistono ancora oggi i muri perimetrali, sito nei pressi della vecchia masseria denominata “Ciesi”, nel comune di Pontelatone a pochi passi dal braccio entroterra dell’antichissima via latina che dall’antica Capua portava ad Alife.

Secondo il detto popolare fu un certo Scirocco Prisco, nato a Pontelatone nel 1875 e ivi morto nel 1962 (Archivio dell’Interdiocesi di Caiazzo) a rinvenire verso la fine del XIX secolo, nei pressi del citato rudere (di sua proprietà) la prima vite di Casavecchia.

Egli stesso iniziò a riprodurla per propaggine e da qui si diffuse nei vicini comuni di Castel di Sasso, Formicola e Liberi. Sembra che la gente del posto iniziò a dire in gergo dialettale “l’uva e chella casa vecchia” da cui derivò il toponimo Casavecchia.

Da colloqui con i due figli ancora in vita del Prisco Scirocco, Guarino e Giuseppina, nati rispettivamente nel 1930 e nel 1923 a Pontelatone, sembra che suo padre trovò all’età di circa 25 anni, (quindi intorno al 1900) realmente la prima vite di Casavecchia nel posto indicato dalla leggenda e che al momento del rinvenimento avesse già un’età consistente (diametro del fusto di almeno 40 cm).

Le testimonianze di Scirocco Giuseppina e di Scirocco Guarino mettono fortemente in discussione l’attendibilità del detto popolare, proprio perché secondo loro, il padre trovò la prima vite Casavecchia che aveva già un’età consistente, pertanto non si può essere certi del fatto che sia nata effettivamente da seme, per la mancanza di documenti storici e di testimonianze attendibili in merito.

Le ipotesi alternative al detto popolare potrebbero essere diverse, si potrebbe pensare realmente ad una vite nata da seme molto tempo prima del suo rinvenimento, ma anche all’ipotesi secondo la quale una popolazione del vitigno Casavecchia già era diffusa nella zona e che nei pressi del vecchio rudere un unica pianta sia sfuggita all’abbandono e alla successiva estinzione.

La seconda delle suddette ipotesi sembra trovare un importantissimo riscontro con avvenimenti storici accuratamente documentati. Secondo le ricerche dei geologi, infatti, oltre al periodo freddo umido del tardo-antico tra V e VIII sec., il bacino del mediterraneo sarebbe stato interessato da un altro grande ciclo freddo-umido tra il XVI e la metà del XIX sec.; in Campania questo secondo ciclo si può ritenere concluso dalla epidemia di oidio che nel 1851 colpì la viticoltura, danneggiando e talvolta distruggendo vigneti ed arbusteti, non solo in una vasta area intorno al golfo di Napoli, le isole, il Vesuvio e la pianura campana, ma dilagando anche nelle limitrofe aree regionali (Guadagno G., 1997).

Come recita la relazione presentata alla Reale Accademia delle Scienze nel 1851 dalla commissione appositamente costituita «... in provincia di terra di lavoro...

Il male passava di là dai monti che circondano la pianura campana alle provincie limitrofe…».

Se si fa riferimento alla predetta relazione che rappresenta l’area interessata dalla epidemia oidica che nel 1851 colpì la Campania, si nota che la zona in cui oggi è diffuso il vitigno Casavecchia fu interessata da tali vicende storiche. Valutando le testimonianze dei due figli del Prisco Scirocco, tra l’altro molto più attendibili del detto popolare, si capisce che le origini di quella prima vite di Casavecchia sono antecedenti all’infestazione oidica del 1851.

Appare chiaro che esiste una indubbia ed inequivocabile collimazione geografica oltre che temporale tra la documentata relazione sull’infestazione oidica del 1851 e i fatti emersi dalle testimonianze dei due figli del Prisco Scirocco, per questo è possibile quanto spontaneo rafforzare l’ipotesi secondo la quale una popolazione del vitigno Casavecchia già era diffusa nell’area in studio o addirittura in Terra di lavoro ancor prima del XIX secolo e che il periodo di freddo umido prima e l’infestazione oidica del 1851 poi, abbiano portato ad una sua estinzione; così la pianta (già vecchia) trovata verso la fine del XIX secolo sarebbe stata l’unica superstite di quella popolazione per cause ancora tutte da chiarire.

Fattori naturali

Risalendo il fiume Volturno, appena a nord di Capua, la piatta morfologia della Conca Campana è interrotta da una serie di rilievi che possono essere raggruppati in due gruppi montuosi, culminanti a nord nel Monte Maggiore (m 1037 s.l.m.) ed a sud nel Monte Tifata (m 602 s.l.m.).

Questi, separati tra loro dal corso del fiume Volturno, si elevano dalla piana casertana con un contrasto morfologico

che è reso ancor più evidente dall’assenza quasi totale di coltre detritica pedemontana.

I rilievi settentrionali, di grossolana forma quadrangolare, presentano una tettonica plioquaternaria, caratterizzata da faglie dirette con prevalente orientamento appenninico ed è l’elemento morfogenetico più importante dell’area.

Il territorio in studio è compreso proprio tra il massiccio del Monte Maggiore e i Monti tifatini.

I suoli agricoli pianeggianti dei comuni di Pontelatone e di Castel di Sasso (comuni confinanti), sono chiusi ad ovest da una monoclinale costituita dal Monte Pozzillo (m 535 s.l.m.) e dal Monte grande (m 367 s.l.m.) che dal M. Maggiore in direzione appenninica raggiunge il M. Tifata, separata da quest’ultimo solo dal corso del fiume Volturno.

A nord-est i suoli in oggetto sono chiusi da un’altra dorsale, costituita principalmente dal Monte Maiulo (m 430 s.l.m.), dal M. Fallano (m 318 s.l.m.) e dal M. Friento (m 730 s.l.m.) (foglio n° 172 della carta d’Italia. I.G.M.)

A nord-est dei Monti tifatini, in corrispondenza della zona collinare del comune di Castel di Sasso, la morfologia si fa più dolce: trattasi di tipi litologici poco coerenti che subiscono intensamente l’azione erosiva delle acque superficiali (Celico et al., 1977). Sia nel comune di Castel di Sasso che in quello di Pontelatone, i suoli agricoli presenti possono essere distinti in tre tipi principali: suoli detritici alluvionali;

suoli di natura piroclastica; suoli arenaceo-argillosi. Nei primi, a ridosso del Fiume Volturno, si ha una disordinata alternanza di terreni ad eterogenea granulometria, costituiti da sabbie, limi, lenti di ghiaie poligeniche e da minuto detrito calcareo in vicinanza dei rilievi.

Presentano permeabilità per porosità, globalmente bassa, ma puntualmente variabile in funzione della granulometria (Celico et al., 1977).

I suoli piroclastici, occupano la parte valliva e pianeggiante dei rispettivi comuni di Pontelatone e di Castel di Sasso, dai terreni alluvionali a ridosso del fiume Volturno si spingono fino alla parte collinare, occupando così un’area abbastanza estesa.

In profondità presentano Ignimbrite Trachifonolitica, costituita da un compatto ammasso di pomici, scorie e lapilli, in

prevalente matrice cineritica, in superficie piroclastiti sciolte (Celico et al., 1977).

La parte collinare del comune di Pontelatone che abbraccia il Monte Friento con le comunicanti colline di Castel di Sasso che a partire dalla parte valliva si spingono fino a Piana di Monte Verna e a Caiazzo, presentano suoli di tipo arenaceo-argillosi, costituiti da argille, arenarie arcosico-litiche, ricche di frammenti argillosi, lembi di argille varicolori, frequenti e, talvolta voluminosi, esotici carbonatici. Questi suoli hanno una bassa permeabilità per l’esiguo lume dei

pori; solo nei terreni arenacei sussiste una modesta permeabilità per fratture (Celico et al., 1977).

La temperatura media annua è di 15,6°C, la media annua delle minime è di 10,93°C, mentre la media annua delle massime è di 20,21°C. I mesi più freddi sono gennaio e febbraio con temperature medie delle minime di 4,8°C e di 4,7°C, quello più caldo è agosto con una temperatura media delle massime di 30,17°C. L’escursione termica diurna è massima nel mese di luglio (11,45°C), minima nel mese di dicembre (6,28°C).

