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BUTTAFUOCO DELL'OLTREPÒ PAVESE D.O.C.

CASTEGGIO D.O.C.

SAN COLOMBANO AL LAMBRO D.O.C.

SANGUE DI GIUDA DELL'OLTREPÒ PAVESE D.O.C.

VIGNETI CASTEGGIO

VIGNETI CASTEGGIO

 

BUTTAFUOCO DELL’OLTREPÒ PAVESE

BUTTAFUOCO

D.O.C.

Decreto 03 Agosto 2010

Modifica Decreto 03 novembre 2010

 (Fonte Guri)

Modifica Decreto 30 novembre 2011

(fonte Mipaaf)

 

Articolo 1

 

La denominazione di origine controllata “Buttafuoco dell'Oltrepò Pavese o Buttafuoco” è riservata ai vini,  anche  nella  tipologia “frizzante”, che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione.

 

Articolo 2

base ampelografica

 

Il vino “Buttafuoco dell'Oltrepò  Pavese  o Buttafuoco”  deve essere ottenuto dalle uve prodotte dai  vigneti  aventi,  nell'ambito aziendale, la seguente composizione ampelografica:

 

Barbera: dal 25% al 65%;

Croatina: dal 25% al 65%;

Uva rara, Ughetta (Vespolina), congiuntamente  o  disgiuntamente: fino a un massimo del 45%.

 

Articolo 3

zona di produzione delle uve

 

La zona di produzione delle uve  destinate  alla  produzione  dei vini “Buttafuoco dell'Oltrepò Pavese o  Buttafuoco”  comprende  la fascia vitivinicola collinare dell'Oltrepò Pavese per i territori  a sud della via Emilia dei  seguenti  comuni:

Stradella, Broni, Canneto  Pavese,  Montescano,  Castana,  Cigognola, Pietra de' Giorgi,

in provincia di Pavia.

 

Articolo 4

norme per la viticoltura

 

Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti destinati  alla produzione  del  vino  a   denominazione   di   origine   controllata “Buttafuoco dell'Oltrepò Pavese o Buttafuoco” devono essere quelle tradizionali della zona di produzione e, comunque, atte  a  conferire alle uve e ai vini  le  specifiche  tradizionali  caratteristiche  di qualità.

Su terreni di natura calcarea o calcareo-argillosa e  su  pendici collinari ben soleggiate escludendo comunque i fondovalle e i terreni di pianura.

I sesti di impianto, le forme  di  allevamento  e  i  sistemi  di potatura devono essere quelli generalmente usati o  comunque  atti  a non modificare le caratteristiche delle uve e del vino.

Per i nuovi impianti ed i reimpianti la densità  dei  ceppi  per ettaro non può essere

inferiore a 4.000, 

per  gli  appezzamenti  di Croatina la densità di ceppi per ettaro non può essere

inferiore  a 3.200.

I sesti d'impianto, le forme di allevamento (controspalliera) e i sistemi di potatura devono essere  quelli  di  tipo  tradizionale  e, comunque, i vigneti devono essere governati in modo da non modificare le caratteristiche dell'uva, del mosto e  del  vino. 

Per  i  vigneti esistenti alla data di pubblicazione del presente  disciplinare  sono consentite le  forme  di  allevamento  già  usate  nella  zona,  con esclusione delle forme di allevamento espanse.

E' consentita l'irrigazione di soccorso.

   

Le produzioni massime di uva per ettaro in coltura  specializzata dei vigneti destinati alla produzione del  vino  a  denominazione  di origine controllata “Buttafuoco dell'Oltrepò Pavese o  Buttafuoco” ed i titoli alcolometrici volumici naturali minimi devono essere:

     

Buttafuoco: 10,50 t/ha, 11,50% vol.;

Buttafuoco frizzante: 10,50 t/ha, 11,50% vol.

Anche in annate eccezionalmente favorevoli, la resa uva ad ettaro dovrà essere riportata nei limiti di cui sopra purché la produzione globale non superi del 20% i limiti medesimi, ferma restando la  resa uva/vino per i quantitativi di cui trattasi.

Oltre detto  limite  del 20% decade il  diritto  alla  denominazione  di  origine  controllata “Buttafuoco  dell'Oltrepò  Pavese  o  Buttafuoco”  per  tutta   la partita.

La Regione Lombardia, sentito il parere del Consorzio di  Tutela, annualmente, con  proprio  decreto,  tenuto  conto  delle  condizioni ambientali di  coltivazione,  può  fissare  produzioni  massime  per ettaro inferiori a quelle  stabilite  dal  presente  disciplinare  di produzione, o limitare, per talune zone geografiche, l'utilizzo delle menzioni aggiuntive, dandone  immediata  comunicazione  al  Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali - Comitato  nazionale

per la tutela e la valorizzazione delle denominazioni  di  origine  e delle indicazioni geografiche tipiche dei vini.

 

Articolo 5

norme per la vinificazione

 

Le operazioni di vinificazione  devono  essere  effettuate  nella zona  di  produzione  delimitata  dall'art.  3. 

Tenuto  conto  delle situazioni  tradizionali  di  produzione  e'  consentito   che   tali operazioni siano effettuate nell'intero territorio della provincia di Pavia, nonché nelle frazioni di Vicobarone e Casa Bella  nel  comune

di Ziano Piacentino in provincia di Piacenza.

Le rese massime dell'uva in vino devono essere le seguenti:

     

Buttafuoco: 70%

Buttafuoco frizzante: 70%

Qualora la resa uva/vino superi i limiti sopra riportati, ma  non oltre il 5%, l'eccedenza non  avrà  diritto  alla  denominazione  di origine  controllata;  oltre  tale  limite  decade  il  diritto  alla denominazione di origine per tutta la partita.

Nella vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche  enologiche corrispondenti agli usi locali, leali e costanti, atte a conferire ai vini le loro rispettive caratteristiche. In particolare e' ammessa la vinificazione congiunta o disgiunta delle  uve  che  concorrono  alla denominazione “Buttafuoco dell'Oltrepò Pavese o Buttafuoco”.

Nel caso della vinificazione disgiunta,  il  coacervo  dei  vini, facenti parte della medesima partita, deve avvenire nella cantina del vinificatore entro il periodo  di  completo  affinamento  e  comunque prima della richiesta della  certificazione  della  relativa  partita prevista  dalla   vigente   normativa   o   prima   della   eventuale commercializzazione, all'interno  della  zona  contemplata  dall'art. 5.1,  come  vino  atto  a   “Buttafuoco   dell'Oltrepò   Pavese o Buttafuoco”.

I  vini  a  denominazione  di  origine  controllata   “Buttafuoco dell'Oltrepò Pavese o Buttafuoco” non possono  essere  immessi  al consumo prima del 30 aprile dell'anno successivo alla vendemmia.

 

Articolo 6

caratteristiche del vino al consumo

 

Il  vino  a  denominazione  di  origine  controllata  «Buttafuoco dell'Oltrepo'  Pavese»  o  «Buttafuoco»,  deve  rispondere,  all'atto dell'immissione al consumo, alle seguenti caratteristiche:

 

“Buttafuoco dell'Oltrepò Pavese o Buttafuoco”:

colore: rosso vivo, più o meno intenso;

profumo: vinoso, intenso;

sapore: asciutto, di corpo;

titolo alcolometrico volumico complessivo minimo: 12,00% vol;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 24,00 g/l.

 

“Buttafuoco dell'Oltrepò Pavese o Buttafuoco» frizzante”:

spuma: vivace, evanescente;

colore: rosso vivo, più o meno intenso;

profumo: vinoso, intenso;

sapore: asciutto, di corpo;

titolo alcolometrico volumico complessivo minimo:  12,00%  vol.;

titolo alcolometrico volumico svolto minimo: 11,50% effettivo;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 22,00 g/l.

 

In relazione all'eventuale conservazione in recipienti di  legno, il sapore dei vini può rilevare lieve sentore di legno.

E' facoltà del Ministro delle politiche  agricole  alimentari  e forestali, con proprio decreto, modificare per i vini di cui sopra  i limiti indicati per l'acidità totale e l'estratto non riduttore.

 

Articolo 7

qualificazione, etichettatura, designazione e presentazione

 

Alla   denominazione   di   origine    controllata    “Buttafuoco dell'Oltrepò  Pavese  o  Buttafuoco”  è  vietata  l'aggiunta   di qualsiasi  menzione  diversa  da   quelle   previste   dal   presente disciplinare ivi  compresi  gli  aggettivi  superiore,  extra,  fine, scelto, selezionato, vecchio, riserva e similari.

E'  tuttavia  consentito  l'uso  di  indicazioni   che   facciano riferimento a nomi o ragioni sociali o marchi  privati,  purché  non abbiano significato laudativo e non siano tali da trarre  in  inganno il consumatore.

Sulle  bottiglie  o  altri  recipienti   contenenti   “Buttafuoco dell'Oltrepò Pavese o Buttafuoco”, è  obbligatoria  l'indicazione dell'annata.

La denominazione “Buttafuoco dell'Oltrepò Pavese o Buttafuoco” deve essere indicata  nella  designazione  del  prodotto  in  maniera consecutiva, anche su più righe, seguita immediatamente al di  sotto dalla  menzione  specifica  tradizionale  “denominazione  di  origine controllata”.

Le menzioni facoltative, escluse i marchi  e  i  nomi  aziendali, possono essere riportate  nell'etichettatura  soltanto  in  caratteri tipografici non più grandi o evidenti di quelli  utilizzati  per  la denominazione di origine del  vino,  salvo  le  norme  generali  più restrittive.

La denominazione di origine controllata “Buttafuoco dell'Oltrepò Pavese o Buttafuoco” è contraddistinta  obbligatoriamente  dal  un marchio collettivo espresso nella forma grafica e letterale  allegata al  presente  disciplinare,  in  abbinamento  inscindibile   con   la denominazione. 

L'utilizzo   del   marchio   collettivo   è   curato direttamente dal Consorzio  tutela  vini  Oltrepà  Pavese  che  deve

distribuirlo anche ai non  associati,  alle  medesime  condizioni  di utilizzo riservate ai propri associati.

 

Articolo 8

confezionamento

 

Il  vino  a  denominazione  di  origine  controllata  “Buttafuoco dell'Oltrepò Pavese o Buttafuoco”, di cui all'art. 1  deve  essere immesso al consumo in bottiglie di vetro di capacità non superiore a litri 5.

 

Articolo 9

Legame con l’ambiente geografico

 

A) Informazioni sulla zona geografica

1. Fattori naturali rilevanti per il legame

L’area di produzione della DOC “Buttafuoco dell’Oltrepò Pavese” o “Buttafuoco” è inclusa nei territori situati a sud della via Emilia dei comuni di Stradella, Broni, Canneto Pavese, Montescano, Castana, Cigognola e Pietra de’ Giorgi, i quali sono compresi geograficamente nell’area dell’Oltrepò Pavese.

Questa a sua volta si colloca all’interno del bacino padano, delimitato dalle catene alpina ed appenninica e con una apertura principale verso est; in particolare la fascia collinare pavese si inserisce nella fascia appenninica che dal Piemonte si spinge verso l’Emilia.

L’area è caratterizzata da solchi vallivi con direzione prevalente da sud verso nord.

Analisi pedopaesaggistica

L’area di produzione della DOC “Buttafuoco dell’Oltrepò Pavese”, così come l’intero Oltrepò Pavese, in larga misura, presenta un’orografia preappenninica.

I terreni collinari, nei quali si trova la maggior parte della superficie coltivata a vite dell’Oltrepò, appartengono al Cenozoico. Le formazioni mioceniche sono complesse ed importanti, presentano piani diversi compresi nelle colline e nelle prime montagne.

Per i territori della DOC “Buttafuoco” il piano più significativo è dato dal Messiniano, caratterizzato da marne gialle chiare, con lenti calcaree in una continuità molto precisa. Appartengono a questa formazione i terreni di Montescano, Castana, Canneto Pavese, Pietra de’ Giorgi e Cigognola.

Dal punto di vista agronomico le zone viticole con caratteristiche litologiche omogenee sono: • Depositi alluvionali terrazzati: si sviluppano principalmente lungo la fascia pedecollinare da Broni a Stradella, inserendosi lungo l’alveo dei principali corsi d’acqua.

Questi depositi formano i primi dolci rilievi costituendo il raccordo tra la pianura e l’area collinare. Si tratta di depositi elastici incoerenti a granulometria eterogenea, generalmente ricoperti da una coltre di alterazione di varia potenza e colore.

• Alternanze eterogenee di conglomerati, arenarie, siltiti e argille: unità che raggruppa tutte quelle formazioni caratterizzate da una estrema variabilità litologica di cui è difficile la suddivisione in litofacies.

È costituita da arenaria, brecce, calcari, calcari cariati, marne, conglomerati gessiferi, conglomerati e argille, che generalmente costituiscono corpi lentiformi variamente interstratificati.

Un affioramento si trova nella zona di Pietra de’ Giorgi che continua tra i comuni di Montescano, Broni e Stradella.

• Alternanze a dominante arenacea: litofacies caratterizzata da alternanze più o meno regolari di arenarie variamente cementate, sabbie, marne-siltose e argille, generalmente di colore grigio.

Solitamente hanno maggiore diffusione le fitte sequenze di straterelli arenacei, marno-siltosi e argillosi ma localmente si può avere predominanza della parte psamamitica o di quella pelitica.

Nel primo caso gli strati arenacei assumono spessori intorno a 80-100 cm; nel secondo si hanno spessori di pochi centimetri.

La morfologia dei rilievi, costituita da questa unità, è assai varia con pareti verticali e pendii a modesta acclività ove si possono accumulare spessori anche notevoli di coltre eluvio-colluviale.

Frequenti in questa unità sono i fenomeni di scoscendimento al contatto con formazioni argillose. Questa tipologia è presente lungo le valli dei torrenti Versa e Scuropasso.

La radiazione solare

La radiazione solare che giunge su un terreno in piano è funzione della latitudine, mentre nelle zone collinari bisogna considerare anche gli effetti della pendenza, dell’esposizione e dell’orizzonte orografico tipico di ciascun vigneto.

La zona di produzione della DOC “Buttafuoco” è caratterizzata mediamente da un valore di radiazione solare compreso tra 2.250 e 3.000 MJ/m2 all’anno.

La temperatura dell’aria

Nella fascia compresa fra la base delle colline ed i 400 m di quota, la temperatura media annua presenta valori di circa 12°C e la temperatura media del mese più freddo (gennaio) è di circa 1°C.

La media delle minime è per lo più inferiore a 0°C. Le temperature medie del mese più caldo (luglio o agosto) sono 22/24°C, mentre le massime mensili sono di circa 28/30°C.

Le precipitazioni

La distribuzione delle precipitazioni all’interno dell’area della DOC “Buttafuoco” mostra un gradiente altitudinale, con piogge che aumentano al crescere della quota, e dall’altro una diminuzione progressiva da est verso ovest.

I comuni del Buttafuoco si suddividono fra le seguenti classi di precipitazioni: Cigognola, Broni e Pietra de’ Giorgi, nonché l’area occidentale dei comuni di Canneto Pavese, Montescano e Castana, fra gli 800 e gli 850 mm/anno; questi ultimi nei loro

territori più orientali, insieme con il comune di Stradella, fra gli 850 e i 900 mm/anno.

Come per il resto dell’Oltrepò, la distribuzione media delle precipitazioni nel corso dell’anno è caratterizzata da

un massimo ed un minimo rispettivamente nei mesi di novembre e di luglio.

In media il mese più piovoso nella stagione primaverile risulta essere maggio.

2. Fattori umani rilevanti per il legame

Di fondamentale rilievo sono i fattori umani legati al territorio di produzione, che per consolidata tradizione hanno contribuito ad ottenere i vini a Denominazione di Origine “Buttafuoco dell’Oltrepò Pavese” o “Buttafuoco”.

