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BIANCO CAPENA D.O.C.

CERVETERI D.O.C.

CESANESE DI AFFILE D.O.C.

COLLI DELLA SABINA D.O.C.

NETTUNO D.O.C.

OLEVANO ROMANO D.O.C.

ROMA D.O.C.






VIGNETI ROMA

VIGNETI ROMA

BIANCO CAPENA

D.O.C.

D.P.R. 19 maggio1975

Modific D.P.R. 22 luglio1987

(fonte GURI)

Modifica Decreto 30 novembre 2011

(fonte Mipaaf)

Articolo 1

Denominazione e vini

 

La denominazione di origine controllata “Bianco Capena” è riservata al vino bianco, anche nella tipologia “Superiore”, che risponde alle condizioni e ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione

 

Articolo 2

Base ampelografica

 

Il vino “Bianco Capena” deve essere ottenuto dalle uve provenienti dai vigneti composti dai seguenti vitigni, nella percentuale appresso indicata:

Malvasia (di Candia, del Lazio e Toscana), da sole o congiuntamente, fino a un massimo del 55%;

Trebbiano (toscano, e giallo), da soli o congiuntamente, in misura non inferiore al 25%.

Possono concorrere inoltre alla produzione di detto vino le uve dei vitigni Bellone e Bombino (localmente noto come uva di Spagna), da soli o congiuntamente, presenti fino a un massimo del 20%.

 

Articolo 3

Zona di produzione delle uve

 

Le uve devono essere prodotte nella zona di produzione appresso indicata che comprende tutto il territorio amministrativo comunale di

Capena

e in parte quello di

Fiano Romano, Morlupo e Castelnuovo di Porto.

In provincia di Roma.

 

Tate zona è così delimitata:

dall'incrocio dei confini di Capena e Fiano Romano, sull'ansa del fiume Tevere in località Bufaloria, il limite prende verso nord-ovest lungo il confine di Capena sino a incontrare il fosso di Gramiccia, risale tale corso d'acqua sino a incontrare, dopo circa 900 metri, il sentiero che segue verso nord fino al fosso di Medallo all'altezza della Casaccia, risale tale fosso verso nord-est sino in prossimità della quota 207 quindi segue verso nord-est una retta immaginaria passante per quota 207 e quota 227 (M. Belvedere) e verso nord sul proseguimento di tale retta raggiunge il sentiero che conduce a quota 221, dopodiché in direzione ovest prosegue lungo il sentiero che successivamente piega verso

nord sino a raggiungere la strada per Fiano Romano in prossimità del km 2,400, prosegue lungo quest'ultima verso nord sino a raggiungere il confine di Civitella S. Paolo in prossimità del km 3.

Da qui segue verso ovest il confine comunale di Civilella S. Paolo fino a incrociare quello di Rignano Flaminio e quindi in direzione sud-ovest lungo quest'ultimo fino alla strada che passa a ovest del M. Grugnanello, la segue verso sud per la località Vallelunga raggiungendo la strada statale Flaminia in prossimità del km 31, segue poi tale strada, supera il C. Pino e quindi in prossimità della quota 256 piega a ovest per la strada che attraversa Ia ferrovia.

Dal punto d'incrocio con la ferrovia segue una linea retta in direzione sud-ovest raggiungendo all'inizio l'impluvio dell'affluente del fosso di S. Antonio che si immette in quest'ultimo in prossimità della località Grotta Pagana quota 150, segue l'intero corso di tale affluente e poi verso sud per il fosso S. Antonio fino a confluire nel fosso Costa Frigida all'altezza del M. di Cellano, supera la confluenza per circa 150 metri sino a raggiungere quella del fosso che scorre a nord-est delle macchie di Quartarelle risale lungo questo corso d'acqua e raggiunge il km 27 della via Flaminia. Dal km 27 prosegue verso Roma per un breve tratto fino a incontrare la strada che segue in direzione est per M. Cardeto e quindi verso sud-est per il sentiero che raggiunge l'affluente del fosso di Chiarano, segue tale corso d'acqua e quindi lo stesso fosso di Chiarano in direzione nord sino a incrociare l'affluente che discende dal M. La Pera, proseguendo verso est per tale affluente e poi, in direzione sud, per il sentiero che costeggia a ovest e a sud M. Fischio, sino a incrociare la strada che passa a est di M. Fischio; prosegue per questa ultima verso sud sino al confine comunale di Riano quindi

lungo questi in direzione sud-est raggiunge la strada per Fiano Romano prossimità del km 12 e lungo la medesima verso nord-est sino a incrociare il confine comunale di Capena.

Prosegue verso sud-est lungo quest'ultimo e poi verso nord raggiungendo il confine comunale di Fiano Romano da

dove la limitazione è partita

 

Articolo 4

Norme per la viticoltura

 

Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti destinati alla produzione del vino «Bianco Capena» devono essere quelle tradizionali della zona e comunque atte a conferire alle uve e al vino derivato le specifiche caratteristiche di qualità.

I sesti di impianto, le forme di allevamento e i sistemi di potatura devono essere quelli generalmente usati o, comunque, atti a non modificare le caratteristiche delle uve e del vino.

E’ vietata ogni pratica di forzatura.

La resa massima di uva ammessa per la produzione del vino “Bianco Capena" non deve essere superiore a

16,00 t/ha di uva per ettaro di coltura specializzata.

Fermo restando il limite massimo sopra indicato la resa per ettaro in coltura promiscua deve essere calcolata, rispetto a quella specializzata, in rapporto all'effettiva superficie coperta dalla vite.

A detti limiti anche in annate eccezionalmente favorevoli la resa dovrà essere riportata attraverso un'accurata cernita delle uve, purché la produzione non superi del 20% il limite massimo.

La Regione Lazio, con proprio decreto, sentite le organizzazioni di categoria interessate, di anno in anno, prima della vendemmia, tenuto conto delle condizioni ambientali di coltivazione, può modificare il limite massimo di produzione di uva per ettaro dandone immediata comunicazione all’organismo di controllo incaricato.

La resa massima delle uve in vino non deve essere superiore al 70%.

Qualora la resa uva-vino superi i limiti sopra riportati l'eccedenza non avrà diritto alla DOC

 

Articolo 5

Norme per la vinificazione

 

Le operazioni di vinificazione per il vino di cui all'articolo 1 devono essere effettuate nell'interno della zona di produzione, delimitata nel precedente articolo 3.

Tuttavia, tenuto conto delle situazioni tradizionali di produzione, è consentito che tali operazioni siano effettuate nell'intero territorio dei comuni anche se solo in parte compresi nella zona di produzione delle uve.

Le uve destinate alla vinificazione del vino a denominazione di origine controllata “Bianco Capena” devono assicurare il seguente titolo alcolometrico volumico naturale minimo:

“Bianco Capena”: 10,50% vol.;

“Bianco Capena” Superiore: 11,50% vol.

Nella vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche enologiche leali e costanti, atte a conferire al vino le sue peculiari caratteristiche.

 

Articolo 6

Caratteristiche al consumo

 

I vini a denominazione di origine controllata “Bianco Capena” all’atto dell’immissione al consumo devono rispondere alle seguenti caratteristiche:

 

“Bianco Capena” secco:

colore: paglierino più o meno intenso;

profumo: leggermente aromatico, fine, caratteristico;

sapore: asciutto, caratteristico e gradevole;

zuccheri riduttori massimo: 4,00 g/l;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00%vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 16,00 g/l.

 

“Bianco Capena” superiore:

colore: paglierino più o meno intenso;

profumo: leggermente aromatico, fine, caratteristico;

sapore: asciutto, caratteristico e gradevole;

zuccheri riduttori massimo: 4,00 g/l;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00%vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 16,00 g/l.

 

“Bianco Capena” abboccato:

colore: paglierino più o meno intenso;

profumo: leggermente aromatico, fine, caratteristico;

sapore leggermente abboccato, caratteristico e gradevole;

zuccheri riduttori :da 4,01 a 20,00 g/l;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00%vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 16,00 g/l.

 

E' in facoltà del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali modificare i limiti dell'acidità totale e dell'estratto non riduttore minimo con proprio decreto.

 

Articolo 7

Designazione e presentazione

 

Sulle bottiglie e altri recipienti contenenti vino «Bianco Capena» deve figurare l'indicazione dell'annata di produzione delle uve.

 

Articolo 8

Confezionamento

 

Alla denominazione di cui all'articolo 1 è vietata l'aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista dal presente disciplinare di produzione.

Le indicazioni relative al contenuto di zuccheri riduttori, secco o asciutto, amabile debbono sempre figurare in etichetta.

E’ consentito l'uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali o marchi privati, purché non abbiano significato laudativo e non siano tali da trarre in inganno l'acquirente nonché la indicazione di nomi di fattorie e di vigneti dai quali effettivamente provengono le uve da cui il vino, così qualificato, è stato ottenuto.

 

Articolo 9

Legame con l’ambiente geografico

 

A) Informazioni sulla zona geografica.

1. Fattori naturali rilevanti per il legame.

La zona geografica delimitata ricade nella parte centrale della regione Lazio, a nord di Roma in Provincia di Roma: l’area, che si estende per circa 7.500 ettari, comprende i rilievi collinari posti tra la valle del fiume Tevere ed il complesso del Vulcano Sabatino.

L'aspetto geolitologico e morfologico che caratterizza l'intera regione a nord-ovest di Roma, è rappresentato dalla attività vulcanica dell'apparato Sabatino (detto distretto vulcanico Sabatino). Nel corso del Pleistocene si sono succedute a più riprese intense manifestazioni vulcaniche esplosive ed effusive da parte di diverse bocche crateriche, le quali hanno dato origine a diversi prodotti piroclastici e lavici.

Lungo la valle del Tevere ed in corrispondenza delle incisioni dei corsi d'acqua minori affiorano invece terreni sedimentari, sia di ambiente marino che continentale. In generale i termini affioranti nell’area delimitata si possono ricondurre a tre unita geolitologiche: alluvioni attuali, vulcaniti Sabatine, formazioni sedimentarie terrigene.