La precipitazione media annua è di 970 mm; nei mesi autunno-invernali-primaverili si ha la massima concentrazione delle piogge: da ottobre a marzo ne cadono infatti mediamente ben 736,6 mm sui 970 totali (il 76 %). Il mese più piovoso è novembre con una piovosità media di 148,3 mm, quello meno piovoso è agosto con una media di 15,9 mm di pioggia caduta.

Per quanto riguarda l’umidità relativa la media annua delle minime mensili è del 52,37 %, la media annua delle massime mensili è del 91,48 %, la media annua è del 66,11 %. I mesi più umidi sono novembre e dicembre con le rispettive umidità relative medie del 76,8 % e del 76,3 %, quelli meno umidi sono giugno e agosto con le rispettive umidità relative medie del 67,57 % e del 67,56%.

Si noti che nel periodo coincidente con la fase finale della maturazione dell’uva “Casavecchia” (settembre-ottobre), si ha un notevole livello di umidità relativa: del 74,15 % nel mese di settembre; del 73 % nel mese di ottobre.

Fattori umani

Le diverse etnie e popoli che in esso si sono succedute, hanno avuto sicuramente i loro effetti sul tipo di viticoltura esistente.

L’intera area ha conservato una base ampelografica molto interessante, come è interessante notare che l’Aglianico pur essendo il vanto della odierna viticoltura campana, sia poco diffuso.

Probabilmente nella zona considerata ci sono sempre stati antichi vitigni autoctoni della Campania come il Casavecchia o anche il Piedirosso, che hanno costituito sin dall’antichità la vera base ampelografica locale, alla quale la gente del posto è stata sempre molto legata.

Anche nell’ottica di una modernizzazione e razionalizzazione della viticoltura esistente, non si deve assolutamente compiere l’errore di stravolgere il quadro ampelografico della zona, perché frutto di scelte e di esperienze ultrasecolari.

 

B) Informazioni sulla qualità o sulle caratteristiche del prodotto essenzialmente o esclusivamente attribuibili all'ambiente geografico.

I vini di cui al presente disciplinare di produzione presentano, dal punto di vista analitico ed organolettico, caratteristiche molto evidenti e peculiari, descritte all’articolo 6, che ne permettono una chiara individuazione e tipicizzazione legata all’ambiente geografico.

In particolare tutti i vini presentano caratteristiche chimico-fisiche equilibrate in tutte le tipologie, mentre al sapore e all’odore si riscontrano aromi prevalenti tipici dei vitigni prevalentemente autoctoni.

 

C) Descrizione dell'interazione causale fra gli elementi di cui alla lettera A) e quelli di cui alla lettera B).

L’orografia del territorio di produzione e l’esposizione prevalente dei vigneti, localizzati in zone particolarmente vocate alla coltivazione della vite, concorrono a determinare un ambiente adeguatamente ventilato, luminoso, favorevole all’espletamento di tutte le funzioni vegeto produttive della pianta.

Nella scelta delle aree di produzione vengono privilegiati i terreni con buona esposizione adatti ad una viticoltura di qualità.

 

Articolo 10

Riferimenti alla struttura di controllo

 

Is.Me.Cert. Istituto Mediterraneo di Certificazione Agroalimentare

Corso Meridionale 6

80143 Napoli

Organismo di controllo di cui all’art. 3, comma 1, lett. B) e C) del DM 19 marzo 2010.

L’IsMeCert è l’Organismo di controllo autorizzato dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 61/2010 (Allegato 1) che effettua la verifica annuale del rispetto delle disposizioni del presente disciplinare, conformemente all’articolo 25, par. 1, 1° capoverso, lettera a) e c), ed all’articolo 26 del Reg. CE n. 607/2009, per i prodotti beneficianti della DOP, mediante una metodologia dei controlli

sistematica nell’arco dell’intera filiera produttiva (viticoltura, elaborazione, confezionamento), conformemente al citato articolo 25, par. 1, 2° capoverso, lettera c).

In particolare, tale verifica è espletata nel rispetto di un predeterminato piano dei controlli, approvato dal Ministero, conforme al modello approvato con il DM 2 novembre 2010, pubblicato in GU n. 271 del 19-11-2010 (Allegato 2).

 

N.B. fa fede solo il testo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

VIGNETI MONDRAGONE

VIGNETI MONDRAGONE

FALERNO DEL MASSICO

D.O.C.
Decreto 10 marzo 2011

(fonte GURI)

Modifica Decreto 30 novembre 2011

(fonte Mipaaf)

 

Articolo 1

Denominazione e vini

 

La Denominazione di Origine Controllata "Falerno del  Massico"  è riservata ai vini che  rispondono  alle  condizioni  e  ai  requisiti stabiliti dal presente disciplinare di  produzione  per  le  seguenti tipologie:

 

Bianco;

Rosso;

Rosso riserva;

Primitivo;

Primitivo riserva o vecchio.

 

Articolo 2

Base ampelografica

 

1. La Denominazione di  Origine  Controllata  "Falerno  del  Massico" bianco  è  riservata  ai  vini  provenienti  da  vigneti   composti, nell'ambito  aziendale,  dal  vitigno 

Falangina  per  almeno  l'85%.

Possono concorrere alla produzione di detto vino uve di altri vitigni idonei alla coltivazione per la regione Campania fino ad  un  massimo del 15% del totale.

 

2. La Denominazione di  Origine  Controllata  "Falerno  del  Massico" rosso è riservata ai vini provenienti da vigneti aventi, nell'ambito

aziendale, la seguente composizione ampelografica:

Aglianico: minimo 60%; 

Piedirosso: massimo 40%.

Possono concorrere alla produzione di detto vino uve di altri vitigni idonei alla coltivazione per la regione Campania fino ad  un  massimo del 15% del totale.

 

3. La Denominazione di  Origine  Controllata  "Falerno  del  Massico" Primitivo è riservata  ai  vini  provenienti  da  vigneti  composti, nell'ambito  aziendale,  dal  vitigno:

Primitivo  per  almeno  l'85%.

Possono concorrere alla produzione di detto vino le uve  del  vitigno Aglianico, Piedirosso e Barbera, da soli o  congiuntamente,  presenti nei vigneti fino ad un massimo del 15% del totale.

 

Articolo 3

Zona di produzione

 

1.Le uve destinate alla  produzione  dei  vini  a  Denominazione  di Origine Controllata "Falerno del Massico" devono provenire dalla zona di produzione che comprende il territorio amministrativo  dei  Comuni di: 

Sessa  Aurunca,  Cellole,  Mondragone,  Falciano  del  Massico  e Carinola

in Provincia di Caserta.

 

Tale zona è così delimitata:

Lato est-sudest:

da Ciamprisco in comune di Carinola si segue  il  corso  del  vecchio Savone verso sud sino alla provinciale che da  Cappella  Reale  va  a Falciano   del   Massico.  

Si   segue   questa   provinciale   verso nord-nordovest sino a raggiungere il corso del nuovo  Savone. 

Se  ne segue l'alveo sino alla ferrovia Roma-Napoli.

Si segue questa verso sud fino alla stazione di  Falciano-Mondragone.

Si segue la strada che  congiunge detta stazione con Mondragone sino all'incrocio  di  questa strada provinciale con il corso del nuovo Savone.

Procede in direzione  sud-ovest  lungo  la  strada  di  bonifica  che affianca la scarpata sinistra del torrente Savone  sino  all'incrocio della strada vicinale Savonesi; vi si immette e la segue in direzione sud, costeggiando  il  lato  est  della  masseria  Savonesi  sino  a raggiungere la scarpata destra del canale Cristallina; segue il corso dello stesso in direzione sud-ovest.

Passa lungo il fosso Recinto  in direzione sud-est, raggiunge l'idrovora Mezzasette, indi la  scarpata destra del canale Agnena e la segue  in  direzione  ovest,  sud-ovest attraversando la strada statale n. 7 quater Domiziana al  km.  23,000 fino a raggiungere la strada consortile Foce Morta a m. 260 circa dal mare.