Considerato, sin dai tempi di Strabone, una zona di produzione di vini di qualità, l'Oltrepò Pavese è quel lembo di terra collinoso a sud della Lombardia noto per essere il punto d'incontro di quattro regioni: Lombardia, Piemonte, Liguria ed Emilia Romagna.

Tale peculiare caratteristica rende l'Oltrepò Pavese ricco di culture, lingue, tradizioni e cucine differenti, ma ben integrate tra loro.

Questa terra è anche, anzi soprattutto, antica dimora della vite. Un'importante testimonianza arriva dal reperto di un tralcio di vite, risalente ai tempi preistorici, trovato in Oltrepò Pavese. Strabone, nel I secolo a.C., attribuì all'Oltrepò Pavese l'invenzione della botte. Nei suoi testi fu descritta di dimensioni più grandi delle case. Nei secoli successivi si incontrano poi altre testimonianze. Andrea Bacci, per esempio, nel XVI secolo, descrisse i vini di tale zone con il termine “eccellentissimi”.

L'Oltrepò Pavese vitivinicolo attuale trova le sue radici nel secolo scorso, come conseguenza dei danni portati dalla fillossera, e nel rinnovamento globale del mondo vinicolo italiano di quel periodo.

E' sufficiente ricordare che nel 1884 l'Oltrepò Pavese vantava ben 225 vitigni autoctoni.

Oggi sono circa una dozzina quelli di maggior diffusione, tra cui i più diffusi sono sicuramente Croatina con i suoi 3.900 ha e Barbera con i suoi 3.300 ha sui 13.300 totali.

Nel corso dei decenni la viticoltura ha mantenuto il ruolo di coltura principale del territorio, tanto che nel 1970 il vino Oltrepò Pavese, e con esso la tipologia “Buttafuoco”, è stato riconosciuto come DOC con DPR del 6 agosto.

L’incidenza dei fattori umani nel corso della storia è riferita alla puntuale definizione dei seguenti aspetti tecnico produttivi, che costituiscono parte integrante del presente disciplinare di produzione:

la base ampelografica dei vigneti:

i vitigni idonei alla produzione dei vini in questione sono quelli tradizionalmente coltivati nell’area geografica considerata, ovvero Croatina, Barbera, Uva rara e Ughetta (Vespolina);

le forme di allevamento, i sesti d’impianto ed i sistemi di potatura:

anche per i nuovi impianti: sono quelli tradizionali e permettono la migliore e più razionale disposizione delle viti, sia per agevolare l’esecuzione delle operazioni colturali, sia per consentire la razionale gestione della chioma, permettendo di ottenere una adeguata e bene esposta superficie fogliare e di contenere le rese di produzione entro i limiti fissati dal presente disciplinare;

le pratiche relative all’elaborazione dei vini:

sono quelle tradizionalmente consolidate in zona per la vinificazione in rosso di vini tranquilli, vivaci e frizzanti.

 

B) Informazioni sulla qualità o sulle caratteristiche del prodotto essenzialmente o esclusivamente

attribuibili all’ambiente geografico

La DOC è riferita a due tipologie di vino rosso: fermo e frizzante.

Dal punto di vista analitico ed organolettico presentano caratteristiche molto evidenti e peculiari (descritte all’Articolo 6), che ne permettono una chiara individuazione e tipicizzazione legata all’ambiente geografico.

Il Buttafuoco presenta caratteristiche chimico-fisiche equilibrate. Visivamente è limpido, di colore rubino carico con riflessi violacei e, se invecchiato, tendente al granato e di buona consistenza;

l’olfatto è intenso, franco, penetrante e vinoso e si riscontrano aromi prevalenti tipici dei vitigni Croatina e Barbera: da note floreali di viola, a sentori di frutti rossi e di frutta cotta (prugna); al gusto si hanno una grande corposità dovuta alla struttura e al buon grado alcolico, una acidità complessiva relativamente limitata ed un buon equilibrio tra le sensazioni di asciutto e di rotondo.

 

C) Descrizione dell’interazione causale fra gli elementi di cui alla lettera A) e quelli di cui alla lettera B)

Le condizioni microambientali, geologiche e non ultime quelle storiche mettono il territorio dell’Oltrepò Pavese, tagliato a metà dal 45° parallelo, e in particolare quello dei comuni del Buttafuoco, fra le zone del mondo più vocate per la produzione di vini rossi.

Grazie alle indagini condotte sul territorio dell’Oltrepò Pavese iniziate con lo studio di zonazione realizzato a partire dal 1999 con il contributo dell’Amministrazione provinciale di Pavia, coordinato dall’Università di Milano e con la collaborazione dell’Università di Piacenza e dell’ERSAF e conclusesi con esperienze di monitoraggio del territorio condotte dall’Università di Milano e dal Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese, è stato possibile ottenere una mappa delle unità territoriali che rappresenta la sintesi delle informazioni scientifiche raccolte.

L’intero areale dei comuni di Stradella, Broni, Canneto Pavese, Montescano, Castana, Cigognola e Pietra de’ Giorgi si presta alla coltivazione delle uve Croatina, Barbera, Uva rara e Vespolina per la produzione dei vini a DOC “Buttafuoco dell’Oltrepò Pavese” o “Buttafuoco”.

L’area è costituita da valli caratterizzate da ripidi versanti e fitti crinali con substrati rocciosi relativamente soffici, che risultano in buona parte lavorabili.

Il substrato è costituito prevalentemente da rocce calcaree limoso-argillose e il suolo si presenta con una tessitura da

grossolana a media, con scarsa presenza di scheletro e moderatamente profondo.

Sono presenti strati rocciosi profondi di facile lavorabilità. L’area è molto calcarea, con pH alcalino e drenaggio buono. Essa interessa esclusivamente la prima fascia collinare con altitudini comprese tra 150 e 350 m; è caratterizzata da valori di radiazione fotosinteticamente attiva medi e da tenori pluviometrici compresi tra 800 e 900 mm/anno.

Il clima è condizionato dall’elevata inerzia termica del bacino padano che, con effetto tampone, mantiene nel corso di tutto l’anno temperature costanti.

L’area è soggetta all’effetto del vento di föhn che favorisce l’abbassamento dell’umidità dell’aria aumentando l’evapotraspirazione e la diminuzione dell’acqua nel suolo.

L’inverno è mite e induce una certa precocità nella ripresa vegetativa, mentre le estati sono molto calde. Data l’eterogeneità della distribuzione orografica delle valli non vi è una esposizione di versante prevalente; le pendenze sono importanti e possono assumere anche valore prossimi al 35%.

Questa fascia collinare è particolarmente adatta per la produzione di uve da vinificare in rosso con la massima espressione per colore, struttura e grado alcolico.

L’ottima maturazione delle uve garantisce la massima espressione varietale producendo vini strutturati e complessi. L’ampiezza sensoriale è caratterizzata da note floreali di viola, da sentori di frutti rossi e di frutta cotta (prugna).

Alla degustazione si percepisce una grande corposità dovuta alla struttura e al buon grado alcolico e una acidità complessiva relativamente limitata.

Il crinale spartiacque fra il torrente Versa e il torrente Scuropasso, ovvero la zona storica di produzione del Buttafuoco, fa parte, come tutta la prima fascia collinare dell'Oltrepò, di quella zona citata dal geografo greco Strabone (60 a.C. - 20 d.C. circa), il quale dice testualmente: “della bontà dei luoghi è prova la densità della popolazione e la grandezza delle città e la ricchezza.

L'abbondanza del vino viene indicata dalle botti fatte di legno e più grosse delle case”. Certamente molto tempo prima, le tribù liguri, abitanti le colline oltrepadane, conoscevano il prezioso nettare e l'arte della coltura viticola impiantata sui soleggiati pendii strappati ai boschi spontanei che un tempo coprivano queste terre. P. G. Garoglio, nel suo trattato di enologia, ricorda che al centro e al nord Italia verso la fine dell'età del bronzo e all'inizio di quella del ferro si faceva già uso del frutto prezioso della vite.

Anche nel tardo impero romano la vite non cessò di mantenere la sua importanza. Alessandro Maragliano ci ricorda come nell'ultimo secolo dell'era antica, Patrizi e Matrone, col codazzo di schiavi e di clienti, si recassero nelle ville delle ridenti colline oltrepadane a sorseggiarvi il vino.

Il Robolini in "Notizie storiche di Pavia" parlando di rendite, privilegi, investiture dal 600 al 1300, quando trattasi di fondi rustici segnala quasi sempre le vigne.

E' perciò fuori dubbio che anche le genti di questa terra, che come dimostrano i reperti archeologici rinvenuti in diversi siti, fu anticamente abitata, conservarono nei secoli la capacità e l'arte della produzione vitivinicola; capacità certamente condizionata dalle esigenze materiali contingenti e dai voleri e capricci dei "signori" mano a mano succedutisi nella proprietà delle terre.

La stretta striscia di terreno fra il fiume Po e lo "sperone di Stradella" era il passaggio obbligato per tutte quelle genti che migravano da est a ovest e viceversa, è perciò verosimile che i molti popoli succedutesi nel passaggio abbiano

lasciato nuove esperienze e nuove tecniche, anche di coltivazione della vite e di vinificazione delle uve.

Da una pergamena del 1164 (Archivio di Stato di Milano) apprendiamo di una investitura data da Simone Cellanova a Giovanni Vigano e figli, di un manso di terra nel territorio di Figaria (antico nome di Castana) a un terzo delle granaglie e a metà del vino.

Moltissimi erano i tributi imposti dai feudatari del medioevo alle popolazioni delle colline e si distinguevano sotto infinite denominazioni: di fodro, di toloneo, di terratico, di casatico, di ripatico, di alpatico, di ghiandatico ecc.; quelli però più vessatori erano i dazi sui generi di prima necessità, pane, carne, vino.

Già a quei tempi carni e pane potevano essere conservati nelle botteghe purché bollati dal daziere e il vino doveva essere accompagnato da bolletta nei trasporti; agli osti era ordinato di servire il vino dentro recipienti di misura fissa: la Galeda, il Galedino, il Cyatus e lo Sciphus e di non servirlo dopo il suono dell' avemaria.

Pene severe tutelavano la vite e l'uva: aprire un varco nella siepe che circonda la vigna e rubare uva, comporta doppia pena, altra pena a chi ruba pali posti in opera o a chi scava alberi per farne pali o avere salici, “se uno taglierà le viti di altri sia condannato a pagare dieci lire e se non vorrà o potrà gli si tagli una mano” (Statuti di Varzi).

Il Monastero di san Bartolomeo in strada di Pavia, proprietario del castello di Castana, dal sec. XII, fece costruire la caratteristica cantina, testimonianza della ricchezza enoica dei luoghi.

Probabilmente nel castello veniva vinificato e stagionato il vino che poi avrebbe varcato il Po per raggiungere le mense del Monastero in Pavia. (Statuto Sancolombanese - 1374).

Da un documento del 1623 sull'inventario dei beni della chiesa di Cigognola si parla “di un tavernello con su una vite di rossera” a dimostrazione che spesso la vite veniva allevata "maritata" con vari tipi di alberi, ma non solo: nel medesimo documento si parla di una vigna "spessa" (coltivazione intensiva) “un altro pezo parte cultivo e parte a vigna spessa dove si dice il budello, comune della Castana lontano dalla colombara del Monte Guzo un tiro di sasso ed il campo ha dentro tre rose bem belle, alcuni ormi, grossi pomi, peri selvatici, doi nocette, gabe quattro o cinque, tavernelli, doi salici, una sorbetta ecc.”.

Il 20 luglio 1723 la zona "storica" venne visitata, come gli altri comuni oltrepadani, da emissari imperiali austrungarici

incaricati di redigere il Catasto (Catasto di Carlo VI). Il territorio fu misurato e delineato appezzamento per appezzamento e sul posto furono costruite le mappe, sulle quali è molto ben evidenziata su ogni particella il tipo di coltura effettuato.

Dalla mappa, dal processo verbale e dal sommarione stilati in quel tempo, si rileva che la coltura della vite era abbastanza diffusa. Vediamo di seguito i prezzi delle derrate prodotte in quel periodo: fieno L 2,3 al fascio, frumento L 12 al sacco, spelta L 2,1 al sacco, vezza fava ceserchia L 6 al sacco, melgone L 5,1 al sacco, vino L 3,1 alla brenta, legna forte L 6 al carro.

Dalla fine del 1700 molti dei coltivatori diventano livellari in enfiteusi perpetua, quindi assimilabili ai proprietari.

Questo crea da una parte un ulteriore spezzettamento delle proprietà, ma dall'altra incrementa la coltura della vite, coltura che ha bisogno di molta cura e dedizione che solo il coltivatore diretto può dare.

Dal volume "Viti Italiane" di Giuseppe Acerbi apprendiamo un elenco di vitigni coltivati in quel periodo su queste colline, fra i rossi: Moradella piccola e grossa, Toppia, Gattinera, Barbisina, Nibiolo, Pignolo, Ciau, Ughetta di Canneto, Uva d’oro, Sgorbera o Croà, Basgano, Monferrina, Pizzadella, Bonarda, Ugone, Coda di Vacca, Bermestica, Rossera. Dopo la metà del 1800 i vigneti, che il cav. Giuletti poneva nella fascia migliore, qualitativamente, dell'Oltrepò (fra Bardonezza e Scuropasso) erano composti prevalentemente da uve rosse e in principal modo da Pignola Ughetta e

Moradella allevate secondo il sistema Bronese, che permetteva nello spazio fra i filari, chiamato "piana" la coltivazioni di cereali e erbe foraggere.

Nel 1872 a Stradella per volere di Agostino De Pretis nacque la Società Enologica, sotto la guida dell'enologo tedesco Schoeber, ma non ebbe lunga vita. Nel 1875 venne rilevata dalla Cirio & comp. e la direzione affidata all'enologo Carlo Pisani che riuscì ad eguagliare nella qualità i vini francesi e a sfidarli nel ricco mercato americano.

La Società arrivò ad esportare in America ottocento bordolesi al mese pari a 3500 brentine (180.000 litri) con un’immagine e un prezzo superiore ai vini francesi. Il 31 Agosto 1879 si dava la notizia della presenza della Fillossera in Italia e il 14 ottobre dello stesso anno il prof. Pirotta di Pavia scoprì la Peronospora.

Dal 1898 con la scoperta dei primi focolai di infezione a Redavalle, si aprì un cupo scenario anche per i viticoltori

che videro bruciare in poco tempo la loro unica fonte di reddito.

Dal 1874 al 1885, anche per la mancata produzione delle vigne francesi già nel pieno della infezione fillosserica, l'uva era molto richiesta; quella di Castana e Canneto spuntava sulla piazza di Broni fino 30 Lire al quintale per poi passare però dal 1886 a Lire 25 e dal 1907 a Lire 20 su Broni e a Lire 15 su Stradella.

Fu in questo periodo che molti, dopo aver ipotecato le vigne senza alcuna possibilità di riscatto, scelsero la via della emigrazione soprattutto nelle Americhe; la tenacia di chi rimase, sperimentando sulla propria pelle ogni forma possibile di lotta ai parassiti, vinse e negli anni successivi alla grande Guerra i versanti delle colline oltrepadane ritornarono verdi.

Il Dott. Vittorio Gobetti direttore della cattedra ambulante di viticoltura, che visitava periodicamente i vigneti oltrepadani, consigliava sulle operazioni colturali e di lotta, fra gli altri, l'esperimento delle barriere fillosseriche di viti Americane ai confini di vigneti. Nel periodo tra le due guerre i viticoltori continuarono la strada della specializzazione e della razionalizzazione degli impianti, abbandonarono il sistema Bronese e adattarono alle loro esigenze il sistema Guyot; curioso era il sistema usato a Canneto detto "serpentario".