La prima unità, più recente, si riscontra lungo le zone di fondovalle alluvionale e pertanto in corrispondenza dei maggiori corsi d'acqua.

I depositi alluvionali sono in prevalenza limo-sabbiosi e limo-argillosi ad elevato contenuto organico.

L'unita vulcanica Sabatina comprende termini sia tufaceo-ignimbritici che lavici, alquanto differenziati per composizione, chimica, addensamento, cementazione e fatturazione.

La terza unita è costituita da sedimenti di ambiente continentale, deposti in facies salmastre e fluvio-lacustri nel Pleistocene inferiore (Siciliano-Calabriano).

È una formazione argillosa a cui fanno seguito in continuità stratigrafica, le argille marnose plioceniche di ambiente marino. Quest'ultima formazione rappresenta il riferimento basale di tutta la regione in virtù dello spessore e della notevole estensione areale.

L’altitudine dei terreni coltivati a vite è compresa tra i 5 e i 400 m s.l.m.: l’esposizione generale è

orientata verso ovest.

Il clima dell’area è di tipo mediterraneo di transizione ed è caratterizzato da precipitazioni medie annue comprese tra i 822 ed i 1110 mm, con aridità estiva non molto pronunciata (pioggia 84-127 mm) nei mesi estivi.

Temperatura media piuttosto elevata compresa tra i 13,7 ed i 15,2°C: freddo poco intenso da novembre ad aprile, con temperatura media inferiore ai 10°C per 3-4 mesi l’anno e temperatura media minima del mese più freddo dell’anno che oscilla tra 3,4 e 4,0° C.

La combinazione tra natura del terreno e fattori climatici fanno della zona delimitata come DOC Bianco Capena un territorio altamente vocato alla produzione di vini di pregio.

2. Fattori umani rilevanti per il legame.

Di fondamentale rilievo sono i fattori umani legati al territorio di produzione, che per consolidata tradizione hanno contribuito ad ottenere il vino “Bianco Capena”.

La coltivazione della vite in Lazio ha origini antichissime, iniziata sicuramente dagli Etruschi, raggiunse un notevole progresso, favorito anche da evolute conoscenze tecniche e da materiale ampelografico di varia origine raccolto attraverso gli ampi rapporti commerciali di questo popolo.

Gli Etruschi, che i romani chiamavano Tusci, abitavano la riva destra del Tevere ed arrivando dal nord della penisola si erano insediati nelle città di Veji (Veio), Caere (Cerveteri), Capena, Falerii Novi (Civita Castellana), Lucus Feroniae (nei pressi di Capena), Pyrgi (S.Severa), Sabate (Trevignano).

La coltivazione della vite continuò ed ebbe maggiore espansione ad opera dei Romani, tanto che Virgilio, Orazione e Stradone, indicano il territorio sabino come terra d’elezione di boschi, oliveti e vigneti.

Gli Satuti di Castelnuovo di Porto, emanati nel 1548, contengono Capitoli che regolamentavano la coltivazione della vite e la produzione del vino, nonché pene per i trasgressori.

Nei corso dei secoli la viticoltura ha mantenuto il ruolo importante nell’economia agricola del territorio contribuendo allo sviluppo sociale ed economico dell’area, come testimonia la Sagra dell’uva di Capena, la cui prima edizione risale al 1927.

L’incidenza dei fattori umani, nel corso della storia, è in particolare riferita alla puntuale definizione dei seguenti aspetti tecnico produttivi, che costituiscono parte integrante del vigente disciplinare di produzione:

base ampelografica dei vigneti:

i vitigni idonei alla produzione del vino in questione, sono quelli tradizionalmente coltivati nell’area geografica considerata: la Malvasia di Candia, la Malvasia del Lazio, il Trebbiano toscano ed il Trebbiano giallo;

le forme di allevamento, i sesti d’impianto e i sistemi di potatura che, anche per i nuovi impianti:

sono quelli tradizionali e tali da perseguire la migliore e razionale disposizione sulla superficie delle viti, sia per agevolare l’esecuzione delle operazioni colturali, sia per consentire la razionale gestione della chioma, permettendo di ottenere una adeguata superficie fogliare ben esposta e di contenere le rese di produzione di vino entro i limiti fissati dal disciplinare (112hl/ha);

le pratiche relative all’elaborazione dei vini:

che sono quelle tradizionalmente consolidate in zona

per la vinificazione di vini bianchi fermi, complessi ed equilibrati.

 

B) Informazioni sulla qualità o sulle caratteristiche del prodotto essenzialmente o esclusivamente

attribuibili all'ambiente geografico.

La DOC “Bianco Capena” è riferita a due tipologie di vino bianco (“Bianco Capena” e “Bianco Capena Superiore”) che dal punto di vista analitico ed organolettico presentano caratteristiche molto evidenti e peculiari, descritte all’articolo 6 del disciplinare, che ne permettono una chiara individuazione e tipicizzazione legata all’ambiente geografico.

Nello specifico il “Bianco Capena” ed il “Bianco Capena Superiore”, che si differenzia solamente per una maggiore gradazione alcolica, è un vino fresco ed equilibrato, con colore giallo paglierino più o meno intenso, odore leggermente aromatico con note floreali e fruttate, sapore secco o leggermente abboccato

Al sapore il vino presenta un’acidità normale, un amaro poco percepibile, poca astringenza e buona struttura, che contribuiscono all’equilibrio gustativo.

 

C) Descrizione dell'interazione causale fra gli elementi di cui alla lettera A) e quelli di cui alla lettera B).

L’orografia pianeggiante o dolcemente collinare dell’areale di produzione, e l’esposizione ad ovest, sudovest concorrono a determinare un ambiente arioso e luminoso, particolarmente vocato per la coltivazione dei vigneti del “Bianco Capena”.

Anche la tessitura e la struttura chimico-fisica dei terreni interagiscono in maniera determinante con la coltura della vite, contribuendo all’ottenimento delle peculiari caratteristiche fisico chimiche ed organolettiche del “Bianco Capena”.

In particolare, i terreni, di origini vulcanica derivanti da depositi vulcanici sia tufaceo-ignimbritici che lavici, alquanto differenziati per composizione, chimica, addensamento, cementazione e fatturazione o di origine alluvionale limo-sabbiosi, limo-argillosi o argillosi marnosi pliocenici di ambiente marino, presentano caratteristiche tali da renderli idonei ad una vitivinicoltura di qualità.

Anche il clima dell’areale di produzione, caratterizzato da precipitazioni normali (mediamente 954 mm), con sufficienti piogge estive (127 mm) ed aridità non molto pronunciata nei mesi estivi, da una buona temperatura media annuale (14,2°C), unita ad una temperatura elevata ed a una ottima insolazione, consente alle uve di maturare completamente contribuendo in maniera significativa alle particolari caratteristiche organolettiche del vino "Bianco Capena"

In particolare, la combinazione tra le caratteristiche del terreno ed i fattori climatici, determina per i vini bianchi, la produzione di significative quantità di precursori aromatici che consentono di esaltare le caratteristiche organolettiche e i sentori tipici dei diversi vitigni

La millenaria storia vitivinicola riferita alla terra dell’antica “Capena”, dagli Etruschi passando per i Romani, al medioevo, fino ai giorni nostri ed attestata da numerosi documenti, è la generale e fondamentale prova della stretta connessione ed interazione esistente tra i fattori umani e la qualità e le peculiari caratteristiche del “Bianco Capena”.

Ovvero è la testimonianza di come l’intervento dell’uomo nel particolare territorio abbia, nel corso dei secoli, tramandato le tradizionali tecniche di coltivazione della vite ed enologiche, le quali nell’epoca moderna e contemporanea sono state migliorate ed affinate, grazie all’indiscusso progresso scientifico e tecnologico, fino ad ottenere i rinomati vini “Bianco Capena”, le cui peculiari caratteristiche sono descritte all’articolo 6 del disciplinare.

In particolare la presenza della viticoltura nella zona del “Bianco Capena” è attestata fin dall’epoca degli Etruschi, in molti reperti dei georgici latini.

Gli Statuti di Castelnuovo, emanati nel 1548, regolamentavano l’ordinamento della Comunità su cui era basata la vita sociale, economica, religiosa, agricola e pastorale. Diversi Capitoli degli Statuti trattano della vite e del vino a testimonianza dell’importanza che anche allora rivestiva la vitivinicoltura.

La coltura della vite passò indenne attraverso i secoli bui, tanto che nel 1703 il Piazza in La Gerarchia cardinalizia, riporta per Castelnuovo “l'amenità del sito, in un colle assai eminente al Territorio, che gli soggiace d'intorno; la fertilità del terreno di vino, ...”; nel1857 il Palmieri nella Topografia statistica dello stato pontificio, riporta “l’olio di Fiano è squisito, e così il vino..”, Leprignano (l’odierna Capena) “ha un territorio feracissimo di grano, olio, vino eccellente..”, “Morlupo fornisce asssai grano, ed un esquisito e dolce vino, per la situazione delle vigne

bellissime su tutte colline esposte al sole.”

Negli Atti della Giunta per la Inchiesta Agraria e sulle condizioni della classe agricola (1883), a conferma dell’importanza che la viticoltura ha nella zona delimitata, si riporta, ..a Leprignano la vigna nel colle vale 7000 lire l’ettaro contro le 70 di Farnese e nel piano 8000 come a Marino.

La storia recente, a causa della chiusura della Cantina sociale Feronia, è caratterizzata da una situazione di stasi della denominazione, che nonostante l’impianto di nuovi vigneti e la nascita di nuove aziende non riesce ancora ha riconquistare appieno la notorietà passata.

 

Articolo 10

Riferimenti alla struttura di controllo

 

Nome e Indirizzo:

Camera di Commercio, Industria, Artigianato ed Agricoltura di Roma

Via Appia Nuova 218

00179 Roma

Telefono 06/52082699 - Fax 06/52082494;

e-mail: lcm.amministrazione@rm.camcom.it

La C.C.I.A.A. di Roma è l’Organismo di controllo autorizzato dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 61/2010 (Allegato 1) che effettua la verifica annuale del rispetto delle disposizioni del presente disciplinare conformemente all’articolo 25, par 1, 1° capoverso, lettera a) e c), ed all’articolo 26 del Reg CE n. 607/2009, per i prodotti beneficianti della DOP, mediante una metodologia dei controlli sistematica nell’arco dell’intera filiera produttiva (viticoltura, elaborazione, confezionamento), conformemente al citato articolo 25, par. 1, 2° capoverso, lettera c).