Lato ovest:

percorre la detta strada consortile Foce  Morta  in  direzione  nord, nord-ovest per tutta  la  sua  lunghezza  e  prosegue,  nella  stessa direzione, seguendo la congiungente che porta sulla strada consortile Stercolelle,  segue  quest'ultima  e  s'immette  sulla   strada   che costeggia la scarpata sinistra del torrente Savone a m. 200 circa dal

mare; infine risale su questa  in  direzione  est,  nord-est  sino  a raggiungere la strada statale n. 7 quater Domiziana al km. 19,750.

Si segue poi la statale Domiziana verso  nord  fino  al  km.  13,300, quindi il viottolo che dalla Domiziana si stacca per  raggiungere  la masseria Santoracco; si procede verso nord e si scavalca il  rio  San Limato e si raggiunge il canale d'Auria.

Da qui lungo il viottolo che porta alla masseria La Calce si  raggiunge  il  canale  circondariale delle Acque Medie  che  segue  fino  alla  strada  degli  Schiavi  in localià' La Tabaccola;  segue  con  direzione  nord,  nord-ovest  il canale circondariale fino a raggiungere il canale  Trenta  Palmi  che segue verso nord, fino alla Domiziana al km 1,400.

Segue la Domiziana fino all'innesto con la via Appia.

Lato nord:

dalla via Appia fino al canale delle Acque Basse al km.  160,800.  

Da qui fino al collettore di Maiano e fino  alla  strada  di  Maiano  di Sotto ed all'incrocio con il canale di Minturno.

Gira a nord  per  la quota 19 in modo da includere le zone di  Cardici  e  della  masseria Prete, quindi  gira  verso  sud  per  ricongiungersi  con  la  strada nazionale n. 430 per Cassino.

Segue  quindi  questa  strada  fino  al confine nord-ovest del comune di Sessa Aurunca.

 

Articolo 4

Norme per la viticoltura

 

1. Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti  destinata  alla produzione dei vini a Denominazione di Origine  Controllata  "Falerno del Massico" devono essere quelle atte a conferire  alle  uve  ed  ai vini le specifiche caratteristiche di qualità.

2. Sono pertanto da considerarsi idonei ai fini dell'iscrizione  alla Denominazione di Origine Controllata "Falerno del Massico" i  vigneti siti in terreni di buona esposizione, asciutti e permeabili.

3. I sesti di impianto, le forme di  allevamento  (ad  esclusione  di forme di allevamento espanse) ed i sistemi di potatura devono  essere quelli generalmente  usati  e  comunque  atti  a  non  modificare  le caratteristiche delle uve e dei vini.

4. I nuovi impianti e reimpianti devono prevedere un numero di 

ceppi per ettaro non inferiore a 3.500

e la forma di allevamento a filare.

5. E' vietata ogni pratica di forzatura.

E' consentita  l'irrigazione di soccorso anche a mezzo di specifici impianti fissi.

 

6. La resa massima di uva ad ettaro in  coltura  specializzata  non  deve essere  superiore  a

10,00 t/ha. 

A  detto  limite,  anche   in   annate eccezionalmente favorevoli, la  produzione  dovrà  essere  riportata purché la produzione globale del  vigneto  non  superi  del  20%  il limite medesimo.

7. La resa massima dell'uva in vino non deve essere superiore al  70% per tutti i vini.

Qualora la resa uva/vino superi  i  limiti  di  cui sopra, ma non il 80%, l'eccedenza non ha diritto  alla  Denominazione

d'Origine. 

Oltre  detto  limite  invece  decade  il   diritto   alla Denominazione d'Origine Controllata per tutta la partita.

 

8. Le uve destinate alla vinificazione devono assicurare  al  vino  a Denominazione di Origine Controllata "Falerno del Massico" bianco:  

Un titolo alcolometrico volumico minimo  naturale  di  11,50% vol.;

al  vino  a Denominazione di Origine Controllata "Falerno del Massico"  rosso 

un titolo alcolometrico volumico minimo  naturale  di  12,00% vol.;

al  vino  a Denominazione di Origine Controllata "Falerno del Massico"  Primitivo

un titolo alcolometrico volumico minimo naturale di 12,50% vol.

9.  La  Regione  Campania,  con  proprio  provvedimento,  sentite  le Organizzazioni di  Categoria  interessate,  di  anno  in  anno,  può stabilire di ridurre i quantitativi di uva per  ettaro  rivendicabile rispetto a quelli sopra fissati, dandone immediata  comunicazione  al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali.

 

Articolo 5

Norme per la vinificazione

 

1. Le operazioni di vinificazione, di invecchiamento  obbligatorio  e di  imbottigliamento  devono  essere   effettuate   nell'ambito   dei territori amministrativi dei Comuni anche parzialmente inclusi  nella zona di produzione delle uve delimitate nel precedente articolo 3.

2. Nella vinificazione sono ammesse soltanto le  pratiche  enologiche leali e costanti  della  zona  atte  a  conferire  ai  vini  le  loro peculiari caratteristiche di qualità.

3. I  vini  a  Denominazione  di  Origine  Controllata  "Falerno  del Massico"   Rosso   e   "Falerno   del   Massico"   Primitivo    prima dell'immissione al consumo, debbono essere sottoposti ad  un  periodo minimo di invecchiamento di  un  anno 

a  decorrere  dal  1°  gennaio successivo all'annata di produzione delle uve.

 

Articolo 6

Caratteristiche al consumo

 

I  vini  a  Denominazione  di  Origine  Controllata  "Falerno  del Massico" all'atto dell'immissione al consumo devono  rispondere  alle seguenti caratteristiche:

 

"Falerno del Massico " bianco:

colore: bianco paglierino con riflessi verdognoli;

profumo: vinoso, gradevole;

sapore: asciutto, sapido;

titolo  alcolometrico  volumico  minimo  complessivo:  12,00%   vol.;

acidità totale minima: 5,00 g/l;

estratto secco netto minimo: 15,00 g/l.

 

"Falerno del Massico " rosso e Rosso:

colore: rosso rubino intenso, tendente al granata per invecchiamento;

profumo: profumo caratteristico ed intenso;

sapore: asciutto o abboccato, caldo, robusto ed armonico;

titolo  alcolometrico  volumico  minimo  complessivo:  12,50%   vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto secco netto minimo: 20,00 g/l.

 

"Falerno del Massico " rosso riserva:

colore: rosso rubino intenso, tendente al granata per invecchiamento;

profumo: profumo caratteristico ed intenso; 

sapore: asciutto, caldo, robusto ed armonico;

titolo  alcolometrico  volumico  minimo  complessivo:  12,50%   vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto secco netto minimo: 20,00 g/l.

 

 

"Falerno del Massico " Primitivo:

colore: rosso rubino intenso, tendente al granata per invecchiamento;

profumo: profumo caratteristico, intenso e persistente;

sapore: asciutto o abboccato, caldo, robusto ed armonico;

titolo  alcolometrico  volumico  minimo  complessivo:  13,00%   vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto secco netto minimo: 23,00 g/l.

 

"Falerno del Massico " Primitivo riserva:

colore: rosso rubino intenso, tendente al granata per invecchiamento;

profumo: profumo caratteristico, intenso e persistente; 

sapore: asciutto, caldo, robusto ed armonico;

titolo  alcolometrico  volumico  minimo  complessivo:  13,00%   vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto secco netto minimo: 23,00 g/l.

 

 

2. E' facoltà del Ministero delle politiche  agricole  alimentari  e forestali modificare, con proprio Decreto, per i vini di cui sopra, i limiti minimi per l'acidità totale e l'estratto non riduttore.

 

Articolo 7

Etichettatura e presentazione

 

1.Il vino  a  Denominazione  di  Origine  Controllata  "Falerno  del Massico" rosso se sottoposto ad un invecchiamento  non  inferiore  a

due anni,

di cui uno in botti di legno,

può fregiarsi della menzione "riserva".

2. Il vino  a  Denominazione  di  Origine  Controllata  "Falerno  del Massico" Primitivo se sottoposto ad un invecchiamento  non  inferiore a

due anni

di cui uno  in  botti  di  legno, 

può  fregiarsi  delle menzioni "riserva" o "vecchio".