Negli anni cinquanta Castana, Canneto e Montù Beccaria avevano la vite coltivata su circa il 90% del territorio ed erano sicuramente i comuni più vitati d'Italia; l'uva veniva pigiata quasi totalmente sul posto dai piccoli proprietari.

Segue una descrizione della vitivinicoltura dall’800 ai primi del ‘900, ricavata dal testo di Fabrizio Bernini “Che cos’è la vita se non spumeggia il vino – storia della vitivinicoltura in Oltrepò Pavese” edito nel 2001 da Ponzio Olona servizi grafici.

Capitolo XIX - Il primo Novecento vitivinicolo oltre il Po: la rustica croatina

Il professor Arturo Marescalchi, esperto ampelografo, asseriva nella sua dotta monografia sui vini tipici d’Italia, pubblicato nel 1924, che il Barbacarlo, il Sangue di Giuda, prodotti a Broni e Canneto, nonché il Buttafuoco e il Montenapoleone erano fra “i migliori vini rossi d’Italia”.

Il nome Buttafuoco si origina dall’antica frase “al buta me al feug” ossia germoglia come il fuoco, con riferimento sia ai vitigni di Croatina, Barbera e Uva rara da cui si ottiene, che dal colore rosso dell’amalgama.

Negli ultimi anni la viticoltura si è specializzata, sono stati rinnovati gli impianti e anche grazie al “Club del Buttafuoco Storico” è stata intensificata la produzione di qualità; il “Club del Buttafuoco Storico”, è un gruppo di produttori che si è dato regole comuni volte alla produzione di vini da singola vigna con almeno tre anni di invecchiamento e con rese limitate, dotandosi anche di alcuni sistemi di autocontrollo.

I loro prodotti sono riconoscibili per la presenza di un veliero in rilievo sulla bottiglia: il veliero in questione è proprio il “Buttafuoco”, varato dalla marina austriaca verso la metà del XIX secolo.

Una leggenda racconta che un gruppo di marinai della marina imperiale austroungarica, impegnati a metà dell'800 come traghettatori sul Po nei pressi di Stradella, in operazioni di guerra contro i soldati franco-piemontesi, si lasciarono tentare ed entrarono in una cantina del luogo dove fecero una strage, non di soldati nemici, ma di un vino denominato appunto “Buttafuoco”.

Il vino “Buttafuoco”, dapprima tipologia della DOC “Oltrepò Pavese”, nata nel 1970, è stato elevato alla categoria di DOC autonoma, con disciplinare proprio, nel 2010 (DM 3 agosto 2010) per la sua importanza storica.

 

Articolo 10

Riferimenti alla struttura di controllo

 

Valoritalia S.r.l.

via Piave, 24

00187 Roma

telefono: 0445 313088

fax: 0445 313080

e-mail: info@valoritalia.it

Valoritalia S.r.l. è l’Organismo di controllo autorizzato dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 61/2010 (Allegato 1), che effettua la verifica annuale del rispetto delle disposizioni del presente disciplinare, conformemente all’articolo 25, par. 1, 1° capoverso, lettera a) e c), ed all’articolo 26 del Reg. CE n. 607/2009, per i prodotti beneficianti della DOP, mediante una metodologia dei controlli sistematica nell’arco dell’intera filiera produttiva (viticoltura, elaborazione, confezionamento), conformemente al citato articolo 25, par. 1, 2° capoverso, lettera c).

In particolare, tale verifica è espletata nel rispetto di un predeterminato piano dei controlli, approvato dal Ministero, conforme al modello approvato con il DM 2 novembre 2010, pubblicato in GU n. 271 del 19-11-2010 (Allegato 2).

 

N.B. fa fede solo il testo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

 

CASTEGGIO

D.O.C.

Decreto 03 Agosto 2010

(Fonte GURI)

Modifica Decreto 30 novembre 2011

(fonte Mipaaf)

 

 

Articolo 1

 

La denominazione di origine controllata “Casteggio”, anche  nella tipologia «riserva», è riservata al vino  rosso  che  risponde  alle condizioni ed ai requisiti stabiliti  dal  presente  disciplinare  di produzione.

 

Articolo 2

base ampelografica

 

Il vino di cui all'art. 1 deve essere ottenuto dalle uve prodotte dai vigneti aventi, nell'ambito aziendale, la  seguente  composizione ampelografica:

 

Barbera: minimo 65%;

Croatina,  Uva  Rara,  Ughetta  (Vespolina)   e   Pinot   Nero, congiuntamente o disgiuntamente, fino ad un massimo del 35%.

 

Articolo 3

zona di produzione delle uve

 

La zona di produzione delle uve  destinate  alla  produzione  del vino a denominazione di origine controllata “Casteggio” comprende  la fascia vitivinicola collinare del comune di 

Casteggio, 

nonché  dei comuni confinanti di

Borgo Priolo, Corvino  San  Quirico,  Montebello della Battaglia, Calvignano, Oliva Gessi, Torrazza Coste.

In provincia di Pavia.

 

Tale  zona e' cosiì delimitata:

da una  linea  che  partendo  dalla  cittadina  di  Casteggio  in direzione Voghera sulla ss 10 (Ing. Adolfo Mazza), va oltre il Comune di Montebello della Battaglia e la Frazione Genestrello, superato  il quale,  si  svolta  verso  sinistra  in  direzione  Torrazza   Coste, percorrendo la strada vicinale Cascina Gioiello che in  prossimità della cascina Riccagioia diventa via Riccagioia proseguendo fino al centro di Torrazza Coste.

A questo punto si svolta  a  sinistra,  via Guglielmo Marconi verso est fino  ad  incrociare  via  Schizzola, attraversata la stessa si percorre in direzione Olesi la via comunale Strada dei sette cani o dei muri, fino a svoltare a  destra  in  via Ca' Barco, fino all'incrocio con la strada  vicinale  Codalunga  e Torre, qui a sinistra fino alla Frazione o Cascina Torrebianchina.

Proseguiamo verso destra lungo il confine di foglio 4 del  Comune  di Borgo Priolo fino al congiungimento con  la  strada  Comunale  Della Cattabrega,  qui  svoltiamo   a   sinistra   sulla   medesima   fino all'incrocio con via Valle Coppa, qui a destra fino a Borgo Priolo.

Qui, da via Valle Coppa si prosegue in via Ghiaia dei  Risi  fino all'intersezione  con  la  via  Località  Travaglino  a   sinistra percorrendola fino al centro di Calvignano.

Si attraversa la sp 188 e si prosegue in direzione Oliva Gessi con la strada  vicinale  Molino del Cevino, fino al confine comunale con Oliva  Gessi,  si  prosegue con via Cassinera, percorrendola tutta  fino  all'intersezione  con via La Ca'.

In questo punto si svolta a sinistra verso Corvino  San Quirico, la strada diventa via «Novellina» e poi via  Oratorio,  si prosegue verso valle, la  strada  diventa  via  Roma,  si  prosegue sempre verso valle, la strada diventa via «Castellini»,  avanti  fino all'intersezione con la ss 10, che percorriamo verso sinistra fino al centro di Casteggio, punto  di  partenza  della  delimitazione. 

Tale delimitazione,  e'  percorsa  in  senso  antiorario,  e  la  zona  di produzione  del  Casteggio  rimane  a  sinistra  della   linea   di delimitazione.

 

Articolo 4

norme per la viticoltura

 

Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti destinati  alla produzione  del  vino  a   denominazione   di   origine   controllata “Casteggio”  devono  essere  quelle  tradizionali   della   zona   di produzione e, comunque, atte a conferire  alle  uve  ed  al  vino  le specifiche tradizionali caratteristiche di qualità.

I vigneti devono essere posti su terreni  di  natura  calcarea  o calcareo-argillosa e su pendici collinari ben soleggiate,  escludendo comunque i fondo valle ed i terreni di pianura.

I sesti di impianto, le forme di  allevamento  ed  i  sistemi  di potatura devono essere quelli generalmente utilizzati o comunque atti a non modificare le caratteristiche delle uve e del vino.

Per i nuovi impianti e reimpianti,  la  densità  dei  ceppi  per ettaro non può

essere inferiore  a  4.000, 

per  i  vigneti  con  il vitigno Croatina la densità di ceppi  per  ettaro  non  può 

essere inferiore a 3.200.

I sesti di impianto, le forme di allevamento (controspalliera)  e i sistemi di potatura devono essere quelli di  tipo  tradizionale  e, comunque, i vigneti devono essere governati in modo da non modificare le caratteristiche dell'uva, del mosto e  del  vino. 

Per  i  vigneti esistenti alla data di pubblicazione del presente  disciplinare  sono consentite le forme di allevamento già usate nella zona.

E' consentita l'irrigazione di soccorso.

   

La produzione massima di uva per ettaro in coltura  specializzata dei vigneti destinati alla produzione del vino rosso a  denominazione di  origine  controllata  “Casteggio”  ed  il  titolo   alcolometrico volumico naturale minimo, devono essere i seguenti:

 

produzione massima: 8,50 t/ha;

titolo alcolometrico volumico naturale minimo: 12,50% vol.

Anche in annate eccezionalmente favorevoli, la  resa  di  uva  ad ettaro dovrà essere riportata nei limiti di cui  sopra,  purché  la produzione globale non superi il 15%  dei  limiti  medesimi,  ferma restando la resa uva/vino per i quantitativi di cui trattasi.

Oltre detto limite del 15% decade il diritto  alla  denominazione di origine controllata “Casteggio” per tutta la partita.

 

Le uve destinate  alla  produzione  del  vino  rosso  “Casteggio” devono essere raccolte manualmente.

La Regione Lombardia, sentito il parere del Consorzio di  Tutela, annualmente  con  proprio  decreto,  tenuto  conto  delle  condizioni ambientali di  coltivazione,  può fissare  produzioni  massime  per ettaro inferiori a quelle  stabilite  dal  presente  disciplinare  di produzione, o limitare, per talune zone geografiche, l'utilizzo della denominazione di origine controllata “Casteggio”,  dandone  immediata comunicazione al Ministero  delle  politiche  agricole  alimentari  e

forestali - Comitato nazionale per  la  tutela  e  la  valorizzazione delle  denominazioni  di  origine  e  delle  indicazioni  geografiche tipiche dei vini.

 

Articolo 5

norme per la vinificazione

 

Le   operazioni   di   vinificazione,   di   affinamento   e   di invecchiamento obbligatorio devono essere effettuate  nella  zona  di produzione  della  denominazione  di  origine  controllata  “Oltrepo' Pavese”, così come stabilita e delimitata dal relativo  art.  3  del predetto disciplinare.

E' consentito,  inoltre  che  tali  operazioni siano effettuate nell'intero territorio  della  provincia  di  Pavia, nonché  nelle frazioni di Vicobarone e Casa Bella nel comune di Ziano Piacentino in provincia di Piacenza.

 

La resa massima di trasformazione delle  uve  in  vino  non  può essere superiore al 70%.

Qualora la resa uva/vino superi il limite sopra riportato, ma non oltre il 5%, l'eccedenza non  avrà  diritto  alla  denominazione  di origine  controllata;  oltre  tale  limite  decade  il  diritto  alla denominazione per tutta la partita.

 

Per  il  vino  rosso  “Casteggio”  la   scelta   vendemmiale   è consentita, ove ne  sussistano  le  condizioni  di  legge,  verso  la denominazione di  origine  controllata  “Oltrepò Pavese”  nella  tipologia rosso e rosso riserva.

Il  vino  rosso  atto  a  denominazione  di  origine  controllata “Casteggio” può  essere classificato con la denominazione di  origine controllata “Oltrepò Pavese” rosso e rosso riserva, purché risponda  alle condizioni ed ai requisiti previsti dal relativo disciplinare, previa comunicazione del detentore agli Organismi competenti.

 

Nella vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche  enologiche corrispondenti agli usi locali, leali e costanti, atti a conferire al vino le sue rispettive caratteristiche.

In particolare è ammessa  la vinificazione congiunta o disgiunta delle  uve  che  concorrono  alla denominazione “Casteggio”.

Nel caso  della  vinificazione  disgiunta, l'assemblaggio definitivo della relativa partita deve avvenire  prima

della  richiesta  di  campionatura  per   il   riconoscimento   della denominazione, e comunque prima della estrazione  dalla  cantina  del produttore.

 

La denominazione di origine controllata “Casteggio” è  riservata solo al vino sottoposto ad un  periodo  di  affinamento  obbligatorio complessivo di almeno

ventiquattro mesi

a  partire  dal  1°  novembre dell'anno di produzione delle uve, 

di  cui  almeno  dodici  mesi  di invecchiamento obbligatorio in botti di rovere di qualsiasi capacità

ed  almeno  sei  mesi  di  affinamento  in  bottiglia   prima   della commercializzazione. 

E'  ammessa  la  colmatura  con   uguale   vino conservato in altri recipienti per non più del  5%  del  totale  del

volume in corso di invecchiamento obbligatorio.

Il “Casteggio” sottoposto ad un  periodo  di  invecchiamento 

non inferiore a 3 anni,

a partire dal 1° novembre dell'anno  di  raccolta delle uve,

può portare come  specificazione  aggiuntiva  la  dizione “riserva”.

 

Articolo 6

caratteristiche al consumo:

 

I vini  “Casteggio”  e  “Casteggio    riserva”,  all'atto dell'immissione  al  consumo,   devono   rispondere   alle   seguenti caratteristiche:

 

colore: rosso rubino intenso, talvolta con riflessi violacei  e tendente al granato con l'invecchiamento;

profumo: intenso, etereo, delicato;

sapore: asciutto, corposo, armonico;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,50% vol;

acidità totale minima: 4,50 per mille;

estratto non riduttore minimo: 25,00 g/l.

 

E' facoltà del Ministero delle politiche agricole  alimentari  e forestali, con proprio decreto,  modificare  i  limiti  indicati  per l'acidità e l'estratto non riduttore.

 

Articolo 7

qualificazione, etichettatura, designazione e presentazione

 

Alla denominazione di origine controllata “Casteggio” è  vietata l'aggiunta di qualsiasi  menzione  diversa  da  quelle  previste  dal presente disciplinare, ivi compresi gli aggettivi  rosso,  superiore, extra, fine, scelto, selezionato, vecchio e similari.

E'  consentito,  tuttavia,  l'uso  di  indicazioni  che  facciano riferimento a nomi o ragioni sociali o marchi  privati,  purché  non abbiano significato laudativo e non siano tali da trarre  in  inganno il consumatore.

Sulle bottiglie o altri recipienti contenenti  il  vino  rosso  a denominazione  di  origine  controllata  “Casteggio”  deve   figurare l'indicazione dell'annata di produzione delle uve.

Le menzioni facoltative, escluse i marchi ed  i  nomi  aziendali, possono essere riportate  nell'etichettatura  soltanto  in  caratteri tipografici non più grandi ed evidenti di quelli utilizzati  per  la

denominazione di origine del  vino,  salvo  le  norme  generali  più restrittive.

Nella designazione dei  vini  di  cui  all'art.  1,  la  menzione specifica tradizionale “Denominazione di  Origine  Controllata”  deve essere riportata  immediatamente  al  di  sotto  della  denominazione “Casteggio” e  la  menzione  “riserva”,  a  sua  volta,  deve  essere riportata al di sotto della citata menzione “Denominazione di Origine Controllata”.

La menzione “riserva” deve essere altresì  riportata  in caratteri di dimensione non superiore al 50% di quelli usati per  la denominazione “Casteggio”.