In particolare, tale verifica è espletata nel rispetto di un predeterminato piano dei controlli, approvato dal Ministero, conforme al modello approvato con il DM 2 novembre 2010, pubblicato in GU n. 271 del 19-11-2010. (Allegato 2).

 

N.B. fa fede solo il testo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

CERVETERI

D.O.C.

Decreto 21 Luglio 2010

(fonte GURI)

Modifica Decreto 30 novembre 2011

(fonte Mipaaf)

 

DISCIPLINARE DI  PRODUZIONE  DEI  VINI  A  DENOMINAZIONE  DI  ORIGINE CONTROLLATA

(fonte GURI)

 

Articolo 1

Denominazione e vini

 

La denominazione di origine controllata «Cerveteri» e'  riservata  ai vini che rispondono alle condizioni ed a  i  requisiti  del  presente disciplinare di produzione per  le  seguenti  tipologie: 

 

«Cerveteri»bianco;

«Cerveteri» bianco  amabile; 

«Cerveteri»  bianco  frizzante;

«Cerveteri» rosso;

«Cerveteri»  rosso  amabile; 

«Cerveteri»  rosato;

«Cerveteri» rosato frizzante;

«Cerveteri» Trebbiano o Procanico.

 

Articolo 2

Base ampelografica

 

I vini a denominazione  di  origine  controllata  «Cerveteri»  devono essere ottenuti esclusivamente mediante la  vinificazione  delle  uve prodotte da vigneti situati nella zona indicata nel successivo art. 3 e che, nell'ambito  aziendale  presentino  la  seguente  composizione ampelografica:

 

“Cerveteri bianco”:

Trebbiano toscano (localmente detto Procanico) per almeno il 50%;

Malvasia di Candia fino ad un massimo del 35%;

possono concorrere alla produzione altri vitigni a bacca bianca,  idonei  alla  coltivazione per  la Regione Lazio, fino ad un massimo del 15%.

 

“Cerveteri rosso e rosato”:

Sangiovese e Montepulciano congiuntamente in misura  non  inferiore al 60%,

con un minimo di presenza dell'uno o dell'altro  vitigno  non inferiore al 25%;

Merlot fino ad un massimo del 35%;

possono concorrere alla produzione altri vitigni a bacca rossa, idonei alla coltivazione per  la  Regione Lazio, fino ad un massimo del 15%;

 

“Cerveteri Trebbiano o Procanico”

Trebbiano toscano (localmente detto Procanico)  per  almeno  l'85%;

possono concorrere alla produzione altri vitigni a  bacca  bianca,  idonei  alla  coltivazione per  la Regione Lazio, fino ad un massimo del 15%.

 

Articolo 3

Zona di produzione

 

La zona di produzione delle uve ammessa alla produzione  dei  vini  a denominazione di origine controllata «Cerveteri» e' costituita, dagli interi territori dei comuni di

Cerveteri, Ladispoli, Santa  Marinella e Civitavecchia 

e  da  parte  dei  territori  dei  comuni  di 

Roma, Allumiere e Tolfa,

 tutti in provincia di Roma

e da parte  del  comune di Tarquinia

in provincia di Viterbo.

 

Tale zona e' così delimitata:

a nord-ovest il limite segue dalla foce verso nord il  fiume  Mignone sino alla località Pietrara, prende poi per la strada  che  porta  a c.le Lazi e prima di giungervi, piega verso nord-est per la strada  che costeggia il corso del Mignone passando per c.le Germini  (q.27), c.le Corpaccio (q.25) e a sud della località  Spalle di S. Maria fino ad incrociare, in prossimita' della q.27, il confine di provincia  di Roma e Viterbo.

Segue verso nord-est il confine provinciale lungo  il corso del Mignone sino a incontrare la strada ferrata,  quindi  lungo questa scende verso  sud-ovest  sino  al  confine  di  provincia,  in prossimità di Poggio dell'Aretta, prosegue lungo questi nella stessa direzione sino ad incrociare il confine del comune  di  Civitavecchia presso  c.  Sterpeto. 

Da  qui  segue   il   confine   comunale   tra Civitavecchia e Al lumiere prima  e  quello  tra  Santa  Marinella  e Allumiere poi sino in prossimità di  m.  Quartuccio;  prosegue  quindi verso sud lungo il confine tra Santa Marinella e  Tolfa  raggiungendo in località le Fondacce  la  quota  48  da  dove,  lungo  una  retta immaginaria verso est, raggiunge il punto di confluenza del fosso  di Chiavaccio con rio Fiume, e sul proseguimento  la  strada  per  Santa Severa in prossimità del km 3,5.

Il limite prosegue quindi verso est per la strada che porta alla q.144 del m. Fagiolano e ne discende per il sentiero che conduce a q.61 in prossimità del fosso Smeraldo.

Da q.61 segue una linea retta in direzione sud-est fino a raggiungere la q.97 sul sentiero che conduce alla Cava di Caolino,  prosegue  per tale sentiero passando a sud della q.118 fino a incontrare  il  segno convenzionale di muro a secco che delimita la  r.va  Pian  Sultano  e lungo la medesima prosegue passando per le quote 44,  116  e  129  il

località Castellaccio.

 

Articolo 4

Norme per la viticoltura

 

Le  caratteristiche  naturali  dell'ambiente,  come  i   terreni,   i microclimi, la giacitura e l'esposizione in cui si trovano i  vigneti ammessi  alla  produzione  dei  vini  a  denominazione   di   origine controllata «Cerveteri», devono essere atte a conferire a detti  vini le specifiche  caratteristiche  di  qualità  previste  dal  presente disciplinare di produzione.

La densità d'impianto minima deve  essere  di 

3.300  ceppi/ha, 

nei nuovi impianti e nei reimpianti.

La potatura deve assicurare le caratteristiche tradizionali delle uve e il rispetto delle rese massime consentite.

Nei nuovi impianti e nei reimpianti i sistemi di  allevamento  devono essere a «controspalliera»,  o  ad  altro  sistema  che  assicuri  le caratteristiche tradizionali delle uve, con  esclusione  delle  forme espanse tipo tendone.

E' vietata ogni pratica di forzatura. 

E'  ammessa  l'irrigazione  di soccorso.

 

La resa massima di uva per ettaro e' di

14,00 tonnellate per le uve bianche

13,00 tonnellate per le uve rosse.

Nella  coltura  promiscua  la  resa  va  calcolata,  con  gli  stessi massimali, sulla superficie effettivamente impegnata dalla vite.

Nelle annate favorevoli i quantitativi di uve ottenuti e da destinare alla produzione dei  vini  a  denominazione  di  origine  controllata «Cerveteri» devono essere riportati nei limiti di cui  sopra  purché la produzione globale non superi del 20%  i  limiti  medesimi,  fermo restando i limiti resa uva/vino per i quantitativi di cui trattasi.

 

Le uve devono presentare un tenore zuccherino tale da  assicurare  al vino un titolo alcolometrico volumico minimo non inferiore  al 

10,50% vol. per i vini bianchi

11,00% vol. per i vini rossi.

La regione Lazio, con proprio decreto, sentite le  organizzazioni  di categoria interessate di anno in anno, prima della vendemmia,  tenuto conto delle condizioni ambientali e di coltivazione,  può stabilire un limite massimo di produzione di uva per ettaro inferiore a  quello fissato dal presente disciplinare, dandone immediata comunicazione al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali -  Comitato nazionale per la tutela e la valorizzazione  delle  denominazioni  di origine e delle indicazioni geografiche tipiche dei vini.

 

Articolo 5

Norme per la vinificazione

 

Le operazioni di vinificazione devono essere  effettuate  all'interno della zona di produzione delle uve delimitata nel precedente  art.  3 nonché nell'intero territorio comunale di Tarquinia.

Nella vinificazione sono  ammesse  soltanto  le  pratiche  enologiche leali e  costanti,  atte  a  conferire  ai  vini  le  loro  peculiari caratteristiche.

La  resa  massima  dell'uva  in  vino  a  denominazione  di   origine controllata «Cerveteri», pronto per il consumo, non deve superare  il 70%.

Qualora superi detto limite, ma non oltre il 75%, l'eccedenza non  ha diritto alla denominazione di origine; oltre il 75% decade il diritto alla denominazione di origine controllata «Cerveteri»  per  tutto  il prodotto.

I prodotti utilizzabili per  la  correzione  dei  mosti  e  dei  vini dovranno  provenire  esclusivamente  da  uve  prodotte  nei   vigneti iscritti  all'albo  dei  vigneti  della  denominazione   di   origine controllata  «Cerveteri»,  ad  esclusione   del   mosto   concentrato rettificato.

 

Articolo 6

Caratteristiche al consumo

 

I vini a denominazione di origine controllata  «Cerveteri»,  all'atto dell'immissione al consumo, devono avere le seguenti caratteristiche:

 

«Cerveteri» bianco:

- colore: giallo paglierino piu' o meno intenso;

- profumo: vinoso, gradevole, delicato;

- sapore: secco, pieno, armonico;

- titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.;

- acidità totale minima: 4,50 g/l;

- estratto non riduttore minimo: 14,00 g/l.

 

«Cerveteri» bianco amabile:

- colore: giallo paglierino;

- profumo: fruttato gradevole, delicato;

- sapore: amabile;

- titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.;

- acidità totale minima: 5,00 g/l;

- estratto non riduttore minimo: 14,00 g/l.

 

«Cerveteri» bianco frizzante:

- spuma: vivace, evanescente;

- colore: giallo paglierino;

- profumo: gradevole, delicato;

- sapore: dal secco all'abboccato;

- titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.

- acidità totale minima: 4,50 g/l; ;

- estratto non riduttore minimo: 14,00 g/l.