3. Alla Denominazione di cui all'articolo 1 è vietata l'aggiunta  di qualsiasi qualificazione diversa  da  quella  prevista  nel  presente disciplinare  di  produzione  ivi  compresi  gli  aggettivi  "extra", "fine", "scelto", "selezionato" e similari.

4. E' consentito l'uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi o ragioni sociali, marchi privati.

5. E' consentito l'uso della menzione "vigna" secondo le disposizioni di legge in materia a condizione  che  i  relativi  toponimi  o  nomi tradizionali  figurino  nell'apposito  elenco  regionale   ai   sensi dell'art. 6 comma 8, del decreto legislativo n. 61/2010.

6. E' consentito l'uso di  indicazioni  che  facciano  riferimento  a nomi,  ragioni  sociali,  marchi  privati  non   aventi   significato laudativo e non idonei a trarre in inganno l'acquirente.

7.  Sulle  bottiglie  o  altri  recipienti  contenenti  il   vino   a Denominazione di  Origine  Controllata  "Falerno  del  Massico"  deve figurare l'indicazione dell'annata di produzione delle uve.

 

Articolo 8

confezionamento

 

1. I  vini  a  Denominazione  di  Origine  Controllata  "Falerno  del Massico"  devono  essere  immessi   al   consumo   unicamente   nelle tradizionali bottiglie di vetro, fino ad  una  capacità  massima  di litri 12.

E' vietato l'utilizzo del tappo a corona.

 

Articolo 9

Legame con l’ambiente geografico

 

A) Informazioni sulla zona geografica.

Fattori naturali

Il territorio di produzione della dop Falerno del Massico, ubicato nella zona nord occidentale della provincia di Caserta già noto come Ager Falernus , si identifica oggi nella zona comprendente i comuni di Sessa Aurunca, Cellole, Mondragone, Falciano del Massico e Carinola.

Avente coordinate geografiche 41,06-41,14 nord e 1,26-1,31 est è ben nettamente delimitato dal fiume Garigliano a N - NW, dal monte S. Croce ( Roccamonfina) a N-NE, dal confine dei comuni di Carinola e Mondragone ad est e sud, dal mar Tirreno ad ovest, copre un a superficie territoriale di Ha. 35.522.

La rete viaria è fittissima e ottimamente articolata. Infatti, la zona interessata è attraversata da tre importanti strade nazionali: La Via Appia che attraversa il territorio da Nord-Ovest a Sud-Est; la Domiziana che corre lungo il Mar Tirreno; La Statale 430 del Garigliano che a ridosso del fiume ha direzione Nord-Nord Est.

I numerosi i corsi d’acqua, oggi sono tutti sistemati ed inalveati.

Orograficamente la zona prende origine dal massiccio vulcanico di Roccamonfina a Nord- Nordovest, mentre la struttura calcarea del Monte Massico con direzione Sud ovest-nord est taglia quasi nettamente in due il territorio, per cui la pianura e la collina di Sessa Aurunca risultano racchiuse,come in una conchiglia,da questa dorsale e dal Monte S. Croce (Roccamonfina).

La parte di Carinola, Falciano del Massico e Mondragone è protetta dai venti freddi di tramontana e maestrale dalla stessa catena montuosa. Dal punto di vista geologico il territorio è caratterizzato da stratificazioni risalenti al Trias superiore, che rappresenta il livello più antico ( Monte Massico) sino ad arrivare alla epoca più recente , il quaternario alluvionale.

Come già accennato, le rocce più antiche sono quelle del Monte Massico. Questa struttura appartiene prevalentemente al Trias superiore ed al Giurassico ed è allungata da Sud-Ovest a Nord-Est con direzione anti appenninica. I piani più antichi sono all’estremità di Nord-est mentre i più recenti sono all’estremità opposta di Sud-Ovest.

E’ una struttura calcareo-dolomitica facente parte della “Piattaforma carbonatica appenninica.

La zona più antica si ritiene che si sia formata 225 milioni di anni fa, mentre la più recente ,cioè i calcari marmosi e le marne del Miocene avrebbero appena (!) 25 milioni di anni.

In tutta questa struttura è possibile rinvenire fossili di varie specie.

L’apparato vulcanico di Roccamonfina presenta ovviamente caratteristiche tutte diverse. Come abbiamo già detto all’inizio, esso rappresenta il vero apparato generatore della zona.

Questo Vulcano, ormai spento, con i suoi 450 Kmq è per dimensione il quarto Vulcano italiano mentre per altitudine è il quinto dopo l’Etna, il Vulture, il Vesuvio ed il monte Amiata.

Esso non presenta rapporti diretti nè con la zona vulcanica Laziale nè con quella dei Campi Flegrei e del Vesuvio. L’unico elemento che ne stabilisce un collegamento, anche se solo in superficie, è la coltre di “Tufo grigio Campano” (ignimbrite campana) la cui continuità è interrotta dalla sola valle del Basso Volturno ed i suoi caratteri petrografici rimangono costanti in tutta la Campania.

L’inizio dell’attività vulcanica si puo’ far risalire al quaternario antico (neozoico) a circa 1.070.000 – 1.260.000 anni fa.

Dell’attività del Vulcano, si distinguono le lave della 1^ fase e le lave della 2^ fase. Nella prima fase di attività, oltre che al condotto eruttivo centrale, vi furono anche bocche eruttive eccentriche come il Monte Ofelio, nelle vicinanze di Sessa Aurunca ed il Monte Sferracavallo, nonché crateri di esplosione come il lago di Carinola e la fossa dell’Annunziata, sita tra Carinola ed il lago di Carinola. Appartengono a questa prima fase, più remota, le seguenti rocce:

Tefrite Leucitica (colorata in rosso);

Colate piroclastiche messe a posto per scorrimento (colore viola)

Complessi piroclastici affioranti nelle zone periferiche del Vulcano non sempre isocroni tra loro e diversi anche mitologicamente (colore marrone).

Appartiene invece alla seconda fase:

L’ignimbrite Trachio –fonolitica (colore arancione).

Dopo un lungo periodo di quiete ,l’edificio vulcanico è nuovamente interessato da fenomeni effusivi che determinano la messa a posto di una ignimbrite trachio-fonolitica più comunemente nota con il nome di “Tufo grigio campano” autoctono.

Nonostante l’uniformità delle caratteristiche litologiche, la giacitura nonché la tessitura di queste ignimbriti dimostrano che la loro origine non è dovuta ad una unica emissione e ad un unico apparato vulcanico bensì all’attività più o meno contemporanea di numerosi centri.

In altre parole, solo una piccola parte dei depositi che si estendono sulla pianura campana proviene dal Roccamonfina e comunque, sempre e molto tempo dopo ed indipendentemente dalla 1°  fase sopradescritta.

Si hanno infine : terreni del QUATERNARIO RECENTE così composti:

Terreni umiferi scuri e di colmata. Terreni limosi ed argillo - limosi grigi e verdognoli con sottostanti lapilli pomicei ed intercalazione di torba in lenti allungate, ciottolini .

Argille sabbiose, limi, sabbie scure con lapilli pomici di lavate nonché lenti ciottolose

Terreni umiferi,sabbie grigie e giallastre,ciottoli fluviali e detriti calcarei misti a lapilli e pomici chiare nella zona circumvulcanica;

Sabbie eoliche rossastre (duna rossa natica, autoctona) con orizzonti lievemente cementati e prevalentemente quarzosi

La parte acclive delle colline litoranee e del Monte Massico, non presentano pendenze superiori al 20-25% e vengono regolarmente coltivate a vigneti ed oliveti.

Mentre tutta l’area pedo collinare e di pianura è caratterizzata da orografie morbide e perfettamente assolate.

Tracciato il profilo geologico della zona,vediamone ora quello pedologico diviso nei due versanti del Monte Massico: il versante Sud-Ovest, dove ricadono i Comuni di Sessa Aurunca e Cellole, dal versante Sud-Est, dove ricadono i Comuni di Falciano del Massico, Carinola e Mondragone.

Versante Sud-Ovest (Sessa Aurunca – Cellole) :

Terreni vulcanici autoctoni sulle alture di Roccamonfina: profondi, silicio-sciolti, a reazione subacida, con larga disponibilità di potassio e piuttosto scarsi di fosforo assimilabile. Poco Humus.