La  designazione  del  vino  rosso  a  denominazione  di  origine controllata  “Casteggio”  può  essere  accompagnata  dalla  menzione “vigna”, purché:

le uve provengano totalmente dal medesimo vigneto, come specificato dall'art. 4 del presente disciplinare;

tale  menzione  sia  iscritta  nell'apposito  elenco  istituito dall'organismo che detiene l'Albo vigneti della denominazione;

coloro che, nella designazione e presentazione del  vino  rosso “Casteggio”,  intendono  accompagnare  la  denominazione  di  origine controllata  con  la  menzione   “vigna”,   abbiano   effettuato   la vinificazione delle uve e l'imbottigliamento del vino;

la vinificazione delle uve e l'invecchiamento  del  vino  siano stati svolti in recipienti separati e la menzione “vigna” seguita dal toponimo sia riportata nella denuncia delle uve, nei registri  e  nei documenti di accompagnamento;

la menzione “vigna”  seguita  dal  toponimo  sia  riportata  in caratteri di dimensione massima pari al 50% dei caratteri  usati  per la denominazione di origine controllata.

 

Articolo 8

confezionamento

 

Per l'immissione al  consumo  del  vino  rosso  “Casteggio”  sono ammessi soltanto i recipienti in  vetro  della  capacità di  litri: 0,375-0,750-1,500-3,000.

La chiusura di tali recipienti  deve  essere effettuata soltanto con tappo di sughero  monopezzo  della  lunghezza

minima di  mm  50.  La  sola  bottiglia  ammessa  e'  la  «bordolese» classica, con vetro di colore verde scuro.

 

Articolo 9

Legame con l’ambiente geografico

 

A) Informazioni sulla zona geografica

1. Fattori naturali rilevanti per il legame

L’area della DOC “Casteggio” si inserisce all’interno della più vasta area dell’Oltrepò Pavese.

L' Oltrepò Pavese occupa una fascia collinare appartenente all'Appennino disposto tra Piemonte ed Emilia Romagna. Tale zona collinare si affaccia a nord sulla pianura Padana, mentre verso sud è sormontata dai rilievi appenninici montani che la separano dal mar Ligure.

A segnarla sono solchi vallivi con prevalente orientamento da sud verso nord.

Limitata alla prima collina, l'area occupa una zona che interessa 7 comuni: Casteggio, Montebello della Battaglia, Torrazza Coste, Borgo Priolo, Calvignano, Corvino San Quirico e Oliva Gessi. Analisi paesaggistica

Sono compresi nell’area della DOC “Casteggio” quei terreni già inclusi nella DOC “Oltrepò Pavese”, sono quindi escluse le zone non vocate (pianura e fondovalle). Geograficamente l'area comprende la collina di San Biagio che sovrasta l'abitato di Casteggio ed i versanti dei rilievi collinari facenti capo ai comuni limitrofi e rivolti verso l'abitato stesso di Casteggio.

Le delimitazioni orografiche sono individuabili con la Pianura Padana a nord, lo spartiacque che attraversa l'abitato di Torrazza Coste ad ovest, le prime pendici del rilievo collinare Monte del Ronco di Borgo Priolo, il torrente Coppa e lo spartiacque verso l'abitato di Calvignano a sud e lo spartiacque che attraversa l'abitato di Corvino San Quirico ad est.

Dalla lettura della Carta geologica si possono individuare diverse aree principali.

Quella preponderante interessa i suoli nei comuni di Montebello della Battaglia, Torrazza Coste e buona parte del comune di Casteggio fino a Mairano. L'origine geologica di queste terre è continentale e risale al Pleistocene (Quaternario o Neozoico), definita come fluviale antico, con alluvioni ghiaiose, sabbiose e siltoso-argillose (alluvioni di terrazzi alti), fortemente alterate, con prodotti di alterazione di colore rossastro.

Ai lati meridionale ed orientale fanno cornice aree geologiche più antiche (Terziario o Cenozoico) di origine marina, risalenti:

al Miocene (Borgo Priolo, Calvignano e Oliva Gessi) comprendenti formazioni di Variano con marne argillose alternate a strati e banchi di sabbia e straterelli arenacei;

al Pliocene (Corvino S. Quirico) comprendenti le Formazioni di Corvino S. Quirico, Argille di Lugagnano, argille marnose, siltoso-sabbiose talvolta grigio-azzurre.

Peculiare la presenza di una ristretta area pedecollinare nel comune di Casteggio denominata "Formazione della Fontana di Annibale" situata proprio in corrispondenza della omonima risorgiva.

Tale formazione ha origine continentale, è risalente al Pliocene forse superiore (Terziario o Cenozoico) ed è formata da arenaria con strutture da concrezione, abbondante macrofauna, legni e strobili calcificati.

Dalla Carta dei Pedopaesaggi della Lombardia in scala 1:250.000 (Brenna, D'Alessio, Rasio, 2001) si deduce che la zona del "Casteggio" si estende principalmente sui seguenti tipi di pedopaesaggio:

Unità 62: bassa e media collina pavese; fitoclima: Fagetum e Castanetum – Temperature sup. 10° C

Piogge 700-800 mm/anno; morfologia e geomorfologia: zone collinari tra 100 e 600 m, a gradiente medio e drenaggio sub parallelo SE-NO, N-S e NE-SO – frequenti frane attive e grandi aree di frana stabilizzate; geologia: calcari, marne e arenarie calcaree prevalenti, con argille, conglomerati e gessi.

Unità 61: terrazzi antichi del margine appenninico; fitoclima: Castanetum – Temperature sup. 10° C

Piogge 750-800 mm/anno; morfologia e geomorfologia: terrazzi elevati sulla pianura e fondovalli olocenici terrazzati dei torrenti principali; geologia: sabbie limose, sabbie limoso ghiaiose e limi sabbiosi con ghiaia.

2. Fattori umani rilevanti per il legame

Di fondamentale rilievo sono i fattori umani legati al territorio di produzione, che per consolidata tradizione hanno contribuito ad ottenere i vini a Denominazione di Origine “Casteggio”.

Casteggio è l’antico Clastidium, castro romano ricordato per la sua importanza strategica e logistica e per essere stato teatro di vittoriose battaglie dei Romani sugli Insubri e sui Galli nel II secolo a.C.

Molti ritrovamenti di antichi e preziosi cimeli, nell’agro di Casteggio, attestano la notevole importanza del Borgo nel periodo repubblicano ed imperiale di Roma.

La coltivazione della vite nella zona collinare ha caratterizzato l’economia agricola da sempre. Testi del Columella e di Plinio il Vecchio descrivono la zona collinare come “coperta di ubertosissimi vigneti” ed a prova della ricchezza di tale zona testimoniano, come affermava Strabone nella sua Descrizione d’Italia, “le botti fatte di legno e più grosse delle case”.

Nel corso dei decenni la viticoltura ha mantenuto il ruolo di coltura principale del territorio, tanto che la tipologia di vino “Rosso” (da cui nasce il “Casteggio”) è stata inserita nella DOC “Oltrepò Pavese” sin dalla nascita, avvenuta con DPR del 6 agosto 1970.

L’incidenza dei fattori umani nel corso della storia è in particolare riferita alla puntuale definizione dei seguenti aspetti tecnico produttivi, che costituiscono parte integrante del presente disciplinare di produzione:

_ la base ampelografica dei vigneti: i vitigni idonei alla produzione dei vini in questione sono quelli tradizionalmente coltivati nell’area geografica considerata, Barbera in primis, quindi Croatina, Vespolina, Uva rara e Pinot nero;

_ le forme di allevamento, i sesti d’impianto ed i sistemi di potatura, anche per i nuovi impianti: sono quelli tradizionali e permettono la migliore e più razionale disposizione delle viti, sia per agevolare l’esecuzione delle operazioni colturali, sia per consentire la razionale gestione della chioma, permettendo di ottenere una adeguata e bene esposta superficie fogliare e di contenere le rese di produzione entro i limiti fissati dal presente disciplinare;

_ Le pratiche relative all’elaborazione dei vini sono quelle tradizionalmente consolidate in zona per la vinificazione in rosso di vini tranquilli anche nella tipologia riserva.

 

B) Informazioni sulla qualità o sulle caratteristiche del prodotto essenzialmente o esclusivamente

attribuibili all’ambiente geografico

La DOC “Casteggio” è riferita ad un’unica tipologia di vino, un rosso fermo, anche nella versione riserva.

Dal punto di vista analitico ed organolettico presenta caratteristiche molto evidenti e peculiari (descritte all’Articolo 6), che ne permettono una chiara individuazione e tipicizzazione legata all’ambiente geografico.

I vini “Casteggio” e “Casteggio Riserva” sono rosso rubino intenso, talvolta con riflessi violacei e tendenti al granato con l’invecchiamento; al naso sono intensi, eterei, delicati e complessi: si percepiscono fragranze di frutti rossi (marasca), viola e spezie; in bocca si presentano secchi, armonici e di grandi corpo e struttura, con una buona acidità e una medio-lunga persistenza.

 

C) Descrizione dell’interazione causale fra gli elementi di cui alla lettera A) e quelli di cui alla lettera B)

Le condizioni microambientali, geologiche e non ultime quelle storiche mettono il territorio dell’Oltrepò Pavese, tagliato a metà dal 45° parallelo, e in particolare quello dei comuni della DOC “Casteggio”, fra le zone del mondo più vocate per la produzione di vini rossi da invecchiamento.

L'area della DOC Casteggio è compresa all'interno della zona più vasta della DOC Oltrepò Pavese: ha un perimetro di 29.000 metri circa ed un fronte settentrionale di 6.900 metri di lunghezza rappresentato dal confine con la Via Emilia (SS lO).

L' altimetria è quella della prima collina, con un minimo di poco superiore agli 80 mslm ed un massimo di 431 m s.l.m. rappresentato dalla vetta del Monte Ceresino; la quasi totalità dei vigneti è situata al di sotto dei 300 m s.l.m.

La superficie complessiva a vigneto è pari a 1.778 ha.

I vitigni coinvolti in questa DOC sono quelli della tradizione viticolo-enologica dell'Oltrepò e precedentemente alla nascita della DOC “Casteggio”, rientravano nella tipologia "Oltrepò Pavese Rosso".

Sono però state modificate le percentuali dell'uvaggio per dare maggior spazio al vitigno Barbera in ossequio alla tradizione. Infatti, a differenza dell'Oltrepò orientale, la tendenza di questa zona era di mantenere più elevata la percentuale di Barbera rispetto agli altri vitigni.

L' area individuata e circoscritta come alveo della DOC "Casteggio" è sufficientemente compatta, omogenea e vocata per rappresentare una Denominazione d'Origine Controllata; in particolare denota la possibilità di sviluppare eccellenze nel caso di vini rossi tranquilli, anche da lungo invecchiamento.

L'area destinata alla DOC “Casteggio” interessa quelle terre a vocazione viticola che, storicamente gravitavano intorno al bacino di produzione, vinificazione e commercializzazione del mercato di Casteggio.

Se l’Oltrepò Pavese è da sempre un territorio di elezione per la viticoltura, il territorio di Casteggio è da sempre caratterizzato da una forte vocazione vitivinicola.

In particolare sotto il marchio Casteggio veniva storicamente prodotto ed imbottigliato un vino rosso fermo, originato da uve autoctone con prevalenza di Barbera, dalle spiccate caratteristiche di pregio e serbevolezza, espressione di un ambiente, di un territorio e di un assetto sociale capace di impiegare tale vino sia come motore economico che come traino commerciale.

La vocazione vitivinicola dell’area casteggiana trova radici nel contesto di un passo di Polibio (da: Le storie. III) il quale, trattando del territorio dei liguri accenna all’abbondanza del grano, dell’orzo e del vino che equipara, quanto a costo, all’orzo stesso.

La produzione del “Casteggiano” è sempre stata rinomata anche in epoche remote, tanto che il Giulietti così ne riferisce da documenti del 1523 relativi alla storia di Casteggio: “… ma anche il vino era assai pregiato, perché veniva tenuto in conto la buona coltivazione della vite. Casteggio inviava ogni anno al feudatario di Milano una bonza di 12 brente di vino!”.

E poi ancora Davide Zanardi nella Monografia Vitivinicola dell’Oltrepò Pavese: “Mairano, Monbrione, Castelfelice, Ginestrina, Frecciarossa, sono queste fra le località di Casteggio più degne di nota per l’ottima produzione di vini fini. Dalle uve maturate nella zona di Mairano si ottengono ottimi rossi, con 12,50 – 13 % di alcol e acidità totale leggermente alta alla vendemmia, che però scende rapidamente nell’inverno fino a 6-6,5%.

L’estratto secco è sui 23/24%. Il colore è rosso rubino, in generale molto intenso. Dalle uve della zona Mombrione, si ottengono vini pure simili a quelli di Mairano, ma con gradazione alcolica leggermente inferiore; nell’invecchiamento acquistano un profumo molto delicato ed un sapore del tutto particolare. Dalle uve della zona Castelfelice si ottengono vini simili a quelli di Mairano, ma con gusto più armonico e pastoso e risultano più pieni in bocca.

Dalle uve maturate nella zona di Ginestrina e Frecciarossa, si ottengono vini altamente pregiati e adattissimi all’invecchiamento”.

La tesi che vuole la Vitis vinifera di provenienza asiatica trova un avversario in Carlo Giulietti, che nel 1876, in una sua comunicazione alla redazione del giornale del “Comizio Agrario Vogherese”, parla del ritrovamento di una vite fossile nei dintorni di Casteggio.

Prove tangibili dell’attività vitivinicola in zona durante l’occupazione romana dell’agro Casteggiano nel 222 a.C., si rilevano grazie ai reperti rinvenuti nel 1872 in occasione degli scavi per la fondazione della casa Cerutti di viale Giulietti, tra i quali un’anfora ancora intera piuttosto grossa, alla quale ne viene affiancata una media, ad un solo manico, di forma molto slanciata, che venne ritrovata… scavando nella cantina di casa Sciaccaluga nell’attuale piazza Dante (da: Notizie Storiche. II. Avanzi di antichità o notizie archeologiche e relative deduzioni storiche, Voghera, 1893). Quale tipologia di vino abbiano contenuto quelle anfore non ci è dato sapere.

Solo con il Medioevo alto e con l’emanazione nel 1270 al contado pavese, comprendente Casteggio, degli Statuti Comunali, rileviamo in essi il “vinum nostranum Lomelline et Ultrapadum”, ricavato da “vites nostranæ” e “vites vermiliæ” (da: L. De Angelis – Cappabianca, I beni del Monasterodi S.

Maria Teodote di Pavia nel territorio circostante Voghera e Zenevredo (Pavia) dalle origini al 1346.

Ricerche di storia agraria Medievale, Alessandria 1982).

Un quadro generale sulle produzioni che si affermano nel casteggiano, si rileva nel 1896 dall’opera: “Notizie e studi sui vini ed uve d’Italia”, a cura del Ministero dell’Agricoltura.

“Sulle amenissime colline di Casteggio, trovansi i vitigni migliori fra le uve rosse: Barbera, Croatina, Bonarda, Dolcetto, Lambrusca, Grignolino, Neretto e Ughetta; fra le uve bianche: Malvasia, Trebbiano, Cortese e Moscato. I vini in genere sono discreti, morbidi e pastosi, si esitano e si consumano entro l’anno” (da: D. Zanardi.

Monografia vitivinicola dell’Oltrepò Pavese, Milano, 1958).

Casteggio nell’immediato dopoguerra è un paese prettamente vitivinicolo. La CSC, Cantina Sociale omonima, e produttori blasonati quali Angelo Ballabio, Fernando Bussolera, Giorgio Odero, Giulio Venco, Giuseppe Cavazzana, Giovanni Bianchi e altri, sono a rappresentanza di una zona “Casteggiana” importante e blasonata, riconosciuta a livello nazionale.

Angelo Ballabio e il figlio Giovanni, titolari dell’azienda omonima, denominano il loro vino rosso da invecchiamento più importante “Clastidium”. L’etichetta recita: Clastidium. Vino rosso riserva.

Grande peso enologico ha poi la Cantina Sociale di Casteggio, fondata nel 1907 per vinificare e commercializzare autonomamente la produzione dei soci. In quei tempi Barbera e Croatina sono la base importante per il vino rosso. Nell’archivio della Cantina sono state trovate etichette che dimostrano come il vino rosso in quei tempi venisse chiamato Casteggio.