 

«Cerveteri» rosso secco:

- colore: rosso rubino più o meno intenso;

- profumo: vinoso, caratteristico;

- sapore: secco, sapido, armonico, di giusto corpo;

- titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol.;

- acidità totale minima: 4,50 g/l; ;

- estratto non riduttore minimo: 20,00 g/l.

 

«Cerveteri» rosso amabile:

- colore: rosso intenso;

- profumo: vinoso, caratteristico;

- sapore: amabile, vellutato;

- titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.;

- acidita' totale minima: 4,50 g/l; ;

- estratto non riduttore minimo: 20,00 g/l.

 

«Cerveteri» rosato:

- spuma: vivace ed evanescente;

- colore: rosa più o meno intenso;

- profumo: fruttato gradevole;

- sapore: fine, delicato, armonico;

- titolo alcolometrico volumico totale minimo: 1100% vol.;

- acidità totale minima: 5,00 g/l; ;    

- estratto non riduttore minimo: 16,00 g/l.

 

«Cerveteri» rosato frizzante:

- spuma: vivace ed evanescente;

- colore: rosa più o meno intenso;

- profumo: fruttato gradevole;

- sapore: delicato, armonico, fresco  e vivace;

- titolo alcolometrico volumico totale minimo: 1100% vol.;

- acidità totale minima: 5,00 g/l; ;    

- estratto non riduttore minimo: 16,00 g/l.

 

«Cerveteri» Trebbiano o Procanico:

- colore: giallo paglierino piu' o meno carico;

- profumo: gradevole, delicato, fruttato;

- sapore: secco, di giusto corpo, armonico, vellutato;

- titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol.;

- acidità totale minima 4,50 g/l;

- estratto non riduttore minimo: 16,00 g/l.

 

E' facoltà del Ministero  delle  politiche  agricole,  alimentari  e forestali - Comitato nazionale per  la  tutela  e  la  valorizzazione delle  denominazioni  di  origine  e  delle  indicazioni  geografiche tipiche dei vini di modificare con proprio decreto i  sopra  indicati limiti di acidità totale e dell'estratto secco

 

Articolo 7

Etichettatura e presentazione

 

Alla denominazione di  origine  controllata  «Cerveteri»  e'  vietata l'aggiunta di qualsiasi  qualificazione  non  prevista  dal  presente disciplinare,   ivi   compresi   gli   aggettivi   «extra»,   «fine», «superiore», «scelto», «selezionato» e simili.

E' consentito l'uso di indicazioni di nomi, ragioni  sociali,  marchi privati purché non aventi significato laudativo e  non  suscettibili di indurre in errore l'acquirente circa la  natura  e  l'origine  del prodotto.

E' consentito indicare nomi  di  unità  amministrative  o  località dalle quali provengono le uve da cui il vino così designato e' stato ottenuto.

E' consentito indicare il termine «vigna» seguito dal  corrispondente toponimo, purché in conformità  alla normativa vigente

 

Articolo 8

Confezionamento

 

I vini a denominazione  di  origine  controllata  «Cerveteri»  devono essere immessi al consumo esclusivamente in recipienti  di  capacità nominale fino a 10 litri.

E'  consentito  confezionare  i  vini  a  denominazione  di   origine controllata   "Cerveteri"   senza   specificazioni   aggiuntive,   in contenitori alternativi al vetro costituiti da un otre  in  materiale plastico pluristrato di polietilene  e  poliestere  racchiuso  in  un involucro di cartone o di altro materiale rigido,  di  capacità non inferiore a 2 litri .".

Nell'etichettatura dei vini a denominazione  di  origine  controllata "Cerveteri" e' obbligatoria l'indicazione dell'annata  di  produzione delle uve.

 

Articolo 9

Legame con l’ambiente geografico

 

A) Informazioni sulla zona geografica.

1. Fattori naturali rilevanti per il legame.

La zona geografica delimitata ricade nella parte occidentale della regione Lazio, lungo il litorale, per la maggior parte in Provincia di Roma, e per una piccola quota in comune di Tarquinia in provincia di Viterbo: l’area, che si estende per circa 7.000 ettari, comprende la parte settentrionale dell’Agro romano ed il litorale laziale centro settentrionale con le colline retrostanti.

L’andamento del territorio retrostante il litorale, che si estende dal basso tarquiniese al ceretano, è caratterizzato da un aspetto collinare, ma spesso addolcito da grandi pianori tufacei, dovuti ad una attività eruttiva di tipo lineare del sistema sabatino, che ha dato luogo a pareti scoscese con declivi e versanti alquanto arrotondati che si raccordano in valli poco solcate ed incise da fossi o torrenti.

Conseguentemente la genesi del territorio è segnata da una lunga vicenda geologica scandita da tre fasi di vulcanesimo che risalgono rispettivamente all’Eocene, al Miocene e al Quaternario: queste hanno originato nel medesimo comprensorio tre settori a caratteristiche morfologiche differenziate e quindi tre tipi di terreni. Una serie di picchi quasi tutti di tipo trachitico rappresentano i punti più alti (e geologicamente più antichi) dove le cime più elevate possono talora superare i 600 m s.l.m.

(M. delle Grazie, M. della Frombola e M. Sassicari), al contrario la Montagnola e la Tolfaccia rappresentano due cupole laviche isolate, mentre il pianoro di Pian Sultano risulta composto, almeno superficialmente da un grande piastrone di travertino.

Si riscontrano di conseguenza: terreni del Pliocene Superiore e Pleistocene composti da prodotti tardovulcanici (lave in domi, ignimbriti e tufi); terreni del Miocene Superiore – Pliocene composti da argille grigie e sabbie argillose: questi terreni sono sovrastati da quattro piccole acropoli (i “Piani”) del Quaternario (ignimbriti e tufi) riferibili all’apparato vulcanico sabatino; terreni che risalgono al Cretaceo Superiore composto da argilliti brune con alternanze di calcari (marnosi e silice). Nel litorale, di origine alluvionale ed interessato parzialmente dalle formazioni vulcaniche sono presenti: terreni derivanti da dune antiche e dune costiere di sabbie consolidate (sabbie di litorale marino o di litorale lacustre); terreni composti da sabbie con marne ed argille, depositi alluvionali antichi con ghiaia e sabbie più o meno

argillose con depositi palustri e lacustri; terreni derivanti da depositi vulcanici come le piroclastici, le pozzolane nere e le pozzolane rosse.

Sono presenti anche terreni costituiti da sedimenti marini di natura argillosa che rappresentano il lito-tipo più antico affiorante nell’area romana e che emergono nelle aree più depresse e lungo le principali incisioni vallive. Al colmo dei rilievi collinari affiorano, invece, prodotti vulcanici quali i tufi stratificati, provenienti dall’apparato dei monti Sabatini.

L’altitudine dei terreni coltivati a vite è compresa tra i 5 e i 400 m s.l.m.: l’esposizione generale è orientata verso ovest.

Il clima dell’area è di tipo mediterraneo ed è caratterizzato da precipitazioni medie annue scarse comprese tra i 593 ed i 811 mm, con aridità estiva intensa e prolungata per 4 mesi da maggio ad agosto (pioggia 53-71 mm) con un mese di subardità (aprile) nelle quote più basse. Temperatura media piuttosto elevata compresa tra i 15,0 ed i 16,4°C: freddo poco sensibile, concentrato nel periodo invernale, tuttavia presente anche a novembre ed aprile, con temperatura media inferiore ai 10°C per 2-3 mesi l’anno e temperatura media minima del mese più freddo dell’anno che oscilla tra

3,7 e 6,8° C.

La combinazione tra natura del terreno e fattori climatici fanno della zona delimitata come DOC Cerveteri un territorio altamente vocato alla produzione di vini di pregio.

2. Fattori umani rilevanti per il legame.

Di fondamentale rilievo sono i fattori umani legati al territorio di produzione, che per consolidata tradizione hanno contribuito ad ottenere il vino “Cerveteri”.

La coltivazione della vite in Lazio ha origini antichissime, iniziata sicuramente dagli Etruschi, raggiunse un notevole progresso, favorito anche da evolute conoscenze tecniche e da materiale ampelografico di varia origine, raccolto attraverso gli ampi rapporti commerciali di questo popolo.

Per quanto riguarda le zone e i vitigni coltivati dagli Etruschi, alcuni scritti di Plinio testimoniano in modo abbastanza preciso la produzione vitivinicola in Etruria.

A Gravisca (antico porto di Tarquinia) e nell'antica Statonia (nel territorio di Vulci) già nel 540-530 a.C. i vigneti erano in grado di fornire una produzione sufficiente ad alimentare un rilevante commercio esterno.

Le fonti letterarie ed archeologiche testimoniano l’esistenza di una importante e rinomata produzione vitivinicola nel territorio ceretano: la scoperta del relitto di una nave etrusca nelle acque antistanti Marsiglia, risalente al VI secolo a.C., racconta del ruolo svolto dagli esperti viticoltori e grandi commercianti degli Etruschi di Cerveteri. I georgici latini citano più volte il vino del Ceretano: Marziale ricorda il vino caeretanus come ottimo e che assomigliava al Setino vecchio e di buona qualità e, anche Columella celebra l’antica Cere per il suo vino squisito.

Nei corso dei secoli la viticoltura ha mantenuto il ruolo importante nell’economia agricola del territorio contribuendo allo sviluppo sociale ed economico dell’area come testimonia la Sagra dell’uva e del vino dei Colli Ceriti giunta alla cinquantesima edizione.

Grazie alle loro peculiarità, numerosi sono i riconoscimenti che hanno ricevuto e continuano a ottenere, i vini a DOC Cerveteri sia in ambito locale, nazionale che internazionale; ben figurano inoltre sulle principali guide nazionali.