Le condizioni pedologiche sono ottimali alla coltivazione della vite pur essendo la zona soggetta ad aridità primaverile-estiva.

Terreni vulcanici autoctoni della zona pedocollinare e della pianura (dove per altro, l’orografia è spesso caratterizzata da piccoli rilievi): le stesse caratteristiche dei terreni sopradescritti salvo che sono più profondi, più attivamente capillari e più ricchi di humus.

Adatti a tutte le coltivazioni.

Terreni vulcano - alluvionali provenienti dall’erosione collinare e della fascia pedocollinare: costituiti da prodotti eruttivi rimaneggiati dalle acque.

Terreni sciolti, silicei con scarsa argilla,soffici, permeabili, non costipabili, capillarità buona. Scarso tenore calcareo ma notevole calcio scambiabile. Reazione neutra.

Ricchi di potassio e di fosfati lentamente assimilabili. Struttura ottima, adatti a tutte le colture.

Terreni autoctoni calcareo-argillosi pedocollinari: provenienti dalla degradazione della roccia madre, scarsamente profondi, ricchi di scheletro di differente granulometria a reazione sub-alcalina, presenti, in particolare, lungo la fascia pedocollinare, in prossimità dell’area costiera ad una altimetria oscillante tra i 100 e i 250 m. s.l.m.

Terreni alluvionali calcarei della sedimentazione del Garigliano: contenuto in calcare notevole, ma in proporzioni diverse in rapporto alla diversa quantità di materiale vulcanico rimescolatovi.

Di medio impasto , argillo-limo-sabbiosi variamente composti in relazione alla diversa distanza dal fiume.

Reazione lievemente alcalina.

Terreni quaternari sabbiosi: costituiscono la fascia litoranea su cui corre la Domiziana. Sono di tipo sabbioso –limoso. A volte abbastanza ricchi di potassio, fosforo assimilabile e humus. Risentono della siccità.

Terreni quaternari sabbiosi-argillosi: variabili dai sabbioso-sciolti all’argillo-sabbiosi pesanti.

Prevale il medio impasto. Privi di calcare. Reazione sub-acida.

Versante Sud-Est (Carinola, Falciano del Massico, Mondragone) :

in questo versante si può vedere innanzitutto che la parte pedocollinare e la parte collinare riguarda la struttura calcarea del Monte Massico e, che tutta la fascia mediana, è stata originata dall’attività vulcanica del Roccamonfina, mentre la parte più a Sud è di origine alluvionale.

Struttura del Monte Massico. Caratteristiche simili a quelle del versante di Sessa Aurunca.

Massiccio calcareo-dolomitico già ampiamente descritto, con terreni di una certa profondità nelle convalli, sulle pendici a dolce declivio e nei coni di deiezione ove però è più facile rinvenire materiale grossolano.

Circa i terreni della fascia centrale riferibili all’attività del vulcano di Roccamonfina (non dimentichiamo tra l’altro che qui sono ubicati i due crateri di esplosione del Lago di Falciano e della fossa dell’Annunziata) possiamo ripetere quanto già detto a proposito dell’analoga zona del versante Sessano, e cioè che si tratta di terreni vulcanici autoctoni,profondi, capillari, ricchi di humus, adatti a tutte le coltivazioni.

Terreni alluvionali dei diversi corsi d’acqua con buon contenuto calcareo ma in diverse proporzioni in rapporto alla diversa quantità di materiale vulcanico rimescolatovi.

Terreni di medio impasto, argillo-limo-sabbiosi con reazione leggermente alcalina.

Terreni di colmata del Volturno, limosi ed argillo-limosi grigi e verdognoli con sottostanti lapilli pomicei e intercanalazione di torba in lenti allungate.

Sabbie fini grigie e giallastre delle dune litoranee e grigio scure delle dune di accrescimento del fiume Volturno.

La delimitazione della zona ha tenuto conto di tutti gli elementi geologici e pedologici sopra elencati nonché dell’altimetria.

Da quanto precedentemente detto, possiamo riassumere le caratteristiche dei terreni dell’area di produzione del Falerno come segue:

Reazione: Sul versante Sud-Ovest prevalgono i terreni a reazione neutra e sub-alcalina con una punta di pH 8,1. Sul versante Sud-Est si tende a terreni neutri o leggermente sub-acidi con una punta di pH minimo di 6,0.

Calcare totale: Sul versante Sud-Ovest si ha in genere un’assenza o debole presenza di calcare in particolare nei terreni prossimi alle pendici del vulcano di Roccamonfina.

Mentre sulla zona pedocollinare del Monte Massico, prossima al litorale, la presenza di calcare è più marcata con

punte di pH di 7,5-8. Si nota anche una debole presenza di calcare nei terreni sabbioso-limoso argillosi originati dalle colmate del fiume.

Sul versante Sud-Est si ha in genere assenza o tracce di calcare tranne che sulle colline prossime alle pendici del vulcano.

Humus: generalmente scarso, tranne le punte di 9,2% in località Parco Nuovo e Parco Del Giogo sul versante Sud-Ovest.

Anidride fosforica assimilabile: poca o scarsa sul versante Sud-Ovest. Più dotata invece la zona Sud-Est dove si registrano punte di 200-210 Kg. per ettaro, quindi una più che buona dotazione.

Ossido di potassio scambiabile: i terreni ne sono tutti ben forniti.

Per quanto riguarda la natura dei terreni, si può osservare che sono pochi i terreni con alto contenuto di argilla e calcare, mentre la maggior parte son di natura silicea e franco-sabbiosi.

Va precisato che i risultati delle analisi sono relativi ai terreni compresi nel perimetro di delimitazione, in quanto si è ritenuto superfluo riportare analisi dei terreni che proprio per loro natura, composizione, ubicazione ed altimetria sono stati esclusi.

Clima

Anche in questo capitolo distingueremo il versante Sud-Ovest da quello Sud-Est.

Versante Sud-Ovest

Temperature:

Questo versante gode di un clima di notevole dolcezza con estati non eccessivamente calde ed inverni miti.

Molto rari i casi in cui il termometro scende sotto lo zero.

Di numero molto elevato i giorni di sole. Rarissima la neve come le gelate primaverili.

Prolungata anche l’estate tanto che solo alla fine di Ottobre il termometro segna una media diurna minima di + 16.2°.

Precipitazioni:

Buona la piovosità che di solito nell’arco dell’anno supera, anche se di poco i 1000 mm. Purtroppo, la distribuzione delle piogge, come d’altronde in tutto il meridione, vede addensare nell’autunno inverno il 70% delle precipitazioni.

Venti: Per la sua ubicazione litoranea di ponente è proprio il vento di questo quadrante che vi predomina senza però aver mai provocato o provocare danni per intensità.

Piuttosto dannosi invece i venti di tramontana e maestrale che per intensità e temperatura possono a volte, sul finire

dell’Inverno e in Primavera, compromettere la fioritura.

Versante di Sud-Est

Temperatura:

Protetta dal Monte Massico e dal Roccamonfina che sbarrano i venti freddi di tramontana e di maestrale, questa zona gode di temperature ancora più miti dell’altro versante sicché il suo clima è molto temperato, sia in assoluto che nella sua uniformità nel corso dell’anno, soprattutto sulla fascia costiera di Mondragone

Precipitazioni:

Buona la piovosità che di solito nell’arco dell’anno supera, anche su questo versante, di poco i 1000 mm.

Purtroppo, la distribuzione delle piogge, come d’altronde in tutto il meridione, vede addensare nell’autunno inverno il 70% delle precipitazioni.

Venti:

Predominano ponente e scirocco mentre la tramontana ed il maestrale, freddi, trovano un grosso ostacolo nel sistema montuoso che racchiude a Nord questo versante. Anche qui, come sul versante Sud-Ovest, la presenza costante di brezza impedisce il formarsi della nebbia.

Fattori umani

La coltivazione della vite si perde nella notte dei tempi. Fin dall’epoca di Orazio e di Virgilio (e certamente ancora prima) quest’ area di produzione vitivinicola era già famosa come “Ager Falernus”.