Importante anche un riconoscimento dal “Concorso Enologico Italia Settentrionale” rilasciato ad Acqui nel 1954, dove si attesta una medaglia di bronzo, alla Cantina Sociale di Casteggio per il vino “Casteggio” millesimo 1952, quindi invecchiato.

Nello stesso periodo, a valorizzare Casteggio, quale polo produttivo catalizzatore di una zona più vasta, partecipano anche i comuni di Montebello della Battaglia, Torrazza Coste, Borgo Priolo, Calvignano, Corvino San Quirico e Oliva Gessi. Aziende di questi comuni come Costaiola,

Mazzolino e Marzuola, ancora prima della nascita della DOC, scrivono in etichetta “Casteggio”.

Casteggio è da oltre un secolo il vero centro di produzione di un vino rosso ottenuto da vitigni di Barbera in percentuale maggiore, quindi Croatina e Uva rara.

I vini prodotti nella zona denominata “Casteggio”, presentano grandi similitudini in termini morfologia del terreno e microclima, ma anche storia, tradizione e mentalità produttiva, percentuali d’uso dei vitigni, sistemi di allevamento e rese per ettaro, nonché stile di vinificazione, invecchiamento e relativo affinamento.

Nel 2010, con decreto ministeriale del 3 agosto, tutto questo è stato tradotto in un disciplinare di produzione: grazie alla sua indiscussa tradizione storica, la DOC “Casteggio” è stata svincolata dalla DOC “Oltrepò Pavese”, all’interno della quale si trovava come di tipologia “Rosso”, sin dalla nascita avvenuta nel 1970.

 

Articolo 10

Riferimenti alla struttura di controllo

Valoritalia S.r.l.

via Piave, 24

00187 Roma

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fax: 0445 313080

e-mail: info@valoritalia.it

Valoritalia S.r.l. è l’Organismo di controllo autorizzato dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 61/2010 (Allegato 1), che effettua la verifica annuale del rispetto delle disposizioni del presente disciplinare, conformemente all’articolo 25, par. 1, 1° capoverso, lettera a) e c), ed all’articolo 26 del Reg. CE n. 607/2009, per i prodotti beneficianti della DOP, mediante una metodologia dei controlli sistematica nell’arco dell’intera filiera produttiva (viticoltura, elaborazione, confezionamento), conformemente al citato articolo 25, par. 1, 2° capoverso, lettera c).

In particolare, tale verifica è espletata nel rispetto di un predeterminato piano dei controlli, approvato dal Ministero, conforme al modello approvato con il DM 2 novembre 2010, pubblicato in GU n. 271 del 19-11-2010 (Allegato 2).

 

N.B. fa fede solo il testo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

 

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Riferimenti alla struttura di controllo

 

Nome e Indirizzo:

VALORITALIA S.r.l.

Via Piave, 24

00187 ROMA

La VALORITALIA è lOrganismo di controllo autorizzato dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 61/2010 (Allegato 1) che effettua la verifica annuale del rispetto delle disposizioni del presente disciplinare, conformemente allarticolo 25, par. 1, 1° capoverso, lettera a) e c), ed allarticolo 26 del Reg. CE n. 607/2009, per i prodotti beneficianti della DOP, mediante una metodologia dei controlli sistematica nellarco dellintera filiera produttiva (viticoltura, elaborazione, confezionamento), conformemente al citato articolo 25, par. 1, 2° capoverso, lettera c).

In particolare, tale verifica è espletata nel rispetto di un predeterminato piano dei controlli, approvato dal Ministero, conforme al modello approvato con il DM 2 novembre 2010, pubblicato in GU n. 271 del 19- 11-2010 (Allegato 2).

 

N.B. fa fede solo il testo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

SAN COLOMBANO AL LAMBRO

SAN COLOMBANO

D.O.C.

Decreto 13 novembre 2002

(fonte GURI)

Modifica Decreto 30 novembre 2011

(fonte Mipaaf)

 

Articolo 1

Denominazione e vini

 

La denominazione di origine controllata "San Colombano al Lambro" o "San Colombano" è riservata ai vini che rispondono alle condizioni e ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione per le seguenti tipologie:

 

"San Colombano al Lambro” o “San Colombano” Rosso (anche nella tipologia frizzante)

"San Colombano al Lambro” o “San Colombano” Bianco (anche nella tipologia frizzante).

 

Articolo 2

Base ampelografica

 

I vini a denominazione di origine controllata "San Colombano al Lambro" o "San Colombano", devono essere ottenuti dalle uve prodotte dai vigneti aventi, in ambito aziendale, la seguente composizione ampelografica:

 

"San Colombano al Lambro" o "San Colombano" Rosso:

Croatina: 30-50%;

Barbera: 25-50%;

Uva rara: fino ad un massimo del 15%;

possono inoltre concorrere, alla produzione di detto vino, anche le uve a bacca nera provenienti da uve di vitigni idonei alla coltivazione nella Regione Lombardia, presenti nei vigneti, da sole o congiuntamente, fino ad un massimo complessivo del 15% sul totale.

 

"San Colombano al Lambro" o "San Colombano" Bianco:

Chardonnay: minimo 50%;

Pinot nero: minimo 10%;

possono inoltre concorrere alla produzione di detto vino anche le uve a bacca bianca provenienti da uve di vitigni, idonei alla coltivazione nella Regione Lombardia, presenti nei vigneti, da sole o congiuntamente, fino ad un massimo complessivo del 15% sul totale, con esclusione dei vitigni aromatici.

 

Articolo 3

Zona di produzione delle uve

 

Le uve destinate alla produzione dei vini della denominazione di origine controllata "San Colombano al Lambro" o "San Colombano", devono essere prodotte esclusivamente nella zona collinare che comprende parte del territori amministrativi dei comuni di:

San Colombano al Lambro

in provincia di Milano,

Graffignana e Sant'Angelo Lodigiano

in provincia di Lodi,

Miradolo Terme e Inverno Monteleone

in provincia di Pavia.

 

Tale zona è così delimitata: partendo dal Km 16 della strada provinciale che esce da San Colombano al Lambro, il limite prosegue lungo questa in direzione sud fino ad incrociare in prossimità di Mostiola la strada statale n. 234 Casalpusterlengo - Pavia al Km 27.

Segue la strada statale verso ovest (Pavia) ed in prossimità del Km 23.900 prosegue per la strada che costeggia la strada statale in direzione di Pavia, dopo i primi 400 metri, piega quindi verso nord e poi verso nord-ovest fino a raggiungere il centro abitato di Miradolo.

Lo attraversa e sempre in direzione nord-ovest, prosegue per la strada che raggiunge Monteleone, attraversa tale centro abitato e, comprendendo la località di Palazzola di Monteleone, attraversa tale centro abitato e, sul proseguimento, 150 m dopo il centro di Invernino, segue la strada interpoderale Perduta in direzione est e poi nord, fino ad incrociare la strada che da Monteleone conduce a Graffignana.

Continua in direzione est su quest'ultima fino ad incrociare in prossimità della Cascina da Zerbi, la roggia Colombara. Prosegue lungo questa verso sud-est fino ad incontrare la strada Graffignana - San Colombano al Lambro in prossimità del Km 37.500.

Prosegue lungo questa verso San Colombano al Lambro, attraversa il centro abitato per raggiungere in uscita il Km 16 della strada provinciale da dove è iniziata la delimitazione.

 

Articolo 4

Norme per la viticoltura

 

Condizioni naturali dell'ambiente

Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti destinati alla produzione dei vini a denominazione di origine controllata "San Colombano al Lambro" o "San Colombano" devono essere quelle tradizionali della zona di produzione e, comunque, atte a conferire alle uve, al mosto ed ai vini le specifiche caratteristiche di qualità.

Sono pertanto da considerarsi idonei ai fini dell'iscrizione allo schedario viticolo, unicamente i vigneti collinari e pedecollinari ben esposti con equilibrata proporzione di sabbia, limo e argilla, mentre sono da escludere in particolare i fondi valle ed i terreni in pianura.

Densità d'impianto.

Fermo restando i vigneti esistenti, i nuovi impianti e i reimpianti dovranno essere composti da un numero di ceppi per ettaro non inferiore a 2.500.

I vigneti di nuovo impianto o di reimpianto per la produzione della denominazione d'origine controllata "San Colombano al Lambro" o "San Colombano" recante la menzione di "vigna" seguita dal toponimo, dovranno avere un numero di ceppi per ettaro non inferiore a 3.300.

Forme di allevamento e sesti d'impianto.

I sesti d'impianto, le forme di allevamento ed i sistemi di potatura devono essere quelli generalmente usati nella zona o comunque atti a non modificare le caratteristiche dei vini: spalliera semplice o doppia, pergola a tetto inclinato, Casarsa GDC.

Per i vigneti di nuovo impianto o di reimpianto per la produzione della denominazione d'origine controllata "San Colombano al Lambro" o "San Colombano", recante la menzione "vigna" seguita dal toponimo, le forme di allevamento consentite sono: spalliera semplice o doppia, cordone speronato basso e Casarsa.

I sesti d'impianto sono adeguati alle forme di allevamento.

La regione Lombardia può consentire diverse forme di allevamento qualora siano tali da migliorare la gestione dei vigneti senza determinare effetti negativi sulle caratteristiche delle uve.

Sistemi di potatura.

La potatura, in relazione ai suddetti sistemi di allevamento della vite, deve essere corta.

Irrigazione e forzatura.

E' vietata ogni tipo di forzatura.

E' ammessa l'irrigazione di soccorso, a condizione che sia effettuata in modo da non alterare la tipicità del vino.

Resa ad ettaro e titolo alcolometrico volumico minimo naturale.

La resa massima di uva a ettaro in coltura specializzata e il titolo alcolometrico volumico naturale minimo delle uve destinate alla produzione dei vini a denominazione di origine controllata "San Colombano al Lambro" o "San Colombano" sono:

 

"San Colombano al Lambro" o "San Colombano" Rosso: 11,00 t/ha, 10,50% vol.;

"San Colombano al Lambro" o "San Colombano" Bianco: 11,00 t/ha, 10,50% vol.

 

La resa massima di uva a ettaro in coltura specializzata e il titolo alcolometrico volumico naturale minimo delle uve destinate alla produzione dei vini a denominazione di origine controllata "San Colombano al Lambro" o "San Colombano" recante la menzione "vigna" seguita dal toponimo, sono:

 

"San Colombano al Lambro" o "San Colombano" Rosso: 11,00 t/ha, 11,50% vol.;

"San Colombano al Lambro" o "San Colombano" Rosso riserva: 10,00 t/ha, 12,00% vol.;

"San Colombano al Lambro" o "San Colombano" Bianco: 11,00 t/ha, 11,00% vol.

 

Anche in annate favorevoli, la produzione di uva per ettaro dovrà essere riportata, nei limiti sopra indicati, purché la produzione globale di uva del vigneto non superi del 20% le rese prestabilite.

La Regione Lombardia, con proprio decreto, su proposta del Consorzio di tutela, sentite le organizzazioni di categoria interessate, ogni anno prima della vendemmia può, in relazione all'andamento climatico ed alle altre condizioni di coltivazione, stabilire un limite massimo di produzione inferiore a quello fissato, dandone immediata comunicazione all’organismo di controllo.

 

Articolo 5

Norme per la vinificazione

 

Zona di vinificazione e imbottigliamento

Le operazioni di vinificazione, elaborazione e invecchiamento devono essere effettuate nell'ambito dei territori amministrativi dei comuni di San Colombano al Lambro in provincia di Milano, di Graffignana e Sant'Angelo Lodigiano in provincia di Lodi, di Miradolo Terme, Inverno e Monteleone e Chignolo Po in provincia di Pavia.

Le operazioni per la elaborazione dei vini frizzanti sono autorizzate anche nell'ambito delle province di Piacenza e Pavia.

Tuttavia è consentito che suddette operazioni di vinificazione, elaborazione e invecchiamento siano effettuate in cantine situate fuori dalla zona di produzione delle uve - ma a non più di 3 Km in linea d'aria dal confine della stessa e che siano pertinenti a conduttori di vigneti ammessi alla produzione dei vini di cui all'art. 1.

La deroga, come sopra prevista, è concessa dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali sentita la Regione interessata e comunicata all'Ispettorato repressione frodi e alle Camere di commercio competenti per territorio.

Arricchimento e colmatura

E' consentito l'arricchimento dei mosti e dei vini di cui all'art. 1, nei limiti stabiliti dalle norme comunitarie e nazionali.

E' ammessa la colmatura dei vini di cui all'art. 1 in corso di invecchiamento obbligatorio, con vini aventi diritto alla stessa denominazione di origine, di uguale colore e varietà di vite, ma non soggetti ad invecchiamento obbligatorio, per non oltre il 5% per la complessiva durata dell'invecchiamento.

Elaborazione

Nella vinificazione sono ammesse le pratiche enologiche tradizionali, leali e costanti, pur tenendo opportunamente conto degli adeguamenti tecnologici e della ricerca atte a conferire ai vini derivati le peculiari caratteristiche.

Resa uva-vino e vino-ettaro.

La resa massima dell'uva in vino, compreso l'eventuale arricchimento, e la produzione massima di vino per ettaro, sono:

 

"San Colombano al Lambro" o "San Colombano" Rosso: 70%, 77,00 hl/ha;

"San Colombano al Lambro" o "San Colombano" Bianco: 70%, 77,00 hl/ha.

 

La resa massima dell'uva in vino e la produzione massima di vino per ettaro delle uve destinate alla produzione dei vini a denominazione di origine controllata "San Colombano al Lambro" o "San Colombano" recante la menzione "vigna" seguita dal toponimo, sono:

 

"San Colombano al Lambro" o "San Colombano" Rosso: 70%, 77,00 hl/ha;

"San Colombano al Lambro" o "San Colombano" Rosso riserva: 70%, 70,00 hl/ha;

"San Colombano al Lambro" o "San Colombano" Bianco: 70%, 77,00 hl/ha.

 

La resa massima dell'uva in vino finito, pronto per il consumo, non deve essere superiore al 70%.

Qualora superi detto limite, ma non il 75%, l'eccedenza non ha diritto alla denominazione di origine controllata.

Oltre il 75% decade per tutto il prodotto il diritto alla denominazione di origine controllata.

Invecchiamento, immissione al consumo.

Il vino a denominazione di origine controllata "San Colombano al Lambro" o "San Colombano" Bianco

recante la menzione "vigna" seguita da toponimo, prodotto nel rispetto del presente disciplinare, può essere affinato anche in legno e immesso al consumo dopo avere maturato almeno

tre mesi di affinamento in bottiglia a decorrere dalla data di imbottigliamento.

Il vino a denominazione di origine controllata "San Colombano al Lambro" o "San Colombano" Rosso recante la menzione "vigna" seguita da toponimo, prodotto nel rispetto del presente disciplinare, può essere affinato anche in legno e immesso al consumo

a decorrere dal 1° settembre dell'anno successivo alla vendemmia

avendo maturato almeno tre mesi di affinamento in bottiglia.

Il vino a denominazione di origine controllata "San Colombano al Lambro" o "San Colombano" rosso recante la menzione "vigna" seguita da toponimo, prodotto nel rispetto del presente disciplinare, se immesso al consumo dopo un periodo di invecchiamento obbligatorio non inferiore ai

24 mesi,

a partire dal 1° novembre dell'anno di produzione delle uve,

di cui almeno 12 in recipienti di legno,

può fregiarsi del termine "Riserva".