L’incidenza dei fattori umani, nel corso della storia, è in particolare riferita alla puntuale definizione dei seguenti aspetti tecnico produttivi, che costituiscono parte integrante del vigente disciplinare di produzione:

base ampelografica dei vigneti:

i vitigni idonei alla produzione del vino in questione, sono quelli tradizionalmente coltivati nell’area geografica considerata: il Trebbiano toscano, localmente detto Procanico e la Malvasia di Candia per i vini bianchi ed il Montepulciano ed il Sangiovese per quelli rossi;

le forme di allevamento, i sesti d’impianto e i sistemi di potatura che, anche per i nuovi impianti:

sono quelli tradizionali e tali da perseguire la migliore e razionale disposizione sulla superficie delle viti, sia per agevolare l’esecuzione delle operazioni colturali, sia per consentire la razionale gestione della chioma, permettendo di ottenere una adeguata superficie fogliare ben esposta e di contenere le rese di produzione di vino entro i limiti fissati dal disciplinare (98 hl/ha per la tipologie bianche e 91 hl/ha per le tipologie rosse);

le pratiche relative all’elaborazione dei vini:

che sono quelle tradizionalmente consolidate in zona per la vinificazione di vini bianchi complessi ed equilibrati ed in rosso di vini tranquilli e strutturati, adeguatamente differenziate per le tipologie ferme e le tipologie frizzanti.

 

B) Informazioni sulla qualità o sulle caratteristiche del prodotto essenzialmente o esclusivamente

attribuibili all'ambiente geografico.

La DOC “Cerveteri” è riferita a quattro tipologie di vino bianco (“Cerveteri bianco”, “Cerveteri bianco amabile”, “Cerveteri bianco frizzante e “Cerveteri Trebbiano o Procanico”), a due tipologie di vino rosso (“Cerveteri rosso” e “Cerveteri rosso amabile”) ed a due tipologie di vino rosato (“Cerveteri rosato” e “Cerveteri rosato frizzante”) che dal punto di vista analitico ed organolettico presentano caratteristiche molto evidenti e peculiari, descritte all’articolo 6 del disciplinare, che ne permettono una chiara individuazione e tipicizzazione legata all’ambiente geografico.

Nello specifico le singole tipologie di vino si caratterizzano:

“Cerveteri” bianco:

vino fresco ed equilibrato, con colore giallo paglierino più o meno intenso, odore intenso con note floreali, (erba aromatiche, insieme a note fruttate di mela e mandorla), sapore secco, intenso ed equilibrato.

“Cerveteri” bianco amabile:

vino fresco ed equilibrato, con colore giallo paglierino, odore intenso con note floreali, (erba aromatiche, insieme a note fruttate di mela e mandorla), sapore, amabile ed equilibrato.

“Cerveteri” bianco frizzante:

vino fresco ed equilibrato, con colore giallo paglierino con perlage vivace ed evanescente, odore intenso con note floreali e fruttate, sapore secco o amabile, equilibrato.

“Cerveteri” Trebbiano o Procanico:

vino fresco ed equilibrato e strutturato, con colore giallo paglierino più o meno carico, odore intenso con note floreali, sapore secco, intenso ed equilibrato.

“Cerveteri” rosso:

buona struttura e presenza di buone dotazioni polifenoliche e tanniche polimerizzate, che conferiscono al vino carattere di pienezza di corpo e assenza di ruvidezza.

Il colore rosso è rubino più o meno intenso, odore intenso con sentori fruttati (bacche e drupe) e floreali (viola), sapore secco, armonico di giusto corpo.

“Cerveteri” rosso amabile:

buona struttura con un modesto tenore di acidità, il colore è rosso intenso, odore caratteristico, sapore amabile e vellutato.

“Cerveteri” rosato:

vino fresco e vivace, con colore rosa più o meno intenso, odore gradevole e fruttato, sapore fine, delicato e armonico.

Al sapore tutti i vini presentano un’acidità normale, un amaro poco percepibile, poca astringenza e buona struttura, che contribuiscono al loro equilibrio gustativo.

 

C) Descrizione dell'interazione causale fra gli elementi di cui alla lettera A) e quelli di cui alla lettera B).

L’orografia pianeggiante o dolcemente collinare dell’areale di produzione, nel litorale laziale centrosettentrionale, e l’esposizione ad ovest, concorrono a determinare un ambiente arioso e luminoso, particolarmente vocato per la coltivazione dei vigneti del “Cerveteri”.

Anche la tessitura e la struttura chimico-fisica dei terreni interagiscono in maniera determinante con la coltura della vite, contribuendo all’ottenimento delle peculiari caratteristiche fisico chimiche ed organolettiche del “Cerveteri”.

In particolare, i terreni, di origini vulcanica derivanti da depositi vulcanici come le piroclastici, le pozzolane nere e le pozzolane rosse o di origine alluvionale ed interessati parzialmente dalle formazioni vulcaniche con presenza di dune antiche e dune costiere di sabbie consolidate (sabbie di litorale marino o di litorale lacustre) e di terreni composti da sabbie con marne ed argille, oppure da depositi alluvionali antichi con ghiaia e sabbie più o meno argillose con depositi palustri e lacustri, presentano caratteristiche tali da renderli idonei ad una vitivinicoltura di qualità.

Anche il clima dell’areale di produzione, caratterizzato da precipitazioni normali (mediamente 710 mm), con scarse piogge estive (61 mm) ed aridità nei mesi estivi, da una buona temperatura media annuale (15.6 °C), unita ad una temperatura elevata ed a una ottima insolazione, consente alle uve di maturare completamente, contribuendo in maniera significativa alle particolari caratteristiche organolettiche del vino "Cerveteri".

In particolare, la combinazione tra le caratteristiche del terreno ed i fattori climatici, determina per i vini bianchi, la produzione di significative quantità di precursori aromatici che consentono di esaltare le caratteristiche organolettiche e i sentori tipici dei diversi vitigni e per i vini rossi un’ottimale maturazione fenolica, che unita ad un ottimale rapporto tra zuccheri e acidi permette di ottenere vini caratterizzati da elevata struttura, un grande equilibrio fra le diverse componenti.

La millenaria storia vitivinicola riferita alla terra dell’antica “Caere”, dagli Etruschi passando per i Romani, al medioevo, fino ai giorni nostri, attestata da numerosi documenti, è la generale e fondamentale prova della stretta connessione ed interazione esistente tra i fattori umani e la qualità e le peculiari caratteristiche del “Cerveteri”.

Ovvero è la testimonianza di come l’intervento dell’uomo nel particolare territorio abbia, nel corso dei secoli, tramandato le tradizionali tecniche di coltivazione della vite ed enologiche, le quali nell’epoca moderna e contemporanea sono state migliorate ed affinate, grazie all’indiscusso progresso scientifico e tecnologico, fino ad ottenere i rinomati vini “Cerveteri”, le cui peculiari caratteristiche sono descritte all’articolo 6 del disciplinare.

In particolare la presenza della viticoltura nella zona del “Cerveteri” è attestata fin dall’epoca degli Etruschi, in molte opere dei georgici latini.

In tempi più recenti, nel 1761, il Marchese Frangiapani nella Istoria dell’antichissima città di Civitavecchia, riporta in un passo la vigna del Sig. Malacrosta, e nel 1803, il Nicolaj nelle Memorie, leggi, ed osservazioni sulle campagne e sull’Annona di Roma riporta numerosi terreni vignati in località Castiglione, Carlotta di Ceri, San Martino di Ceri, Villa del Sasso, Santa Marinella (con annessa osteria), Santa Severa (Prato della rocca, Rimessone, Castello) ancora oggi interessati dalla viticoltura.

La grande quantità di resti di antichi monumenti e di tombe etrusche ha dato vita a partire dall’ottocento ad imponenti campagne di scavi: infatti nel Bullettino dell’Istituto di Corrispondenza Archeologica è riportata la relazione di un viaggio fatto nell’antica Etruria e si citano scavi eseguiti nella vigna Argoli.

Nel 1840 il Canina riferisce di aver eseguito uno scassato nella vigna di Paolo Calabresi in Cerveteri ed il Grifi, nel Giornale Arcadico in Atti della Pontificia Accademia Romana di Architettura, di aver scoperto dei monumenti antichi nei terreni dell’Arcipretura di Ceri, detti i Vignali. Nel 1833, il Bullettino di notizie statistiche ed economiche italiane e straniere riporta per Corneto, l’attuale Tarquinia, “..vi allignano mirabilmente le vigne”.

Il Manzi, nel 1837 nell’opera Stato antico ed attuale del porto città e provincia di Civitavecchia, riporta la bontà di taluni vini di Tolfa e cita il Chiabrera che cantò: “Io sprono a tutta briglia in ver la Tolfa / là dove Bassareo manna distilla. Anche nell’Inchiesta Jacini, Atti della Giunta per la Inchiesta Agraria e sulle condizioni della classe agricola (1883), si riportano aumenti di superfici a vigneto nei comuni di Cerveteri con varietà principali Uva Grassa, Buccia dura, Verdello, Spagnuola e Procanico e Tolfa (Pergolese e Aleatico).

La storia recente è caratterizzata da un’evoluzione positiva della denominazione, con l’impianto di nuovi vigneti, la creazione della Cantina sociale, la nascita di nuove aziende che, unite alla professionalità degli operatori hanno contribuito ad accrescere il livello qualitativo e la rinomanza del “Cerveteri”.

 

Articolo 10

Riferimenti alla struttura di controllo

 

Nome e Indirizzo:

Camera di Commercio, Industria, Artigianato ed Agricoltura di Roma

Via Appia Nuova 218

00179 Roma

Telefono 06/52082699 - Fax 06/52082494; E-mail lcm.amministrazione@rm.camcom.it

La C.C.I.A.A. di Roma è l’Organismo di controllo autorizzato dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 61/2010 (Allegato 1) che effettua la verifica annuale del rispetto delle disposizioni del presente disciplinare conformemente all’articolo 25, par 1, 1° capoverso, lettera a) e c), ed all’articolo 26 del Reg CE n. 607/2009, per i prodotti beneficianti della DOP, mediante una metodologia dei controlli sistematica nell’arco dell’intera filiera produttiva (viticoltura, elaborazione, confezionamento), conformemente al citato articolo 25, par. 1, 2° capoverso, lettera c).

In particolare, tale verifica è espletata nel rispetto di un predeterminato piano dei controlli, approvato dal Ministero, conforme al modello approvato con il DM 2 novembre 2010, pubblicato in GU n. 271 del 19-11-2010. (Allegato 2).