Ma venendo ai giorni nostri analizziamo qualche notizia partendo dal catasto Agrario del 1929. La forma di allevamento prevalente nel vigneto specializzato, dell’area in questione, era la controspalliera con potatura a cordone speronato.

La resa in vino si aggirava tra il 68-70% con delle produzioni finali oscillanti tra 140.000 a 150.000 Hl. di vino.

Negli anni successivi tali produzioni si sono modificate sempre più a favore della qualità, aumentando significativamente il numero di viti per ettaro con una rilevante riduzione degli Hl prodotti.

Si è giunti, infatti, ad impianti con una densità oscillante tra le 6000-8000 piante/Ha ed una resa produttiva tra gli 80-100 ql/Ha.

Relativamente alle forme di allevamento l’obiettivo della qualità, ha indotto i produttori a realizzare impianti ad alta densità e meccanizzabili.

La forma di allevamento è la spalliera bassa, con potature a Guyot e cordone speronato. Il sesto d’impianto più frequentemente utilizzato per i nuovi impianti è di m. 2.40 x m. 0.80.

Le varietà coltivate sono: Primitivo, Piedirosso e Aglianico, per le uve a bacca rossa; Falanghina per le uve a bacca bianca; salvo altre varietà minori tipiche dell’area.

Fattori storici

Di fondamentale rilievo sono i fattori storici – antropologici legati al territorio di produzione, che per consolidata tradizione hanno contribuito ad ottenere il vino Falerno del Massico.

La viticoltura nell’area di produzione del Falerno del Massico ha origini antichissime che risalgono ai colonizzatori greco – micenei i quali diedero primo impulso alla millenaria coltivazione della vite nell’antico Ager Falernus, poi ripresa dagli etruschi ed infine ulteriormente sviluppata in epoca romana.

Infatti, già nel secondo secolo avanti Cristo gli antichi romani, nuovi colonizzatori dell’ area geografica oggi individuata come Campania settentrionale, iniziarono un’intensiva coltivazione delle uve nelle zone destinate esclusivamente alla produzione dell’antico Falernum.

Ancora oggi sono visibili nel territorio delimitato dall’ attuale perimetrazione della area a DOC, resti archeologici di antiche “ Villae rustiche” con annesse cantine ed attrezzature in pietra , destinate alla vinificazione e conservazione del Falerno, nonché resti di antichi impianti di vigneti organizzati secondo le tecniche consentite e conosciute nell’epoca.

Tale vino era suddiviso, a seconda dell’altimetria di produzione delle uve, in “ Caucinum”, “ Faustianum “ e “ Falerno “ contraddistinto quindi a livello organolettico dalle tipologie “austerum”,”dulce” e “tenue” e venduto in tutte le provincie dello sterminato impero romano in anfore di terracotta che erano contrassegnate dai “ Pittacium”, l’etichetta dell’epoca, nel quale si specificava il tipo di vino, l’anno di produzione e la zona di provenienza delle uve.

Le navi onerarie deputate al trasporto delle anfore di Falerno, salpavano dai porti di Sinuessa, Gianola e dalla foce del Garigliano. Da Manchester a Marsiglia da Dusseldorf e Colonia al Cartagine nel nord Africa o nei fondali di tutto il Mediterraneo, sono state trovate anfore di Falerno, il vino dei re, il vino più costoso e desiderato dell’impero romano.

Di tale splendore troviamo tracce nei testi storici - letterari già dai tempi di Giulio Cesare, passando per Orazio, Marziale, Cicerone ,Plinio, Virgilio,Petronio,Giovenale e più recentemente del Tasso, di Sante Lancerio e tantissimi altri autori che fino ai giorni nostri hanno magnificato le caratteristiche organolettiche del vino Falerno, riconoscendogli un ruolo assolutamente preminente nell’ ambito della intera viticoltura meridionale.

 

B)Informazioni sulla qualità o sulle caratteristiche del prodotto essenzialmente o esclusivamente attribuibili all'ambiente geografico.

L’orografia collinare del territorio di produzione e l’esposizione prevalente dei vigneti, orientati ad Sud-Est/Sud-Ovest, e localizzati in zone particolarmente vocate alla coltivazione della vite, concorrono a determinare un ambiente adeguatamente ventilato, luminoso, favorevole all’espletamento di tutte le funzioni vegeto-produttive della pianta.

Nella scelta delle aree di produzione vengono privilegiati i terreni con buona esposizione adatti ad una viticoltura di qualità.

La millenaria storia vitivinicola dell’area di produzione del Falerno del Massico, iniziata nei primi secoli a.C. con l’avvento dell’Impero Romano, attestata da numerosi manoscritti e reperti storici, è la fondamentale prova della stretta connessione ed interazione esistente tra i fattori umani, la qualità e le peculiari caratteristiche del vino “Falerno del Massico”.

Ovvero è la testimonianza di come l’intervento dell’uomo nel particolare territorio abbia, nel corso dei secoli, tra mandato le tradizioni tecniche di coltivazione della vite e le competenze enologiche, le quali nell’epoca moderna e contemporanea sono state migliorate ed affinate, grazie all’indiscusso processo scientifico e tecnologico.

 

C) Descrizione dell'interazione causale fra gli elementi di cui alla lettera A) e quelli di cui alla lettera B).

I vini di cui il presente disciplinare di produzione presentano, dal punto di vista analitico ed organolettico, caratteristiche molto evidenti e peculiari, descritte all’articolo 6, che ne da una chiara individuazione e tipizzazione legata all’ambiente pedo - climatico.

In particolare tutti i vini, sia i rossi che il bianco, presentano caratteristiche chimico-fisiche equilibrate in tutte le tipologie, mentre al sapore e all’odore si riscontrano aromi prevalenti tipici dei vitigni.

 

Articolo 10

Riferimenti alla struttura di controllo

 

Is.Me.Cert. Istituto Mediterraneo di Certificazione Agroalimentare

Corso Meridionale 6

80143 Napoli.

Organismo di controllo di cui all’art. 3, comma 1, let. B) e C) del DM 19 marzo 2010.

L’IsMeCert è l’Organismo di controllo autorizzato dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 61/2010 (Allegato1) che effettua la verifica annuale del rispetto delle disposizioni del presente disciplinare, conformemente all’articolo 25, par. 1, 1° capoverso, lettera a) e c), ed all’articolo 26 del Reg. CE n. 607/2009, per i prodotti beneficianti della DOP, mediante una metodologia dei controlli sistematica nell’arco dell’intera filiera produttiva (viticoltura, elaborazione, confezionamento), conformemente al citato articolo 25,

par. 1, 2° capoverso, lettera c).

In particolare, tale verifica è espletata nel rispetto di un predeterminato piano dei controlli, approvato dal Ministero, conforme al modello approvato con il DM 2 novembre 2010, pubblicato in GU n. 271 del 19-11-2010 (Allegato 2).

 

N.B. fa fede solo il testo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

VIGNETI GALLUCCIO

VIGNETI GALLUCCIO

 

GALLUCCIO

D.O.C.

Decreto 4 agosto1997

(fonte GURI)

Modifica Decreto 30 novembre 2011

(fonte Mipaaf)

Modifica Decreto 12 luglio 2013

(fonte GURI)

 

Articolo 1

Denominazione e vini

 

1. La denominazione di origine controllata “Galluccio” è riservata al vino che risponde alle condizioni e ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione per le seguenti tipologie:

 

“Galluccio” bianco

“Galluccio” rosso anche riserva

“Galluccio” rosato

 

Articolo 2

Base ampelografia

 

1. Il vino a denominazione di origine controllata “Galluccio” deve essere ottenuto esclusivamente mediante vinificazione delle uve prodotte nella zona di produzione delimitata nel successivo art. 3 e provenienti da vigneti che, nell’ambito aziendale, abbiano le seguenti composizioni ampelografiche:

 

“Galluccio” bianco:

Falanghina minimo 70%

Possono concorrere alla produzione di detto vino, da soli o congiuntamente, altri vitigni a bacca bianca, non aromatici, idonei e/o in osservazione, ammessi alla coltivazione nella Provincia di Caserta, fino ad un massimo del 30%.