 

Articolo 6

Caratteristiche al consumo

 

I vini a denominazione d'origine controllata "S. Colombano al Lambro" o "San Colombano" all'atto dell'immissione al consumo devono corrispondere alle seguenti caratteristiche:

 

"San Colombano al Lambro" o "San Colombano" Rosso:

colore: rosso rubino di varia intensità;

profumo: vinoso, caratteristico;

sapore: asciutto o abboccato, sapido, fresco, giovane, tranquillo;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.;

acidità totale minima: 5,00 g/l;

estratto non riduttore minimo: 20,00 g/l.

 

"San Colombano al Lambro" o "San Colombano" Rosso frizzante:

spuma: vivace, evanescente;

colore: rosso rubino di varia intensità;

profumo: vinoso, caratteristico;

sapore: asciutto o abboccato, sapido, fresco, giovane, vivace;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.;

acidità totale minima: 5,00 g/l;

estratto non riduttore minimo: 20,00 g/l.

 

"San Colombano al Lambro" o "San Colombano" Bianco:

colore: paglierino o paglierino piu' o meno intenso;

profumo: delicato, caratteristico;

sapore: armonico, talvolta abboccato, fresco, giovane, tranquillo;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.;

acidità totale minima: 5,00 g/l;

estratto non riduttore minimo: 15,00 g/l.

 

"San Colombano al Lambro" o "San Colombano" Bianco frizzante:

spuma: vivace, evanescente;

colore: paglierino o paglierino piu' o meno intenso;

profumo: delicato, caratteristico;

sapore: armonico, talvolta abboccato, fresco, giovane, vivace;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.;

acidità totale minima: 5,00 g/l;

estratto non riduttore minimo: 15,00 g/l.

 

I vini a denominazione di origine controllata "S. Colombano al Lambro" o "San Colombano” con la menzione "vigna" seguita dal toponimo, all'atto dell'immissione al consumo, devono rispondere alle seguenti caratteristiche:

 

"San Colombano al Lambro" o "San Colombano" Rosso:

colore: rosso rubino intenso;

profumo: vinoso, caratteristico;

sapore: sapido, tranquillo, fine, di corpo, secco;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 22,00 g/l.

 

"San Colombano al Lambro" o "San Colombano" Rosso Riserva:

colore: rosso rubino intenso con riflessi granati;

profumo: vinoso, caratteristico, gradevole;

sapore: sapido, tranquillo, armonico, di corpo, secco;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,50% vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 22,00 g/l.

 

"San Colombano al Lambro" o "San Colombano" Bianco:

colore: paglierino;

profumo: delicato, caratteristico;

sapore: secco, armonico, fresco, giovane, tranquillo o vivace;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol.;

acidità totale minima: 5,00 g/l;

estratto non riduttore minimo: 15,00 g/l.

 

Per i vini a denominazione di origine controllata "S. Colombano al Lambro" o "San Colombano" con la menzione "vigna" seguita dal toponimo, è consentita la conservazione in recipienti di legno; il sapore di tali vini può rilevare lieve sentore (o percezione) di legno.

E' facoltà del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali modificare, con proprio decreto, i limiti di acidità totale e dell'estratto non riduttore sopra indicati.

 

Articolo 7

Designazione e presentazione

 

Qualificazioni

Alla denominazione di origine controllata di cui all'art. 1 è vietata l'aggiunta di qualsiasi qualificazione diversa da quelle previste nel presente disciplinare, ivi compresi gli aggettivi "extra", "fine", "scelto", "selezionato" e similari.

Nella designazione dei vini a denominazione di origine controllata “San Colombano al Lambro" o "San Colombano” di cui all’art.1 può essere utilizzata la menzione “vigna” a condizione che sia seguita dal relativo toponimo o nome tradizionale,

che la vinificazione e la conservazione del vino avvengano in recipienti separati

e che tale menzione venga riportata sia nella denuncia delle uve, sia nei registri e nei documenti di accompagnamento e che figuri nell’apposito elenco regionale ai sensi dell’art. 6 comma 8, del decreto legislativo n. 61/2010.

Annata

Nella presentazione e designazione dei vini deve essere riportata l'indicazione dell'annata della vendemmia da cui il vino deriva.

 

Articolo 8

Confezionamento Volumi nominali

 

I vini di cui all'art. 1 recanti la menzione "vigna" seguita dal toponimo, devono essere posti in vendita in recipienti di capacità fino ai cinque litri.

Tappatura e recipienti.

Tutti i vini della denominazione di origine controllata "San Colombano al Lambro" o, "San Colombano" se confezionati in recipienti inferiori a cinque litri, devono essere immessi al consumo solo in bottiglie di vetro e con tappo raso bocca.

L'uso del tappo di sughero raso bocca è obbligatorio per i vini recanti la menzione "vigna".

 

Articolo 9

Legame con l’ambiente geografico

 

A) Informazioni sulla zona geografica.

1. Fattori naturali rilevanti per il legame

La zona geografica delimitata ricade nella parte centro meridionale della Lombardia e comprende un territorio collinare nel mezzo della Pianura Padana, a sud di Milano, tra la Pianura Lodigiana e la bassa Pavese.

Lamministrazione spetta a tre province: Pavia, la parte sud-ovest, con i comuni di Miradolo Terme e Inverno Monteleone; Lodi, la parte nord-ovest, con i comuni di Graffignana e SantAngelo Lodigiano; Milano, la parte ad est con San Colombano al Lambro.

La collina si alza dalla pianura circostante di circa 75 metri. Ha unestensione da est ad ovest di 7 km per una larghezza di circa 2 km.

Lorigine geologica della collina di San Colombano è stata studiata a lungo e oggi sembra appurato che si tratta di unappendice degli appennini il cui cordone di collegamento è stato tagliato dal fiume Po.

Altre ipotesi sostengono che la collina sia emersa in unepoca successiva alla miocenica, per la natura corallifera, giustificando i ritrovamenti di coralli e conchiglie.

Il versante sud della collina è composto da alcune vallate allungate verso il Po proprio a causa delle dirette erosioni, mentre la parte a nord, verso il Lambro, il profilo è più uniforme.

Dal punto di vista del pedopaesaggio i sottosistemi rappresentati sono per oltre il 90% della superficie riconducibili a terrazzi antichi rilevati sulla pianura costituiti da materiali fluvioglaciali grossolani; terrazzi ribassati rispetto ai primi; una porzione meridionale di pianura costituita da sedimenti fluviali fini tra Miradolo Terme e Monteleone; parte di pianura alluvionale inondabile, attraversata dal Cavo Nerone, sostituita da sedimenti recenti od attuali in zona di Miradolo Terme.

Laltitudine dei terreni coltivati a vite è compresa tra 40 e 120 m s.l.m. con pendenza variabile dal 1al 30%.

Il clima dellarea è tipico della pianura Padana con una piovosità media annuale di circa 700-800 mm, con un minimo di precipitazioni nella stagione estiva ed invernale, ed il massimo collocato in primavera ed autunno.

2. Fattori umani rilevanti per il legame.

La presenza della viticoltura sulla collina di San Colombano al Lambro risale allepoca romana, spiegando così i numerosi ritrovamenti archeologici che rappresentano lindice evidente della presenza di numerosi micro-insediamenti sparsi su tutta larea, ma soprattutto in prossimità delle pendici del colle volte ad oriente.

Nelle epoche successive questa vocazione venne perfezionata dal santo irlandese, San Colombano.

In particolare lo sviluppo vero della viticoltura sulle colline risale dal 1394, quando i Visconti di Pavia permettevano la stipulazione di contratti agrari non troppo onerosi per gli agricoltori.

È stata riconosciuto come DOC nel 1984.

Dal 1987 la tutela e la valorizzazione della produzione e commercializzazione del vino è stata potenziata dalla costituzione del Consorzio volontario Vini Doc San Colombano, di cui fanno parte 17 importanti aziende vitivinicole dellarea.

Limportanza dellimpegno umano dedicato alla zona di produzione ha definito i seguenti aspetti tecnico produttivi, che sono parte del vigente disciplinare di produzione:

base ampelografica dei vigneti:

i vitigni idonei alla produzione dei vini in questione, sono quelli tradizionalmente coltivati nell’area geografica considerata: Croatina, Uva Rara, Barbera, Malvasia, Verdea, Pinot Nero, Chardonnay.

le forme di allevamento, i sesti di impianto e i sistemi di potatura:

che, anche per i nuovi impianti sono quelli tradizionali e tali da perseguire la migliore e razionale disposizione sulla superficie delle viti, sia per agevolare lesecuzione delle operazioni colturali, sia per consentire la razionale gestione della chioma, permettendo di ottenere una adeguata superficie fogliare ben esposta e di contenere le rese di

produzione di vino entro i limiti fissati dal disciplinare.

le pratiche relative all’elaborazione dei vini:

che sono quelle tradizionalmente consolidate in zona per la vinificazione in rosso dei vini tranquilli, adeguatamente differenziate per la tipologia di base e le tipologie riserva. Riferite a questultime lelaborazione comporta determinati periodi obbligatori di invecchiamento ed affinamento in bottiglia.

 

B) Informazioni sulla qualità o sulle caratteristiche del prodotto essenzialmente o esclusivamente

attribuiti all’ambiente geografico

La DOC “San Colombano al Lambro” o “San Colombano” è riferita a 3 tipologie di vino (bianco; rosso “base” e “riserva”) che dal punto di vista analitico ed organolettico presentano caratteristiche già descritte allarticolo 6 del disciplinare, che ne permettono una chiara individuazione legata allambiente geografico.

In particolare i vini rossi hanno un colore ricco, con riflessi violacei se molto giovane , porpora o rubino se è di media evoluzione. Il suo profumo è intenso e composito, con distinti sentori di mora, marasca e mandorle. Il sapore è secco e molto sapido, pieno e vigoroso, con un fondo ammandorlato.

È un vino di buona struttura, vinoso, armonico, caldo e profumato.

I vini bianchi hanno generalmente un colore giallo paglierino leggermente scarico, con riflessi verdognoli, brillante e tendente al cristallino. Il profumo è abbastanza intenso e persistente, floreale su fondo fragrante. È un vino adatto al medio affinamento, ampio, morbido e strutturato.

 

C) Descrizione dell’interazione causale fra gli elementi di cui alla lettera a) e quelli di cui alla lettera b)

Lorografia collinare dellareale di produzione e le varie esposizioni da sud-est a sud-ovest, concorrono a determinare un ambiente luminoso, che insieme alle caratteristiche pedologiche rende la zona particolarmente vocata per la coltivazione dei vigneti del “San Colombano al Lambro”.

Da tale area sono esclusi i terreni ubicati nelle zone di fondovalle o mal esposti alla radiazione solare o comunque

non adatti a una viticoltura di qualità.

La tessitura dei terreni contribuiscono in maniera determinante allottenimento delle peculiari caratteristiche fisico, chimiche e strutturali del “San Colombano al Lambro”.

In particolare i terreni allinterno della zona DOP di San Colombano al Lambro hanno diverse conformazioni, in base alla esposizione e allorigine della collina con le sue numerose variabili. In genere si hanno suoli da moderatamente profondi a profondi, con tessiture da fini a moderatamente grossolane con presenze scarse di scheletro in superficie. La reazione dei suoli cambia molto facilmente lungo la pendenza della collina, passando da alcalina a sub-acida, con contenuti di calcare attivo medi e CSC medie o elevate. Generalmente si trovano capacità drenanti discrete grazie alla presenza di scheletro in profondità.

Le altitudini variano da 45 a 120 m s.l.m. con pendenze che oscillano dall1 al 30%.

Queste ultime sono più elevate nella zona della collina esposta a sud, andando a diminuire seguendo la collina a ovest, verso Miradolo Terme e Inverno Monteleone con tratti sempre più pianeggianti.

Il clima della zona è tipico della pianura padana ed è influenzato dalla vicinanza del fiume Po, il quale rende la stagione estiva calda con contenuti di umidità relativamente elevati, ma con forti escursioni termiche tra il giorno e la notte in grado di ottenere un microclima ottimale per la produzione di uva.

Queste escursioni si accentuano nelle stagioni primaverili ed autunnali in concomitanza del massimo di precipitazione. Allinterno della collina si formano così delle zone che abbinate allesposizione e alle caratteristiche pedologiche creano delle situazioni particolarmente vocate alla coltivazione della vite.

La diffusione della viticoltura nella zona di San Colombano risale allepoca del Sacro Romano Impero Romano, dimostrata da un documento del 918 d.c. in cui limperatore Corrado I menziona la zona vitivinicola.

È da sottolineare laddensarsi di ritrovamenti archeologici che rappresentano lindice evidente della presenza di numerosi micro insediamenti sparsi su tutta larea, ma soprattutto in prossimità delle pendici del colle rivolte ad oriente.

Alcune ricerche evidenziano che i tanti insediamenti erano agevolati dalla comunicazione diretta e abbastanza rapida da Milano capitale: oltre alla autostrada fluviale rappresentata dal Lambro, vi era una via terrestre denominata il sentiero per Milano, collegata alla importante Ticinum-Placentia.

Nelle epoche successive tale vocazione venne potenziata, perfezionata e arricchita, a partire dal medioevo da San Colombano, che recuperò la zona in decadenza a seguito del progressivo crollo dellImpero Romano.

Nelletà Carolingia il ripopolamento e il riutilizzo delle zone agricole venne infatti promosso dai monasteri di San Colombano di Bobbio e di Santa Cristina di Corteolona, permettendo il commercio con i mercati di Milano, Pavia e Lodi. Negli anni successivi vennero potenziate queste vie di comunicazione portando la viticoltura al secondo posto subito dopo i cereali.

Significativo il fatto che gli affittuari dovevano versare allamministrazione del monastero un terzo del raccolto in cereali, ma la metà del prodotto in vino, che a sua volta veniva venduto ai commercianti.

Il provvedimento che riguarda in modo diretto lintensificazione della coltura del Colle è il Privilegio del 19 novembre 1371 di Gian Galeazzo II che instaura una vera colonizzazione per bonificare ed abitare queste terre. Al tempo dei Visconti i poderi distribuiti sul colle dovevano essere numerosi e le vigne erano beni riservati al Duca, che li affittò a terzi. Alcune terre erano state poi donate alla Certosa di Pavia, mentre una parte erano in proprietà a privati cittadini.

Nel 1396 Gian Galeazzo Visconti fondò la Certosa di Pavia includendo anche 1290 ettari della zona Banina.

I contratti agrari che seguirono, venivano attuati con canoni decisamente contenuti favorendo

Linsediamento di nuove comunità. Da un documento risulta che in 1729 pertiche a vigna nel 1437 crescevano 22579 ceppi, di cui poco più della metà in vigneto specializzato e poco meno della metà in filari, intercalati a strisce a prato o a seminativo.

Più di due terzi di questi filari era costituito da viti maritate.

È intuibile che nelle aree più adatte alla coltivazione dei vigneti più pregiati fossero inseriti i vigneti specializzati. Nei documenti relativi alla consegna agli affittuari delle terre da coltivare risultano elencati anche strumenti enologici: torchi, tini, bigonce, botti, ecc. la tipologia dei vitigni cui sopra abbiamo fatto riferimento è ben evidenziata dal Bacci nel suo monumentale trattato del 1595, in sette libri.

Egli, descrivendo vitigni e vini del territorio a sud di Milano, dopo un riferimento puramente geografico a Lodi, in sostanza focalizza solo la vitivinicoltura di San Colombano.

Allinizio del „600, la viticoltura era ben consolidata e da unindagine risultava che 8/10 del territorio erano vitati e che la produzione annua media di vino era di circa 20000 hl.

"I Colli di San Colombano sono amenissimi. Situati in una grandissima pianura e affatto disgiunti da altri luoghi eminenti, ci presentano queste alture da ogni parte vedute, brillanti e graziose".

Con queste parole il conte milanese Carlo Verri descriveva la realtà di San Colombano sulla quale si sofferma lungamente nei suoi "discorsi intorno al vino e alla vite" (1824).