 

N.B. fa fede solo il testo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

CESANESE DI AFFILE

AFFILE

D.O.C.
Decreto 18 aprile 2011

(fonte GURI)

Modifica Decreto 30 novembre 2011

(fonte Mipaaf)

 

 Articolo 1

 Denominazione e vini

 

La denominazione d'origine controllata  "Cesanese  di  Affile"  o "Affile" è riservata ai vini che rispondono  alle  condizioni  e  ai requisiti prescritti dal presente disciplinare di produzione  per  le

tipologie:

"Cesanese di Affile" o "Affile";

"Cesanese di Affile" o "Affile" dolce;

"Cesanese di Affile" o "Affile"riserva.

 

 

 Articolo 2

 Base ampelografica

 

Il vino "Cesanese di Affile"  o  "Affile"  deve  essere  ottenuto dalle uve prodotte dai  vigneti  aventi,  nell'ambito  aziendale,  la seguente composizione ampelografica:

Cesanese di Affile per non meno del 90%;

altri vitigni a bacca rossa idonei  alla  coltivazione  per  la Regione Lazio per non più del 10%.

La base ampelografica dei vigneti, già iscritti  all'albo  dei vigneti della  denominazione  di  origine  controllata  "Cesanese  di Affile" o "Affile", deve essere adeguata, entro la  decima  vendemmia successiva alla data di pubblicazione del  presente  disciplinare  di produzione.

Sino alla scadenza, indicata nel precedente comma, i vigneti di cui sopra, iscritti a titolo transitorio all'albo dei  vigneti  della denominazione di origine controllata dei vini "Cesanese di  Affile  o "Affile", potranno usufruire della denominazione medesima.

 

 

Articolo 3

Zona di produzione

 

La zona di produzione del vino  "Cesanese  di  Affile"  comprende tutto il territorio comunale di

Affile e di Roiate

e parte di  quello di

Arcinazzo,

In provincia di Roma.

 

Tale zona è così delimitata:

partendo dall'incrocio del confine comunale di Roiate con il confine provinciale tra Roma  e  Frosinone,

in località La Morra Rossa, il limite segue il  confine  occidentale del comune di Roiate fino all'altezza del Colle della Grotta e quindi quello di Affile, prima in direzione nord e poi sud-est e  sud-ovest, sino a incontrare la strada tra  Arcinazzo  e  Affile,  in  località Madonna del Giglio.

Segue questa strada in  direzione  di  Arcinazzo, supera il centro abitato e raggiunge, in prossimità del  km  84,  la

strada statale 44, prosegue verso ovest su tale strada per circa  250 metri e quindi lungo il sentiero, che in direzione sud  conduce  alla Fontana del Cantoniere.

Su  tale  sentiero  prima  di  giungere  alla Fontana del Cantoniere incrocia la curva di livello q. 725, la  segue in direzione nord-ovest fino a  incrociare  il  confine  comunale  di Affile sul fosso di Valletorta.

Prosegue lungo il confine comunale di Affile verso sud fino a incrociare quello  di  Roiate,  segue  questi nella stessa direzione fino a incontrare il confine tra  le  province di Roma e Frosinone.

Prosegue quindi verso ovest,  lungo  il  confine provinciale, sino alla località la Morra Rosa,  chiudendo  così  la

delimitazione.

 

Articolo 4

Norme per la viticoltura

 

Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti destinati  alla produzione del vino "Cesanese di Affile"  o  "Affile"  devono  essere quelle tradizionali della zona e, comunque, atte a conferire alle uve e al vino derivato le specifiche caratteristiche di qualità.

I sesti di impianto, le forme  di  allevamento  e  i  sistemi  di potatura devono essere quelli generalmente usati o  comunque  atti  a non modificare le caratteristiche delle uve e dei vini.

Per i nuovi impianti e reimpianti la  densità  non  può  essere inferiore a 3.000 ceppi per  ettaro  in  coltura  specializzata;  per detti impianti e' vietato il  sistema  di  allevamento  a  tendone  o pergola.

E' vietata ogni pratica di forzatura.

E' ammessa l'irrigazione di soccorso.

La produzione massima di uva ad ettaro e il titolo  alcolometrico volumico naturale minimo sono:

produzione uva: 10,00 t/ha;

titolo alcolometrico volumico naturale minimo: 12,00% vol.

A detto limite, anche in annate  eccezionalmente  favorevoli,  la resa dovrà essere riportata  attraverso  un'accurata  cernita  delle uve, purché la produzione non superi del 20% i limiti massimi.

 

Articolo 5

Norme per la vinificazione

 

Le  operazioni  di   vinificazione   devono   essere   effettuate nell'intero  territorio  dei  comuni  di 

Arcinazzo  Romano,  Affile, Roiate, Olevano Romano, Genazzano

in provincia di Roma,

e di  Serrone del Frusinate, Piglio,  Paliano,  Acuto  e  Anagni

in  provincia  di Frosinone.

Nella vinificazione sono ammesse soltanto  le  pratiche  leali  e costanti, tradizionali della  zona,  atte  a  conferire  al  vino  le peculiari caratteristiche.

La resa massima dell'uva in vino non  deve  essere  superiore  al 65%.

Qualora la resa uva/vino superi i limiti di  cui  sopra,  ma  non oltre  il  70%,  l'eccedenza  non  ha  diritto   alla   denominazione d'origine.

Oltre detto limite decade il  diritto  alla  denominazione d'origine controllata per tutta la partita.

Per il vino "Cesanese  di  Affile"  o  "Affile"  l'immissione  al consumo è consentita non prima del

1°  luglio  dell'anno  successivo alla vendemmia.

Il vino "Cesanese di  Affile"  o  "Affile"  Riserva  deve  essere sottoposto ad un periodo di invecchiamento non inferiore  a 

24  mesi

(decorrenza anno vendemmia 1° novembre),

di cui 6 mesi di affinamento in bottiglia.

 

Articolo 6

Caratteristiche al consumo

 

I vini "Cesanese di Affile" o "Affile", di cui all'art. 1  devono rispondere,  all'atto  dell'immissione  al  consumo,  alle   seguenti caratteristiche:

 

"Cesanese di Affile" o "Affile":

colore: rosso rubino con riflessi violacei;

profumo: delicato, caratteristico;

sapore: asciutto, morbido, armonico;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,50% vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 22,00 g/l.

 

"Cesanese di Affile" o "Affile" dolce:

colore: rosso vivace con riflessi porpora;

profumo: delicato, caratteristico;

sapore: armonico, dolce, caratteristico;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 9,00% vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

zuccheri residui: superiori a 45,00 g/l;

estratto non riduttore minimo: 22,00 g/l.;

 

"Cesanese di Affile" o "Affile" Riserva:

colore: rosso rubino tendente al granato con l'invecchiamento;

profumo: intenso e persistente;

sapore: secco, armonico, vellutato;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 13,00% vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 26,00 g/l.

 

E' in facoltà del Ministero delle politiche agricole  alimentari e forestali - Comitato Nazionale per la Tutela  e  la  Valorizzazione delle  Denominazioni  di  Origine  e  delle  Indicazioni  Geografiche Tipiche dei  Vini  -  modificare  i  limiti  dell'acidità  totale  e dell'estratto secco netto con proprio decreto.

 

 

Articolo 7

Etichettatura designazione e presentazione

 

Alla denominazione di cui all'art. 1  è  vietata  l'aggiunta  di qualsiasi qualificazione diversa  da  quelle  previste  nel  presente disciplinare,  ivi  compresi  gli  aggettivi.  "superiore",  "extra", "fine", "scelto", "selezionato" e simili.

E' tuttavia  consentito  l'uso  di   indicazioni   che   facciano riferimento a  nomi,  ragioni  sociali,  marchi  privati  non  aventi significato laudativo e non idonei a trarre in inganno l'acquirente.

Nella designazione e presentazione dei vini di cui all'art 1 deve figurare l'annata di produzione delle uve.

 

 

Articolo 8

Confezionamento

 

I vini di cui all'art. 1 possono essere  immessi  al  consumo  in recipienti di vetro di volume nominale fino a 0.75 litri  chiusi  con tappo "raso bocca".

E' consentito per  la  sola  tipologia  "Cesanese  di  Affile"  o "Affile" riserva l'utilizzo di bottiglie di vetro da 1,5 e 3 litri.

 

Articolo 9

Legame con l’ambiente geografico

A) Informazioni sulla zona geografica.

1. Fattori naturali rilevanti per il legame.

La zona geografica delimitata ricade nella parte Centro Orientale della regione Lazio, in Provincia

di Roma. L’area che si estende per circa 1.380 ettari, comprende un territorio di alta collina, situato

sulle pendici dei Monti Affilani che fanno parte della catena pre-appenninica costituita da tre gruppi

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calcarei dei Ruffi, Prenestini e Affilani, laddove nelle vallate e nei pendii posti ad ovest, sono

coltivati i vigneti del “Cesanese di Affile” o “Affile”.

I terreni dell’area sono riconducibili principalmente alle terre rosse, derivate dal fenomeno di

erosione dei Monti Affilani, operato sia da fenomeni glaciali che dall'azione delle acque meteoriche.

Nella maggior parte dei casi, queste terre assumono una colorazione rosso scuro imputabile alla

presenza di ossidi di ferro e di alluminio liberi. Si sono originate per decalcificazione di rocce

sedimentarie calcaree e possono assumere caratteri fisici molto vari: si riscontrano infatti terre rosse

pesanti con tessitura argillo-limosa, ma si possono anche riscontrare (poco diffuse) terre rosse

sciolte aventi detriti di natura calcarea (rosse detritiche).

L’altitudine dei terreni coltivati a vite è compresa tra i 350 e i 950 m s.l.m. con pendenza variabile e

l’esposizione generale è orientata verso ovest, sud-ovest e sud.

Il clima dell’area è di tipo temperato ed è caratterizzato da precipitazioni medie annue molto

abbondanti comprese tra i 1431 ed i 1606 mm, con aridità estiva assente (pioggia 123-160 mm). La

temperatura media è compresa tra i 12,0 ed i 13,6°C: freddo intenso in inverno, con temperatura

media inferiore ai 10°C per 5-6 mesi l’anno e temperatura media minima del mese più freddo

dell’anno che oscilla tra 0,1 e 1,3° C.