 

“Galluccio” rosso e rosato

Aglianico minimo 70%

Possono concorrere alla produzione di detti vini, da soli o congiuntamente, altri vitigni a bacca rossa, non aromatici, idonei e/o in osservazione, ammessi alla coltivazione nella provincia di Caserta, fino ad un massimo del 30%.

 

I vini ad a DOC “Galluccio” bianchi, rossi e rosati devono essere ottenuti da uve provenienti da vigneti composti, nell'ambito aziendale, da uno o più vitigni inclusi tra quelli idonei alla coltivazione per i rispettivi bacini viticoli e unità amministrative della regione Campania iscritti nel registro nazionale delle varietà di vite per uve da vino approvato con D.M. 7 maggio 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 242 del 14 ottobre 2004, e successivi aggiornamenti,

riportati nell’allegato 1 del presente disciplinare.

 

Articolo 3

Zona di produzione uve

 

1. Le uve destinate alla produzione del vino a DOC “Galluccio”, nei tipi bianco, rosso e rosato, devono essere prodotte nell’intero territorio amministrativo dei comuni di:

Conca della Campania, Galluccio, Mignano Monte Lungo, Rocca d’Evandro, Tora e Piccilli;

tutti in provincia di Caserta.

 

Articolo 4

Norme per la viticoltura

 

1. Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti destinati alla produzione dei vini “Galluccio” devono essere quelle tradizionali della zona e comunque atte a conferire alle uve ed ai vini derivati le loro specifiche caratteristiche di qualità.

2. Sono pertanto da considerarsi idonei unicamente i vigneti di buona esposizione e di altitudine non superiore ai 500 metri s.l.m.; sono esclusi i terreni di fondovalle e quelli umidi.

3. I sesti di impianto, i sistemi di potatura corti, lunghi e misti, le forme di allevamento devono essere quelli tradizionalmente usati nella zona, comunque atti a non modificare le caratteristiche delle uve e dei vini.

4. E’ vietata ogni pratica di forzatura.

5. E’ consentita l’irrigazione di soccorso per non più di due interventi, prima dell’invaiatura.

6. Per i reimpianti e i nuovi impianti la forma di allevamento dovrà essere la spalliera o controspalliera e la densità di impianto non dovrà essere inferiore a 2.000 ceppi/ettaro, con

una produzione massima per ceppo in media non superiore a kg. 6,000.

7. La resa massima di uva per ettaro di vigneto, in coltura specializzata per la produzione del vino “Galluccio” non deve essere superiore a:

 

“Galluccio” bianco: 12,00 t/ha;

“Galluccio” rosso e rosato: 11,00 t/ha.

 

8. Fermi restando i limiti massimi sopra indicati, la resa per ettaro in vigneto in coltura promiscua dovrà essere calcolata in rapporto alla superficie effettivamente coperta dalla vite.

9. Il vino a DOC “Galluccio” rosso ottenuto da uve che assicurino

un titolo alcolometrico volumico naturale minimo di 11,50% vol.,

immesso al consumo con

un titolo alcolometrico volumico totale minimo di 12,00% vol.,

dopo un periodo di invecchiamento non inferiore a

due anni,

di cui uno in botte di legno

a decorrere dal 1° novembre dell’annata di produzione delle uve,

può portare in etichetta la specificazione “riserva”.

10. Nelle annate favorevoli i quantitativi di uve ottenuti e da destinare alla produzione dei vini a DOC “Galluccio” devono essere riportati nei limiti di cui sopra, fermi restando i limiti resa uva/vino per i quantitativi di cui trattasi, purché la produzione globale non superi del 20% i limiti medesimi.

11. Il superamento del limite del 20% comporta la decadenza del diritto alla denominazione di origine controllata per tutto il prodotto.

12. La resa massima dell’uva in vino finito non deve essere superiore al 70%.

Qualora superi questo limite, ma non il 75%, l’eccedenza non ha diritto alla denominazione di origine controllata. Oltre il 75% decade il diritto alla denominazione di origine controllata per tutto il prodotto.

 

Articolo 5

Norme per la vinificazione

 

1. Le operazioni di vinificazione e quelle di invecchiamento obbligatorio devono essere effettuate nell’ambito della zona di produzione delle uve, delimitata nel precedente art. 3.

2. Le uve destinate alla vinificazione devono assicurare al vino a DOC “Galluccio” i seguenti titoli alcolometrici volumici naturali minimi:

 

“Galluccio bianco”: 10,50% vol.;

 “Galluccio rosso”: 11,00% vol.;

“Galluccio rosato”: 10,50% vol.

 

3. Il vino a DOC “Galluccio rosso” non può essere immesso al consumo

prima del 1° giugno dell’anno successivo all’annata di produzione delle uve.

 

Articolo 6

Caratteristiche del vino al consumo

 

1. I vini a DOC. “Galluccio”, all’atto dell’immissione al consumo, devono rispondere alle seguenti caratteristiche:

 

“Galluccio” bianco

colore: giallo paglierino più o meno intenso;

profumo: delicato, fruttato, caratteristico;

sapore: secco, fresco, armonico;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.;

acidità totale minima: 5,00 g/l;0

estratto non riduttore minimo: 15,0 g/l;

 

“Galluccio” rosso:

colore: rosso rubino più o meno intenso, tendente al granata con l’invecchiamento;

profumo: gradevole, delicato, caratteristico;

sapore: asciutto, fresco, armonico;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol.;

acidità totale minima: 5,00 g/l;

estratto non riduttore minimo: 18,00 g/l;

 

“Galluccio” rosso riserva:

colore: rosso rubino più o meno intenso, tendente al granata con l’invecchiamento;

profumo: gradevole, delicato, caratteristico;

sapore: asciutto, fresco, armonico;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol.;

acidità totale minima: 5,00 g/l;

estratto non riduttore minimo: 18,00 g/l;

 

 

“Galluccio” rosato:

colore: rosa più o meno intenso;

profumo: delicato, fruttato, caratteristico;

sapore: secco, fresco, armonico;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.;

acidità totale minima: 5,00 g/l;

estratto non riduttore minimo: 17,00 g/l.

 

2. E’ in facoltà del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, modificare, con proprio decreto, sentito il Consorzio di tutela, i valori minimi riferiti all’acidità totale e all’estratto non riduttore.

 

Articolo 7

Designazione e presentazione

 

1. Nella designazione e presentazione del vino “Galluccio” è vietato l’uso di qualificazioni diverse da quelle previste dal presente disciplinare di produzione, ivi compresi gli aggettivi: extra, fine, scelto, superiore, selezionato e similari.

2. E’ consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi, regioni sociali e marchi privati

non aventi significato laudativo e non idonei a trarre in inganno l’acquirente.

3. Nella designazione dei vini a denominazione di origine controllata “Galluccio” di cui all’art.2 può essere utilizzata la menzione “vigna” a condizione che sia seguita dal relativo toponimo o nome tradizionale, che la vinificazione e la conservazione del vino avvengano in recipienti separati e che tale menzione, seguita dal relativo toponimo o nome tradizionale, venga riportata sia nella denuncia delle uve, sia nei registri e nei documenti di accompagnamento e che figuri nell’apposito elenco regionale ai sensi dell’art. 6 comma 8, del decreto legislativo n. 61/2010.

4. Sulle bottiglie e sui recipienti contenenti i vini a DOC “Galluccio” deve figurare l’indicazione dell’annata di produzione delle uve.

5. Per il confezionamento dei recipienti in capacità superiori a litri 0,250 e fino a litri 2 è consentito solo l’uso del tappo di sughero.

 

Articolo 8

Legame con l’ambiente geografico e profili storici

 

A) Informazione sulla zona geografica

Fattori naturali

L'area interessata dai vini D.O.C. Galluccio rosso rosato e bianco, si estende per l'intero territorio dei comuni di Mignano Montelungo, Rooca D’Evandro, Galluccio,Conca della Campania.

Tale territorio confina ad Ovest con il Garigliano a Nord con il comune di S. Pietro Infine, ad Est con i comuni dí Presenzano e Marzano Appio, a Sud con i comuni di Roccamonfina e Sessa Aurunca.