Una realtà che non riguardava soltanto le bellezze paesaggistiche ma, soprattutto, la qualità dell'uva e del vino prodotti. Nei discorsi del conte Verri intorno al vino e alla vite, viene descritta la coltivazione in collina:

" Sui colli di San Colombano si contano venti e più specie o varietà d'uve. Queste uve generalmente parlando, abbondano di sostanza zuccherina e scarseggiano di materia vegeto-animale.….

E' ammirabile l'arte con la quale si forza questi colli la vite a dare maggiore prodotto.

Con gli ingrassi, coi diversi lavori della terra, si cerca di porgere alla vite il maggiore nutrimento onde averne il maggiore raccolto possibile".

Un risultato raggiunto grazie all'abilità e capacità dei vignaioli locali per i quali la coltura della vite, sempre secondo Verri, aveva raggiunto "l'apice della perfezione".

I Cenni statistici della Provincia di Lodi e Crema per il 1833 conservati allArchivio di Stato di Milano riportano che la Collina di San Colombano veniva denominata “ronco” perché la maggior parte del terreno agrario era dedicato a

terrazzi per la coltivazione della vite e che i suoi vini erano conosciuti in tutta la Lombardia e negli Stati limitrofi.

Le principali uve coltivate erano la “vite dalluva doro”, nativa di San Colombano, la Moradella e la Croatina.

Dai dati del Curti Pasini del 1938, risulta che la produzione di uva è in continuo aumento; il territorio di San Colombano è di 1511 ettari, di cui 119 ettari occupati da fabbricati, acque, strade e sterili; 820 ettari sono coperti da vigneto specializzato, che dà una media di 127 quintali per ettaro, 280 sono a colture promiscue con vigneto, 395 a seminativo, 16 a prato e pascolo; la produzione annua è di 100 mila quintali duva da vite specializzata, 12 mila da vite promiscua; luva da tavola sale a 6 mila; la frutta fresca (ciliege e fichi) a 3 mila quintali circa.

Le aziende agrarie vanno da tre pertiche allettaro e sono quasi 2500.

Il 18 luglio del 1984, larea viticola banina è stata riconosciuta come zona a Denominazione di Origine Controllata, che prende il nome del Santo irlandese. La tutela e la valorizzazione della produzione e commercializzazione del vino è stata potenziata dalla costituzione nel 1987, del consorzio Volontario Vino DOC di San Colombano al Lambro, di cui fanno parte 17 importanti aziende vitivinicole dellarea.

Nellultimo decennio del „900 lestensione agraria del comune era di circa 1000 ha di cui 250 ha a vigneto.

Questa superficie è suddivisa in 380 aziende, con una media inferiore allettaro per azienda.

La riduzione risponde alla tendenza nazionale di mirare alla qualità più che alla quantità.

I vitigni tradizionalmente conservati in coltura fino ad oggi sono la Croatina, lUva Rara, la Barbera, la Malvasia e la Verdea. Recentemente sono stati introdotti il Riesling (Italico e Renano), i Pinot (Bianco e Nero), lo Chardonnay, il Cabernet Sauvignon e il Merlot.

Tra i sistemi di allevamento si sta estinguendo la pergola mentre si estendono quelle a spalliera agevolando le operazioni colturali.

Gli ultimi 50 anni sono stati caratterizzati da un profondo cambiamento della viticoltura allinterno della zona Doc, con la continua specializzazione delle aziende vitivinicole che impegnano gran parte delle loro risorse nella ricerca della qualità.

Infatti circa il 95% della produzione annuale di “San Colombano al Lambro” o “San Colombano” viene commercializzata in bottiglia, il che riassume il notevole sforzo dei produttori della zona.

 

Articolo 10

Riferimenti alla struttura di controllo

 

Nome e Indirizzo:

VALORITALIA S.r.l.

Via Piave, 24

00187 ROMA

La VALORITALIA è lOrganismo di controllo autorizzato dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 61/2010 (Allegato 1) che effettua la verifica annuale del rispetto delle disposizioni del presente disciplinare, conformemente allarticolo 25, par. 1, 1° capoverso, lettera a) e c), ed allarticolo 26 del Reg. CE n. 607/2009, per i prodotti beneficianti della DOP, mediante una metodologia dei controlli sistematica nellarco dellintera filiera produttiva (viticoltura, elaborazione, confezionamento), conformemente al citato articolo 25, par. 1, 2° capoverso, lettera c).

In particolare, tale verifica è espletata nel rispetto di un predeterminato piano dei controlli, approvato dal Ministero, conforme al modello approvato con il DM 2 novembre 2010, pubblicato in GU n. 271 del 19- 11-2010 (Allegato 2).

 

N.B. fa fede solo il testo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

SANGUE DI GIUDA DELL’OLTREPÒ PAVESE

SANGUE DI GIUDA

D.O.C.

Decreto 03 Agosto 2010

(Fonte GURI)

Modifica Decreto 30 novembre 2011

(fonte Mipaaf)

 

Articolo 1

Denominazione e vini

 

La Denominazione di Origine Controllata “Sangue di Giuda dell’Oltrepò Pavese o Sangue di Giuda” è riservata ai vini, anche nelle tipologie “frizzante” e “spumante”, che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione.

 

Articolo 2

base ampelografica

 

I vini “Sangue di Giuda dell’Oltrepò Pavese o Sangue di Giuda”, devono essere ottenuti dalle uve prodotte dai vigneti aventi, nell’ambito aziendale, la seguente composizione ampelografica:

 

Barbera: dal 25% al 65%;

Croatina: dal 25% al 65%;

Uva rara, Ughetta (Vespolina) e Pinot nero: congiuntamente o disgiuntamente, fino a un massimo del 45%.

 

Articolo 3

zona di produzione delle uve

 

La zona di produzione delle uve destinate alla produzione del vino “Sangue di Giuda dell’Oltrepò Pavese o Sangue di Giuda” è di cui all’art. 1 comprende la fascia vitivinicola collinare dell’“Oltrepò Pavese” per gli interi o parziali territori dei seguenti comuni:

 

Bosnasco, Montù Beccaria, Cigognola, Santa Maria della Versa, Pietra de’ Giorgi, Broni, Stradella, Zenevredo, Canneto Pavese e Montescano

In provincia di Pavia.

delimitata come segue:

dalla strada statale n. 10 al km 162+700 segue quale confine a est la strada comunale per Bosnasco Costamontefedele, fraz. Casotti.

Da qui segue in direzione fraz. Braccio fino al bivio per la fraz. Villa Marone, si prosegue fino alla fraz. Barbaleone fino a raggiungere la via Marconi, quindi a ovest fino a raggiungere Boffalora, Poggiolo e ancora per Cerisola, Donelasco e Santa Maria della Versa.

Da qui scende a nord per la provinciale Santa Maria-Stradella, sino alla frazione Begoglio, dove devia a ovest per la comunale che tocca le frazioni: Squarzine, Gaiasco, Cella, Ca’ di Paglia sino al ponte del torrente Scuropasso in località Molino Sacrista.

Quindi scende a valle lungo il torrente Scuropasso, sino a incontrare il confine comunale tra Lirio e Pietra de’ Giorgi a comprendere per intero quest’ultimo territorio comunale e quello di Cigognola a sud della strada statale n. 10 che costituisce il confine nord sino al chilometro n. 162+700, all’imbocco della strada comunale per Bosnasco.

 

Articolo 4

norme per la viticoltura

 

4.1) Condizioni naturali dell’ambiente

Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti destinati alla produzione dei vini a Denominazione di Origine Controllata “Sangue di Giuda dell’Oltrepò Pavese o Sangue di Giuda”, devono essere quelle tradizionali della zona di produzione e, comunque, atte a conferire alle uve e ai vini le specifiche tradizionali caratteristiche di qualità.

I vigneti devono essere posti su terreni di natura calcarea o calcareo-argillosa e su pendici collinari ben soleggiate escludendo comunque i fondovalle e i terreni di pianura.

I sesti di impianto, le forme di allevamento e i sistemi di potatura devono essere quelli generalmente usati o comunque atti a non modificare le caratteristiche delle uve e del vino.

 

Per i nuovi impianti ed i reimpianti la densità dei ceppi per ettaro non può essere inferiore a 4.000.

Per gli appezzamenti di Croatina la densità di ceppi per ettaro non può essere inferiore a 3.200.

 

I sesti d’impianto, le forme di allevamento (controspalliera) e i sistemi di potatura devono essere quelli di tipo tradizionale e, comunque, i vigneti devono essere governati in modo da non modificare le caratteristiche dell’uva, del mosto e del vino.

Per i vigneti esistenti alla data di pubblicazione del presente disciplinare sono consentite le forme di allevamento già usate nella zona, con esclusione delle forme di allevamento espanse.

É consentita l’irrigazione di soccorso.

 

Le produzioni massime di uva per ettaro in coltura specializzata dei vigneti destinati alla produzione dei vini a Denominazione di Origine Controllata “Sangue di Giuda dell’Oltrepò Pavese o Sangue di Giuda” ed i titoli alcolometrici volumici naturali minimi devono essere i seguenti:

 

Sangue di Giuda: 10,50 t/ha, 11,50% vol.;

Sangue di Giuda frizzante: 10,50 t/ha, 11,50% vol.;

Sangue di Giuda spumante: 10,50 t/ha,  11,50% vol.

 

Anche in annate eccezionalmente favorevoli, la resa uva ad ettaro dovrà essere riportata nei limiti di cui sopra purché la produzione globale non superi del 20% i limiti medesimi, ferma restando la resa uva/vino per i quantitativi di cui trattasi. Oltre detto limite del 20% decade il diritto alla Denominazione di Origine Controllata “Sangue di Giuda dell’Oltrepò Pavese o Sangue di Giuda”, per tutta la partita.

La Regione Lombardia, sentito il parere del Consorzio di Tutela, annualmente, con proprio decreto, tenuto conto delle condizioni ambientali di coltivazione, può fissare produzioni massime per ettaro inferiori a quelle stabilite dal presente disciplinare di produzione, o limitare, per talune zone geografiche, l’utilizzo delle menzioni aggiuntive, dandone immediata comunicazione al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali - Comitato nazionale per la tutela e la valorizzazione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche tipiche dei vini.

 

Articolo 5

norme per la vinificazione

 

Le operazioni di vinificazione devono essere effettuate nella zona di produzione delimitata dall’art. 3.

Tenuto conto delle situazioni tradizionali di produzione é consentito che tali operazioni siano effettuate nell’intero territorio della provincia di Pavia, nonché nelle frazioni di Vicobarone e Casa Bella nel comune di Ziano Piacentino in provincia di Piacenza.

 

Le rese massime dell’uva in vino devono essere le seguenti:

 

Sangue di Giuda: 70%

Sangue di Giuda frizzante: 70%

Sangue di Giuda spumante: 70%

 

Qualora la resa uva/vino superi i limiti sopra riportati, ma non oltre il 5%, l’eccedenza non avrà diritto alla denominazione di origine controllata; oltre tale limite decade il diritto alla denominazione di origine per tutta la partita.

Nella vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche enologiche corrispondenti agli usi locali, leali e costanti, atte a conferire ai vini le loro rispettive caratteristiche.

Nel caso della vinificazione disgiunta, il coacervo dei vini facenti parte della medesima partita, deve avvenire nella cantina del vinificatore entro il periodo di completo affinamento e comunque prima della richiesta della certificazione della relativa partita prevista dalla vigente normativa o prima della eventuale commercializzazione, all’interno della zona contemplata dall’art. 5.1, come vino atto a “Sangue di Giuda dell’Oltrepò Pavese o Sangue di Giuda”.

 

Articolo 6

caratteristiche dei vini al consumo

 

I vini di cui all’art. 1 devono rispondere, all’atto dell’immissione al consumo, alle seguenti caratteristiche:

 

“Sangue di Giuda dell’Oltrepò Pavese o Sangue di Giuda”:

colore: rosso rubino intenso;

profumo: vinoso intenso;

sapore: pieno, di corpo e dolce, talvolta vivace e leggermente tannico;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol.;

titolo alcolometrico volumico svolto minimo: 5,50% vol.;

residuo zuccherino minimo: 80,00 g/l;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 22,00 g/l.

 

Il vino a denominazione di origine “Sangue di Giuda dell’Oltrepò Pavese o Sangue di Giuda” all’atto dell’immissione al consumo può essere caratterizzato, alla stappatura del recipiente, da uno sviluppo di anidride carbonica proveniente esclusivamente dalla fermentazione, che conservato alla temperatura di 20° centigradi in recipienti chiusi, presenta una sovrapressione dovuta all’anidride carbonica in soluzione, non superiore a 1,7 bar.

 

 “Sangue di Giuda dell’Oltrepò Pavese o Sangue di Giuda” frizzante:

spuma: vivace, evanescente;

colore: rosso rubino intenso;

profumo: vinoso intenso;

sapore: dolce, di corpo, pieno;

residuo zuccherino minimo: 80 g/l;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol.;

titolo alcolometrico volumico svolto minimo: 7,00% vol.;

residuo zuccherino minimo: 80,00 g/l;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 22,00 g/l.

 

“Sangue di Giuda dell’Oltrepò Pavese o Sangue di Giuda” spumante dolce:

spuma: vivace, persistente;

colore: rosso rubino intenso;

profumo: vinoso intenso;

sapore: pieno, di corpo, dolce;

titolo alcolometrico volumico effettivo 9,00% vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 22,00 g/l.

 

E’ facoltà del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, con proprio decreto, modificare per i vini di cui sopra i limiti indicati per l’acidità totale e l’estratto non riduttore.

 

Articolo 7

qualificazione, etichettatura, designazione e presentazione

 

Alla Denominazione di Origine Controllata “Sangue di Giuda dell’Oltrepò Pavese o Sangue di Giuda”, anche nelle tipologie frizzante e spumante, è vietata l’aggiunta di qualsiasi menzione diversa da quelle previste dal presente disciplinare ivi compresi gli aggettivi superiore, extra, fine, scelto, selezionato, vecchio, riserva e similari. marchi privati, purché non abbiano significato laudativo e non siano tali da trarre in inganno il consumatore.

Sulle bottiglie o altri recipienti contenenti “Sangue di Giuda dell’Oltrepò Pavese o Sangue di Giuda”, anche nelle tipologie “frizzante” e “spumante”, è obbligatorio riportata l’indicazione dell’annata di vendemmia da cui il vino deriva.

La denominazione “Sangue di Giuda dell’Oltrepò Pavese o Sangue di Giuda” deve essere indicata nella designazione del prodotto in maniera consecutiva, anche su più righe, seguita immediatamente al di sotto dalla menzione specifica tradizionale “denominazione di origine controllata”.

Le menzioni facoltative, escluse i marchi e i nomi aziendali, possono essere riportate nell’etichettatura soltanto in caratteri tipografici non più grandi o evidenti di quelli utilizzati per la denominazione di origine del vino, salvo le norme generali più restrittive.

La Denominazione di Origine Controllata “Sangue di Giuda dell’Oltrepò Pavese o Sangue di Giuda” è contraddistinta obbligatoriamente dal un marchio collettivo espresso nella forma grafica e letterale allegata al presente disciplinare, in abbinamento inscindibile con la denominazione.

L’utilizzo del marchio collettivo è curato direttamente dal Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese che deve distribuirlo anche ai non associati, alle medesime condizioni di utilizzo riservate ai propri associati.

 

Articolo 8

confezionamento

 

I vini a Denominazione di Origine Controllata “Sangue di Giuda dell’Oltrepò Pavese o Sangue di Giuda”, anche nelle tipologie “frizzante” e “spumante”, devono essere immessi al consumo in bottiglie di vetro di capacità non superiore a litri 5.

Per la tappatura del “Sangue di Giuda” spumante è obbligatorio il tappo di sughero a fungo munito del tradizionale ancoraggio a gabbietta, ad eccezione dei recipienti di volume nominale uguale o inferiore a ml 200 per i quali sono consentite le chiusure ammesse dalla vigente normativa in materia.