La combinazione tra natura del terreno e fattori climatici fanno della zona delimitata come DOC

Cesanese di Affile un territorio altamente vocato alla produzione di vini di pregio..

2. Fattori umani rilevanti per il legame.

Di fondamentale rilievo sono i fattori umani legati al territorio di produzione, che per consolidata

tradizione hanno contribuito ad ottenere il vino “Cesanese di Affile”. I territori di Affile, già abitati

dalle popolazioni italiche degli Equi e degli Ernici dall’anno 1000 a.C., divennero nel 133 a.C.

colonia romana, con la conseguente suddivisione del territorio in piccoli appezzamenti e successiva

deduzione ai coloni delle aree da coltivare. Nel Medioevo e nel Rinascimento i contratti agrari ed i

documenti di varia natura, conservati presso gli archivi monastici, confermano la diffusione di tale

coltura.

Si trova conferma di tanta fama del Cesanese di Affile nel Seicento, quando il letterato locale

Rutilio Scotti, oltre che ricordane la bontà al palato, ne declama le caratteristiche medicamentose e

addirittura soprannaturali nel “resuscitare la morte in ciascun huomo”. E individuando nella

viticoltura la principale attività di queste terre, afferma: “gli habitatori la maggior parte vivono

sopra tali industrie et in quelle vengono riposti tutti i loro disegni et è cosa meravigliosa da

considerare come sia possibile che in tali paesi sieno tante vigne che nel tempo della calda Estate,

quando hanno le foglie, paiono talmente ornate da quelle, che rappresentano la somiglianza di

vaghe et verdeggianti selvotte”.

Risale al Settecento la previsione nello Statuto Municipale di Affile di “pene severissime a chiunque

avesse avuto l’ardire di recare danno alle vigne, sia per mano d’uomo che per tramite di bestiami”, a

conferma di quanto l’intera economia del paese fosse legata alla coltivazione del Cesanese.

Successivamente il Nibby, nell’opera Viaggio antiquario ne’ contorni di Roma (1837), parlando di

Affile rileva che è segregato, “ma nulladimeno fra quelle montagne ha un territorio fertile e

particolarmente vitifero, che da un vino squisito da poter stare a fronte del così detto aleatico”; nel

1854, nel Dizionario di erudizione storica-ecclesiastica, il Moroni riporta per Affile “..con territorio

fertile, parte in piano, producente eccellente vino simile all’aleatico” e per Ponza (l’attuale Arcinazzo

romano) “abbonda di grano.., e vino a sufficienza” e nel 1856 il canonico Jannuccelli, nelle Memorie

di Subiaco e della sua badia, descrive diffusamente la città di Affile soffermandosi anche

sull’agricoltura della zona: “..il castello è esposto a mezzogiorno e circondato da vigne” ed ancora

“hanno rinomanza i sui vini, massime i rossi”.

Nei primi decenni del Novecento il vino Cesanese di Affile ha conquistato numerosi premi in

manifestazioni nazionali ed internazionali: si citano i Diplomi di Gran Premio e Medaglia d’oro

ottenuti all’Esposizione Internazionale di Bruxelles, all’Exposition Generale Commerciale di Parigi,

all’Esposizione Internazionale delle Industrie e del Lavoro di Milano, all’Esposizione

5

Internazionale di Roma e il Diploma di Gran Premio d’Onore all’Esposizione Fiera Internazionale

di Roma.

Anche nel presente, i vini a DOC Cesanese di Affile hanno ricevuto e continuano a ottenere numerosi

riconoscimenti nei concorsi sia nazionali, sia internazionali e ben figurano sulle principali guide

nazionali.

L’incidenza dei fattori umani, nel corso della storia, è in particolare riferita alla puntuale definizione

dei seguenti aspetti tecnico produttivi, che costituiscono parte integrante del vigente disciplinare di

produzione:

- base ampelografica dei vigneti: il vitigno idoneo alla produzione del vino in questione, è quello

tradizionalmente coltivato nell’area geografica considerata: il Cesanese di Affile;

- le forme di allevamento, i sesti d’impianto e i sistemi di potatura che, anche per i nuovi impianti,

sono quelli tradizionali e tali da perseguire la migliore e razionale disposizione sulla superficie delle

viti, sia per agevolare l’esecuzione delle operazioni colturali, sia per consentire la razionale gestione

della chioma, permettendo di ottenere una adeguata superficie fogliare ben esposta e di contenere le

rese di produzione di vino entro i limiti fissati dal disciplinare, pari a 65 hl/ha per tutte le tipologie;

- le pratiche relative all’elaborazione dei vini, che sono quelle tradizionalmente consolidate in zona

per la vinificazione in rosso dei vini tranquilli, adeguatamente differenziate per la tipologia di base

e le tipologie dolce e riserva, riferita quest’ultima a vini rossi maggiormente strutturati, la cui

elaborazione comporta determinati periodi di invecchiamento ed affinamento in bottiglia

obbligatori.

B) Informazioni sulla qualità o sulle caratteristiche del prodotto essenzialmente o esclusivamente

attribuibili all'ambiente geografico.

La DOC “Cesanese di Affile” o “Affile” è riferita a 3 tipologie di vino rosso (“di base”, “dolce” e

“Riserva”) che dal punto di vista analitico ed organolettico presentano caratteristiche molto evidenti e

peculiari, descritte all’articolo 6 del disciplinare, che ne permettono una chiara individuazione e

tipicizzazione legata all’ambiente geografico.

Nello specifico le singole tipologie di vino si caratterizzano:

· “Cesanese di Affile”: buona struttura e presenza di buone dotazioni polifenoliche e

tanniche polimerizzate, che conferiscono al vino carattere di pienezza di corpo, assenza di ruvidezza

e buona longevità. Il colore è rosso rubino con riflessi violetti, odore intenso con sentori fiorali e

fruttati (bacche e drupe) tipici della cultivar, sapore secco, armonico di giusto corpo.

· “Cesanese di Affile dolce”: discreta struttura con un modesto tenore di acidità, il colore

è rosso rubino con riflessi porpora, con aromi floreali e fruttati (ciliegia) tipici del vitigno, a cui si

accompagna lo speziato ed il vegetale, sapore gradevolmente dolce, armonico e caratteristico.

· “Cesanese di Affile Riserva”: buona struttura e presenza di buone dotazioni

polifenoliche polimerizzate, che conferiscono al vino carattere di pienezza di corpo, assenza di

ruvidezza e buona longevità. Il colore è rosso rubino con riflessi granati con l’invecchiamento,

odore intenso con sentori fiorali e fruttati (bacche e drupe) tipici della cultivar, che sfumano a

favore di quelli speziati o fenolici associabili al legno, sapore secco, armonico di giusto corpo.

Al sapore tutti i vini presentano un’acidità normale, un amaro poco percepibile, poca astringenza e

buona struttura che contribuiscono al loro equilibrio gustativo.

 

C) Descrizione dell'interazione causale fra gli elementi di cui alla lettera A) e quelli di cui alla lettera B).

L’orografia collinare dell’areale di produzione, nel bacino dell’alta valle dell’Aniene, e l’esposizione ad ovest, sud-ovest e sud, concorrono a determinare un ambiente arioso, luminoso e con un suolo naturalmente sgrondante dalle acque reflue, particolarmente vocato per la coltivazione dei vigneti del “Cesanese di Affile”. Da tale area sono peraltro esclusi i terreni esposti a nord ed est, non adatti ad una viticoltura di qualità.

Anche la tessitura e la struttura chimico-fisica dei terreni interagiscono in maniera determinante con la coltura della vite, contribuendo all’ottenimento delle peculiari caratteristiche fisico chimiche ed organolettiche del “Cesanese di Affile”.

In particolare, i terreni, riconducibili alle terre rosse con tessitura argillo-limosa presentano, in genere, limitato spessore ed un sottosuolo coerente. Anche dove lo strato attivo è abbastanza profondo, non si ottengono risultati produttivi soddisfacenti per altre colture intensive.

Sono infatti terre che di norma si rinvengono a quote superiori ai 500 m s.l.m. oppure a quota inferiore, ma con pendenze maggiori del 10%.

Nonostante la presenza di sottosuolo calcareo, che spesso contiene oltre al carbonato di calcio anche quello di magnesio, le terre rosse presentano uno scarso contenuto di tali sali e spesso ne sono completamente prive. Trattasi di terre che presentano un limitato contenuto di elementi nutritivi e che mal si prestano ad un’utilizzazione intensiva delle altre colture agrarie (anche in relazione alla loro giacitura); ma proprio in virtù di tali caratteristiche sono idonei ad una vitivinicoltura di qualità, con basse rese produttive, conferendo ai vini particolare vigore e complessità.

Anche il clima dell’areale di produzione, caratterizzato da precipitazioni abbondanti (1485 mm), con sufficienti piogge estive (160 mm) e assenza di aridità, da una temperatura non elevata, ma comunque sufficiente e un’ottima insolazione nei mesi di settembre ed ottobre, consente alle uve di maturare lentamente e completamente (in qualche anno anche fino al mese di novembre), contribuendo in maniera significativa alle particolari caratteristiche organolettiche del vino "Cesanese di Affile".

In particolare, la combinazione tra le caratteristiche del terreno ed i fattori climatici, determina un’ottimale maturazione fenolica, che unita ad un ottimale rapporto tra zuccheri e acidi, permette di ottenere vini caratterizzati da elevata struttura con un grande equilibrio fra le diverse componenti.

La millenaria storia vitivinicola riferita alla terra dell’ “Affile”, dall’epoca romana, al medioevo, fino ai giorni nostri, attestata da numerosi documenti, è la generale e fondamentale prova della stretta connessione ed interazione esistente tra i fattori umani e la qualità e le peculiari caratteristiche del “Cesanese di Affile”.