Le coordinate geografiche sono le seguenti:

Latitudine compresa tra 41° e 20’, e 41° e 24’

Longitudine compresa tra +l° e 27’ e +1° e 32’

Il territorio è prevalentemente collinare con estremi altimetrici che vanno da 80 a1180 m s.l.m.

L'orografia è rappresentata dalle pendici del vulcano spento di Roccamonfina a sud, dal gruppo montagnoso con le cime di Monte Camino (m 946) e la Difesa (mt 956) ubicato al centro del comprensorio ed orientato in direziono nord/sud ed esternamente,sul confine con la provincia di Isernia ,la dorsale comprende la cima di Monte Cesima (m 1180) e di Monte Cavallo (mt966). Il

Garigliano, con direzione nord/sud per un tratto abbastanza lungo, segna il confine ovest del comprensorio mentre il fiume Peccia attraversa la parte più a nord della zona per immettersi, quindi, nello stesso Garigliano in località “Selvotta” di Roccadevandro.

Vi sono altri numerosi corsi d'acqua, non tutti perenni, o nel complesso di modesta portata. Di essi solo due sono tributari del fiume Volturno mentre tutti gli altri sboccano o direttamente nel Garigliano o nel fiume Peccia.

Il territorio dell'intero comprensorio interessato ha una SAU di 5.344 ettari ed è prevalentemente collinare; solo la fascia adiacente il Garigliano ed il fiume Peccia è pianeggiante.

Gran parte del territorio della zona è pedologicamente caratterizzato dalla presenza di depositi lavici, tipici delle

varie fasi dell’attività eruttiva dell'apparato vulcanico di Roccamonfina (Monte S. Croce).

Il restante è rappresentato da terreni di composizione varia: argilloso-calcareo, argilloso-sabbioso ,e medio impasto. Dal punto di vista climatico il comprensorio si presenta omogeneo ed idoneo alla coltivazione della vite. Non si può però escludere la presenza di microclimi particolarmente umidi (fondovalle) che peraltro sono stati esclusi dal disciplinare, essendo particolarmente indicate alla coltivazione della vite le aree che siano ad almeno 120 m.s.l.m. Per quanto riguarda le precipitazioni, nel periodo che va dal l92l al 1950 sono caduti mediamente ogni anno 800/900 mm.

di pioggia distribuiti principalmente nel periodo autunno-inverno. La quantità totale dell'apporto idrico o la sua distribuzione stagionale soddisfa appieno le esigenze della vite.

Il comprensorio presenta nel complesso una temperatura mite con oscillazioni che vanno da – 4° nei mesi di Gennaio - Febbraio a + 37° nel mese di Agosto. I venti nella zona sono abbastanza frequenti e durante la primavera e l'estate contribuiscono a mitigare la temperatura.

Si ha quindi nel comprensorio in esame il seguente quadro climatico: piovosità media, temperature primaverili estive estremamente favorevoli, ventosità di media intensità e frequenza.

Fattori umani

Di fondamentale rilievo sono i fattori umani legati al territorio di produzione, che per consolidata tradizione hanno contribuito ad ottenere il vino in Campania.

La coltivazione della vite in Campania ha origini antichissime. La coltivazione della vite nella zona ha certamente tradizioni antiche.

E’ possibile ritenere, con qualche fondamento, che il Falerno fosse prodotto anche in quest’area, sebbene nessuno studioso ha potuto stabilire con certezza dove fosse esattamente ubicato e quale estensione avesse l’ager falernus.

E’ indubbio però che una parte dell’area è ubicata a ridosso e tra alcune delle principali arterie di comunicazione dell’età romana ed in specie la via Appia e la via Latina, attualmente S.S. Casilina ove insistevano alcuni assai rilevanti

insediamenti agricoli dell’età classica.

Ancora lungo l’attuale Casilina è infatti possibile riscontrare antichi insediamenti agricoli ed in specie le c.d. “ville agricole” dedite alla coltivazione della vite e dell’olivo.

Fattori Storici

Abbiamo la testimonianza di Giannantonio Campano, l’eminente umanista nato nel 1429 a Cavelle, piccolo villaggio di Galluccio.

Allievo di Lorenzo Valle, diviene amico carissimo di Jacopo Ammannati, Cardinale di Pavia, al quale invia in dono dell’uva locale, che così descrive: “

E’ sana,vigorosa,non inferiore al miele imetteo.

Niente di meglio produce la mia Cavelle, il Villaggio paterno reso famoso del mio ingegno. Lì sono nato e quali siano i miei costumi ed il mio talento te lo dirà questa dolce uva che ti mando.” (Lib.VII ode 19; storia di Galluccio e nei comuni limitrofi.

La coltivazione dell’aleatico, nel comune di Galluccio risale al milleseicento,quando una nobile famiglia toscana,i Velluti di Firenze,acquistarono il feudo di Galluccio.

Infatti furono proprio loro ad impiantare i primi vigneti di aleatico in questa zona. Ed è proprio a Galluccio ,che con l’aleatico, il duca Velluti/ Zati produceva il famoso “Vin Santo” che vendeva a Firenze come vino fiorentino,riscuotendo grandi soddisfazioni (rif. “Storia di Galluccio” di Mons. Ernesto Gravante).

Una certa notorietà storica, ben più recente, l’ha avuta lo stesso vino “rosso di Conca”, cui ci si riferisce più volte in testi risalenti e citato ancora, sin dagli anni sessanta, in alcune pubblicazioni da Luigi Veronelli.

 

B) Informazioni sulla qualità o sulle caratteristiche del prodotto essenzialmente o esclusivamente attribuibili all’ambiente geografico

I vini di cui al presente disciplinare di produzione presentano, dal punto di vista analitico ed organolettico, caratteristiche molto evidenti e peculiari, quivi richiamate anche all’articolo 6.

E’ possibile riscontrare nei vini una chiara individuazione e tipicizzazione legata all’ambiente geografico. Le stesse caratteristiche, in ampia parte vulcaniche dei suoli, contribuiscono alla definizione ed alle caratteristiche dei vini della denominazione.

In particolare tutti i vini rossi presentano caratteristiche chimico-fisiche equilibrate in tutte le tipologie, mentre al sapore e all’odore si riscontrano aromi prevalenti tipici dei vitigni di provenienza.

Sia l’Aglianico che la Falanghina offrono prodotti di pregevolissima qualità nel territorio del Galluccio, a dimostrazione della vocazione enologica dell’area, rappresentando al meglio l’eccellenza enologica della regione e dei suoi tradizionali vitigni autoctoni.

 

C) Descrizione dell'interazione causale fra gli elementi di cui alla lettera A) e quelli di cui alla lettera B).

L’orografia del territorio di produzione e l’esposizione prevalente dei vigneti, localizzati in zone particolarmente vocate alla coltivazione della vite, concorrono a determinare un ambiente adeguatamente ventilato, luminoso, favorevole all’espletamento di tutte le funzioni vegeto produttive della pianta.

Nella scelta delle aree di produzione vengono privilegiati i terreni con buona esposizione adatti ad una viticoltura di qualità.

 

Articolo 9

Riferimenti alla struttura di controllo

 

Is.Me.Cert. Istituto Mediterraneo di Certificazione Agroalimentare

Corso Meridionale 6

80143 Napoli .

Organismo di controllo di cui all’art. 3, comma 1, let. B) e C) del DM 19 marzo 2010.

L’IsMeCert è l’Organismo di controllo autorizzato dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 61/2010 (Allegato 2) che effettua la verifica annuale del rispetto delle disposizioni del presente disciplinare, conformemente all’articolo 25, par. 1, 1° capoverso, lettera a) e c), ed all’articolo 26 del Reg. CE n. 607/2009, per i prodotti beneficianti della DOP, mediante una metodologia dei controlli sistematica nell’arco dell’intera filiera produttiva (viticoltura, elaborazione, confezionamento), conformemente al citato articolo 25,

par. 1, 2° capoverso, lettera c).

In particolare, tale verifica è espletata nel rispetto di un predeterminato piano dei controlli, approvato dal Ministero, conforme al modello approvato con il DM 2 novembre 2010, pubblicato in GU n. 271 del 19-11-2010 (Allegato 3).

 

 

N.B. fa fede solo il testo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.