Per la versione frizzante è tuttavia ammessa la chiusura con tappo a fungo in sughero ancorato con gabbietta, utilizzato tradizionalmente nella zona, con eventuale capsula non superiore a 7 centimetri.

 

Articolo 9

Legame con l’ambiente geografico

 

A) Informazioni sulla zona geografica

1. Fattori naturali rilevanti per il legame

L’area del “Sangue di Giuda dell’Oltrepò Pavese” o “Sangue di Giuda” è compresa all’interno del territorio dell’Oltrepò Pavese, il quale, a sua volta, si colloca all’interno del bacino padano, delimitato dalle catene alpina ed appenninica e con una apertura principale verso est; in particolare la fascia collinare pavese si inserisce nella fascia appenninica che dal Piemonte si spinge verso l’Emilia.

L’area è caratterizzata da solchi vallivi con direzione prevalente da sud verso nord.

Analisi pedopaesaggistica

L’Oltrepò Pavese, in larga misura, presenta un’orografia preappenninica.

I terreni collinari, nei quali si trova la maggior parte della superficie coltivata a vite dell’Oltrepò, appartengono al Cenozoico. In Oltrepò Pavese le formazioni mioceniche sono complesse ed importanti, presentano piani diversi compresi nelle colline e nelle prime montagne.

Per i territori della DOC “Sangue di Giuda dell’Oltrepò Pavese” il piano più significativo è dato dal Messiniano,

caratterizzato da marne gialle chiare, con lenti calcaree in una continuità molto precisa.

Appartengono a questa formazione i terreni di Montù Beccaria, Rovescala, Montescano, Castana, Canneto Pavese, Pietra de’ Giorgi e Cigognola.

Dal punto di vista agronomico le zone viticole con caratteristiche litologiche omogenee sono:

• Depositi alluvionali terrazzati: si sviluppano principalmente lungo la fascia pedecollinare da Broni a Stradella, inserendosi lungo l’alveo dei principali corsi d’acqua. Questi depositi formano i primi dolci rilievi costituendo il raccordo tra la pianura e l’area collinare.

Si tratta di depositi elastici incoerenti a granulometria eterogenea, generalmente ricoperti da una coltre di alterazione di varia potenza e colore.

• Alternanze eterogenee di conglomerati, arenarie, siltiti e argille: unità che raggruppa tutte quelle formazioni caratterizzate da una estrema variabilità litologica di cui è difficile la suddivisione in litofacies. È costituita da arenaria, brecce, calcari, calcari cariati, marne, conglomerati gessiferi, conglomerati e argille, che generalmente costituiscono corpi lentiformi variamente interstratificati.

Un affioramento si trova nella zona di Pietra de’ Giorgi che continua tra i comuni di Montescano e Montù Beccaria e tra Montù Beccaria, Broni e Stradella.

• Alternanze a dominante arenacea: litofacies caratterizzata da alternanze più o meno regolari di arenarie variamente cementate, sabbie, marne-siltose e argille, generalmente di colore grigio.

Solitamente hanno maggiore diffusione le fitte sequenze di straterelli arenacei, marno-siltosi e argillosi, ma localmente si può avere predominanza della parte psamamitica o di quella pelitica.

Nel primo caso gli strati arenacei assumono spessori intorno a 80-100 cm; nel secondo si hanno spessori di pochi centimetri. La morfologia dei rilievi, costituita da questa unità, è assai varia con pareti verticali e pendii a modesta acclività, ove si possono accumulare spessori anche notevoli di coltre eluvio-colluviale. Frequenti in questa unità sono i fenomeni di scoscendimento al contatto con formazioni argillose. Questa tipologia è presente lungo le valli dei torrenti Versa e Scuropasso.

La radiazione solare

La radiazione solare che giunge su un terreno in piano è funzione della latitudine, mentre nelle zone collinari bisogna considerare anche gli effetti della pendenza, dell’esposizione e dell’orizzonte orografico tipico di ciascun vigneto.

La zona di produzione della DOC “Sangue di Giuda dell’Oltrepò Pavese” è caratterizzata mediamente da un valore di radiazione solare, compreso tra 2.250 e 3.000 MJ/m2 all’anno.

La temperatura dell’aria

Nella fascia compresa fra la base delle colline ed i 400 m di quota la temperatura media annua presenta valori di circa 12°C e la temperatura media del mese più freddo (gennaio) è di circa 1°C.

La media delle minime è per lo più inferiore a 0°C. Le temperature medie del mese più caldo (luglio o agosto) sono 22/24°C mentre le massime mensili sono di circa 28/30°C.

Le precipitazioni

La distribuzione delle precipitazioni all’interno dell’area della DOC “Sangue di Giuda dell’Oltrepò Pavese” mostra un gradiente altitudinale, con piogge che aumentano al crescere della quota, e dall’altro una diminuzione progressiva da est verso ovest.

I comuni del “Sangue di Giuda” si suddividono fra le seguenti classi di precipitazioni: Cigognola, Broni e Pietra de’ Giorgi, nonché l’area occidentale dei comuni di Canneto Pavese, Montescano, Castana e Santa Maria della Versa, fra gli 800 e gli 850 mm/anno; questi ultimi nei loro territori più orientali, insieme con i comuni di Stradella, Montù Beccaria, Zenevredo e parte dei comuni di Bosnasco e San Damiano al Colle, fra gli 850 e i 900 mm/anno.

Come per il resto dell’Oltrepò, la distribuzione media delle precipitazioni nel corso dell’anno è caratterizzata da un massimo ed un minimo rispettivamente nei mesi di novembre e di luglio. In media il mese più piovoso nella stagione primaverile risulta essere maggio.

2. Fattori umani rilevanti per il legame

Di fondamentale rilievo sono i fattori umani legati al territorio di produzione, che per consolidata tradizione hanno contribuito ad ottenere i vini a Denominazione di Origine “Sangue di Giuda dell’Oltrepò Pavese” o “Sangue di Giuda”.

Considerato, sin dai tempi di Strabone, una zona di produzione di vini di qualità, l'Oltrepò Pavese è quel lembo di terra collinoso a sud della Lombardia noto per essere il punto d'incontro di quattro regioni: Lombardia, Piemonte, Liguria ed Emilia Romagna.

Tale peculiare caratteristica rende l'Oltrepò Pavese ricco di culture, lingue, tradizioni e cucine differenti, ma ben integrate tra loro.

Questa terra è anche, anzi soprattutto, antica dimora della vite. Un'importante testimonianza arriva dal reperto di un tralcio di vite, risalente ai tempi preistorici, trovato in Oltrepò Pavese. Strabone, nel I secolo a.C., attribuì all'Oltrepò Pavese l'invenzione della botte. Nei suoi testi fu descritta di dimensioni più grandi delle case. Nei secoli successivi s’incontrano poi altre testimonianze.

Andrea Bacci, per esempio, nel XVI secolo, descrisse i vini di tale zone con il termine “eccellentissimi”.

L'Oltrepò Pavese vitivinicolo attuale trova le sue radici nel secolo scorso, come conseguenza dei danni portati dalla fillossera, e nel rinnovamento globale del mondo vinicolo italiano di quel periodo.

E' sufficiente ricordare che nel 1884 l'Oltrepò Pavese vantava ben 225 vitigni autoctoni.

Oggi sono circa una dozzina quelli di maggior diffusione, seppur non mancano produttori collezionisti che hanno raccolto qualche testimonianza del passato, come Moradella o Uva della Cascina o altro ancora. Nonostante tale decimazione, il panorama vinicolo oltrepadano è ancora molto ricco, soprattutto per quanto concerne le tipologie di vino prodotte, fra cui quelle previste dal presente disciplinare.

Nel corso dei decenni la viticoltura ha mantenuto il ruolo di coltura principale del territorio, tanto che nel 1970 il vino Oltrepò Pavese, e con esso la tipologia “Sangue di Giuda”, è stato riconosciuto come DOC con DPR del 6 agosto.

L’incidenza dei fattori umani nel corso della storia è in particolare riferita alla puntuale definizione dei seguenti aspetti tecnico produttivi, che costituiscono parte integrante del presente disciplinare di produzione:

la base ampelografica dei vigneti:

i vitigni idonei alla produzione dei vini in questione sono quelli tradizionalmente coltivati nell’area geografica considerata, ovvero Barbera, Croatina, Uva rara, Vespolina e Pinot nero;

le forme di allevamento, i sesti d’impianto ed i sistemi di potatura anche per i nuovi impianti:

sono quelli tradizionali e permettono la migliore e più razionale disposizione delle viti, sia per agevolare l’esecuzione delle operazioni colturali, sia per consentire la razionale gestione della chioma, permettendo di ottenere una adeguata e bene esposta superficie fogliare e di contenere le rese di produzione entro i limiti fissati dal presente disciplinare;

le pratiche relative all’elaborazione dei vini:

sono quelle tradizionalmente consolidate in zona per la vinificazione in rosso di vini tranquilli, vivaci, frizzanti e spumanti.

 

B) Informazioni sulla qualità o sulle caratteristiche del prodotto essenzialmente o esclusivamente attribuibili all’ambiente geografico

La DOC “Sangue di Giuda dell’Oltrepò Pavese” o “Sangue di Giuda” è riferita a diverse tipologie di vino rosso: fermo, frizzante e spumante.

Dal punto di vista analitico ed organolettico ciascuna tipologia presenta caratteristiche molto evidenti e peculiari (descritte all’Articolo 6), che ne permettono una chiara individuazione e tipicizzazione legata all’ambiente geografico.

Il “Sangue di Giuda” è di fatto una particolare versione da dessert dell’“Oltrepò Pavese Rosso”, il vino tradizionalmente ottenuto da uvaggio di vitigni locali otrepadani.

Il “Sangue di Giuda” si presenta di colore rosso rubino carico, con brillanti riflessi violacei; l’aroma è fine, con una

piacevole fragranza di spezie e frutta fresca; ha una spuma abbondante e persistente; al palato offre un gusto dolce, carezzevole, con un buon corpo.

 

C) Descrizione dell’interazione causale fra gli elementi di cui alla lettera A) e quelli di cui alla lettera B)

Le condizioni microambientali, geologiche e non ultime quelle storiche mettono il territorio dell’Oltrepò Pavese, tagliato a metà dal 45° parallelo, e in particolare quello dei comuni del “Sangue di Giuda”, fra le zone del mondo più vocate per la produzione di vini rossi.

Grazie alle indagini condotte sul territorio dell’Oltrepò Pavese iniziate con lo studio di zonazione realizzato a partire dal 1999 con il contributo dell’Amministrazione provinciale di Pavia, coordinato dall’Università di Milano e con la collaborazione dell’Università di Piacenza e dell’ERSAF e conclusesi con esperienze di monitoraggio del territorio condotte dall’Università di Milano e dal Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese, è stato possibile ottenere una mappa delle unità territoriali che rappresenta la sintesi delle informazioni scientifiche raccolte.

L’intero areale di produzione del “Sangue di Giuda” si presta alla coltivazione delle uve Croatina, Barbera, Uva rara e Vespolina, per la produzione dei vini a DOC descritti dal presente disciplinare.

L’area è costituita da valli ed è caratterizzata da ripidi versanti e fitti crinali con substrati rocciosi relativamente soffici che risultano in buona parte lavorabili. La maggior parte dell’area è adibita alla coltivazione a vigneto. il substrato è costituito prevalentemente da rocce calcaree limosoargillose.

il suolo si presenta con una tessitura da grossolana a media, con scarsa presenza di scheletro e moderatamente profondo. Sono presenti strati rocciosi profondi di facile lavorabilità.

L’area è molto calcarea con pH alcalino e drenaggio buono. Essa interessa esclusivamente la prima fascia collinare con altitudini comprese tra 150 e 350 m; è caratterizzata da valori di radiazione fotosinteticamente attiva medi e da tenori pluviometrici compresi tra 800 e 900 mm/anno.

Il clima è condizionato dall’elevata inerzia termica del bacino padano che, con effetto tampone, mantiene nel corso di tutto l’anno temperature costanti.

L’area è soggetta all’effetto del vento di föhn che favorisce l’abbassamento dell’umidità dell’aria aumentando l’evapotraspirazione e la diminuzione dell’acqua nel suolo. L’inverno è mite e induce una certa precocità nella ripresa vegetativa mentre le estati sono molto calde. Data l’eterogeneità della distribuzione orografica delle valli non vi è una

esposizione di versante prevalente; le pendenze sono importanti e possono assumere anche valori prossimi al 35%.

Questa fascia collinare è particolarmente adatta per la produzione di uve da vinificare in rosso anche per vini da dessert con un importante residuo zuccherino. Il “Sangue di Giuda” si presenta di colore rosso rubino carico con riflessi violacei, è brillante, viscoso; al naso è fine, penetrante, netto e si nota la fragranza della frutta fresca, un ampio speziato e un garbato floreale; al palato dimostra buon corpo, è morbido, equilibrato, con una lunga persistenza.

L’Oltrepò Pavese è da sempre un territorio di elezione per la viticoltura, in particolare per la tradizione relativa alla produzione di vini rossi dolci, tranquilli e mossi, come il “Sangue di Giuda”.

L’origine del suo nome è legata sia al suo colore rosso rubino, impreziosito da riflessi purpureoviolacei, sia a una leggenda.

La leggenda narra che Giuda, passato a peggior vita di quella tristemente condotta sulla terra, si fosse amaramente pentito di aver tradito Gesù, il quale, in segno di perdono, lo avrebbe fatto resuscitare.

Giuda sarebbe ricomparso in carne ed ossa in Oltrepò, precisamente a Broni.

Riconosciutolo, i cittadini del posto decisero di ucciderlo, essendo il traditore di Gesù. Giuda si salvò grazie a un dono che fece ai viticoltori locali: risanò le loro viti dalla malattia che a quel tempo le aveva colpite. Per ringrazialo, i viticoltori gli dedicarono il nome del loro vino dolce rosso.

Il “Sangue di Giuda” gode di un elevato grado di tipicità: si tratta di un prodotto che può nascere solo ed esclusivamente nel territorio dell’Oltrepò Pavese.

Si riporta di seguito una descrizione della vitivinicoltura dall’800 ai primi del ‘900, ricavata dal testo di Fabrizio Bernini “Che cos’è la vita se non spumeggia il vino – storia della vitivinicoltura in Oltrepò Pavese” edito nel 2001 da Ponzio Olona servizi grafici.

Capitolo XIX - Il primo Novecento vitivinicolo oltre il Po: la rustica croatina

Il professor Arturo Marescalchi, esperto ampelografo, asseriva nella sua dotta monografia sui vini tipici d’Italia, pubblicato nel 1924, che il Barbacarlo, il Sangue di Giuda, prodotti a Broni e Canneto, nonché il Buttafuoco e il Montenapoleone erano fra “i migliori vini rossi d’Italia”…

… Il Sangue di Giuda invece, prodotto con gli stessi vitigni, è così definito per il suo colore rosso intenso, forse un po’ traditore per chi ne abusa che era prodotto originariamente nella frazione di Colombarone di Canneto Pavese ed era generalmente “ammandorlato” ossia amarognolo e dolce nel contempo.

Il vino “Sangue di Giuda”, dapprima tipologia della DOC Oltrepò Pavese, nata nel 1970, è stato elevato alla categoria di DOC autonoma, con disciplinare proprio, nel 2010 (DM 3 agosto 2010) per la notorietà e la tradizione che lo caratterizzano.

 

Articolo 10

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In particolare, tale verifica è espletata nel rispetto di un predeterminato piano dei controlli, approvato dal Ministero, conforme al modello approvato con il DM 2 novembre 2010, pubblicato in GU n. 271 del 19-11-2010 (Allegato 2).

 

N.B. fa fede solo il testo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.