Ovvero è la testimonianza di come l’intervento dell’uomo nel particolare territorio abbia, nel corso dei secoli, tramandato le tradizionali tecniche di coltivazione della vite ed enologiche, le quali nell’epoca moderna e contemporanea sono state migliorate ed affinate, grazie all’indiscusso progresso scientifico e tecnologico, fino ad ottenere i rinomati vini “Cesanese di Affile”, le cui peculiari caratteristiche sono descritte all’articolo 6 del disciplinare.

Nel Medioevo e nel Rinascimento i contratti agrari ed i documenti di varia natura, conservati presso gli archivi monastici, confermano la diffusione di tale coltura.

Con la caduta dell'impero romano e la fine delle invasioni barbariche, la viticoltura in queste terre, nonostante i danni subiti, non perde la sua continuità con il passato e mantiene sempre un ruolo importante, come testimoniano i numerosi atti notarili, inerenti i terreni vitati, custoditi negli archivi dell’Abbazia di Subiaco.

La viticoltura, ed in particolare la varietà Cesanese di Affile, fu oggetto di gelosa cura da parte del popolo di Affile, che negli Statuti Municipali stabilì “pene severissime a chiunque avesse avuto l'ardire di recare danno alle vigne”.

Un connubio tra uomo e vite che permane immutato nei secoli che è testimoniato perfino dalla scelta dello stemma araldico municipale: un tralcio di vite dai grappoli neri e con un aspide attorcigliato lungo il tronco, presente da secoli sullo stemma del Comune.

Un riconoscimento da parte del popolo di Affile al prodotto più celebrato delle sue terre, responsabile nel corso dei secoli della notorietà del piccolo abitato.

La storia recente è caratterizzata da un’evoluzione positiva della denominazione: dopo un periodo di oblio, con l’impianto di nuovi vigneti, la nascita di nuove aziende e grazie alla professionalità degli operatori, il livello qualitativo e la rinomanza del “Cesanese di Affile” sono notevolmente aumentati.

 

Articolo 10

Riferimenti alla struttura di controllo

 

Nome e Indirizzo:

Camera di Commercio, Industria, Artigianato ed Agricoltura di Roma

Via Appia Nuova 218

00179 Roma

Telefono 06/52082699 - Fax 06/52082494;

E-mail: lcm.amministrazione@rm.camcom.it

La C.C.I.A.A. di Roma è l’Organismo di controllo autorizzato dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 61/2010 (Allegato 1) che effettua la verifica annuale del rispetto delle disposizioni del presente disciplinare conformemente all’articolo 25, par 1, 1° capoverso, lettera a) e c), ed all’articolo 26 del Reg CE n. 607/2009, per i prodotti beneficianti della DOP, mediante una metodologia dei controlli sistematica nell’arco dell’intera filiera produttiva (viticoltura, elaborazione, confezionamento), conformemente al citato articolo 25, par. 1, 2° capoverso, lettera c).

In particolare, tale verifica è espletata nel rispetto di un predeterminato piano dei controlli, approvato dal Ministero, conforme al modello approvato con il DM 2 novembre 2010, pubblicato in GU n. 271 del 19-11-2010. (Allegato 2).

 

N.B. fa fede solo il testo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

 

COLLI DELLA SABINA

D.O.C.

Decreto 07 Febbraio 2011

(fonte GURI)

Modifica Decreto 30 novembre 2011

(fonte Mipaaf)

 

Articolo 1

Denominazione

 

La denominazione di origine controllata «Colli della Sabina» è riservata ai

vini bianchi,

vini rossi,

che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione.

 

Articolo 2

Base ampelografica

 

I vini a denominazione di origine controllata «Colli della Sabina» devono essere ottenuti dalle uve provenienti dai vigneti aventi, nell’ambito aziendale, la composizione ampelografica appresso specificata:

 

«Colli della Sabina» bianco:

Malvasia del Lazio minimo 50%

Trebbiano toscano e/o giallo dal 5% al 35%

possono concorrere altri vitigni a bacca bianca, idonei alla coltivazione per la Regione Lazio, iscritti nel registro nazionale delle varietà di vite per uva da vino approvato con D.M. 7 maggio 2004, pubblicato nella gazzetta ufficiale n. 242 del 14 ottobre 2004, e da ultimo aggiornato con D.M. 29 maggio 2010 per non oltre il 15%.

 

«Colli della Sabina» rosso:

Sangiovese dal 40% al 70%;

Montepulciano dal 15% al 40%,

possono concorrere altri vitigni a bacca nera, idonei alla coltivazione per la Regione Lazio, iscritti nel registro nazionale delle varietà di vite per uva da vino approvato con D.M. 7 maggio 2004, pubblicato nella gazzetta ufficiale n. 242 del 14 ottobre 2004, e da ultimo aggiornato con D.M. 29 maggio 2010 per non oltre il 30%.

 

Limitatamente alla tipologia «Colli della Sabina» bianco la base ampelografica dei vigneti già iscritti allo schedario viticolo deve essere adeguata entro la decima vendemmia successiva alla data di pubblicazione del presente disciplinare di produzione.

Sino alla scadenza indicata nel precedente comma i vigneti di cui sopra, iscritti a titolo transitorio allo schedario viticolo della denominazione di origine controllata dei vini «Colli della Sabina» tipologia Bianco, potranno usufruire della denominazione medesima.

 

Articolo 3

Zona di produzione delle uve

 

Le uve destinate alla produzione dei vini a denominazione di origine controllata «Colli della Sabina», di cui al precedente art. 2, devono provenire dai vigneti ubicati nelle seguenti zone:

tutto il territorio amministrativo dei seguenti comuni:

Cantalupo in Sabina, Castelnuovo di Farfa, Fara Sabina, Selci e Tarano

e, in parte, il territorio amministrativo dei seguenti comuni di:

Collevecchio, Forano, Magliano Sabina, Montebuono, Montopoli in Sabina, Poggio Catino, Poggio Mirteto, Stimigliano e Torri in Sabina;

in provincia di Rieti;

tutto il territorio amministrativo dei seguenti comuni:

Marcellina, Mentana e S. Angelo Romano

e parte del territorio amministrativo dei comuni di:

Guidonia-Montecelio, Montelibretti, Monterotondo, Montorio Romano, Moricone, Nerola, Palombara Sabina e S. Polo dei Cavalieri.

in provincia di Roma,

 

Tale zona è stata così delimitata in cartografia 1:25.000:

partendo dal km 66 della s.s. n. 3 Flaminia fino ad arrivare al confine comunale di Magliano Sabina, seguendo verso nord- est lo stesso confine comunale nonché provinciale e regionale, passando per la località Colle Micotti fino ad arrivare in località Case Berardelli a quota 223.

Si prosegue verso sud seguendo la strada che costeggia il confine comunale incontrando le località Colle Cencelli e Colle Moretti, abbandonando la strada si prosegue nuovamente per il confine comunale di Magliano per poi proseguire sul confine comunale di Montebuono verso est fino a incontrare le località Colle Pizzuto e Casale Fiorentini.

Si prosegue sul confine di Montebuono fino ad arrivare a quota 253 si prosegue verso est fino a incontrare la strada che da S. Maria Maddalena (in prossimità della quota 317) prosegue fino a Montebuono, dal bivio prendendo direzione Rocchette fino ad arrivare al km 25 della strada seguendo il confine comunale di Torri in Sabina fino a incrociare il torrente dell'Aia che a sua volta s'incrocia con la strada statale n. 313.

Si prosegue sul confine comunale di Torri in Sabina fino a toccare il confine con il comune di Casperia, si prosegue sul confine comunale di Torri in Sabina fino ad arrivare a incrociare il confine del comune di Selci, si prosegue per il confine comunale di Cantalupo fino ad arrivare in prossimità del km 24 della s. s. n. 313 fino ad arrivare a quota 198.

Si prosegue lungo il confine comunale di Cantalupo, il quale in questo punto confina con il comune di Casperia, fino ad

arrivare al fosso Vallesanta dove a quota 148 inizia il confine con il comune di Roccantica.

Proseguendo per il fosso Vallesanta s'incontrano altri due fossi a quota 126, che delimitano il confine di Cantalupo con Roccantica, proseguendo verso sud si arriva a quota 98 e si incontra il confine del comune di Poggio Catino, si risale verso nord lungo detto confine fino a circa il km 7 della strada pedemontana passando per la località Casa Bella.

Si prosegue verso sud fino ad arrivare a quota 290 in prossimità della località Tiro a Segno, si prosegue ancora verso sud fino a incontrare il Fosso di Fabri che si segue fino a incontrare la strada a quota 179 in prossimità del km 43,

seguendo la strada fino a incrociare il confine comunale tra Montopoli di Sabina e Poggio Mirteto,

localilà S. Pietro.

Proseguendo verso sud si arriva al confine con il comune di Salisano, si prosegue verso sud fino a incontrare il confine comunale di Castelnuovo di Farfa, correndo lungo il torrente Farfa piegando fino ad arrivare a quota 126 con il confine del comune di Mompeo.

Proseguendo lungo il confine comunale verso sud fino a incrociare al km 8 la strada che congiunge Castelnuovo di Farla con Monte S. Maria, il confine prosegue verso sud fino a quota 292 da dove inizia il confine con il comune di Toffia, seguendo il fosso Racanile e arrivando a quota 125.

Si prosegue lungo il confine comunale di Fara Sabina fino ad arrivare al confine con la provincia di Roma con il

comune di Nerola, si prosegue su detto confine in direzione nord-est fino a incrociare Valle delle Fontanelle, seguendo detta valle verso sud passando per Osteria di Nerola fino a incontrare il confine provinciale e comunale di Nerola con Scandriglia.

Si prosegue lungo detto confine fino a incontrare il confine del comune di Montorio Romano, passando per la località le Cese fino ad arrivare alla strada provinciale Nerola-Montorio, si prosegue lungo detta strada passando per Montorio Romano.

Proseguendo in direzione sud seguendo la strada provinciale Montorio-Monteflavio (in pianta risulta una mulattiera) in prossimità del km 2, proseguendo verso ovest lungo la Valle Raggia si incontra il fosso del Casali si prosegue su di esso fino ad arrivare al confine comunale tra Moricone e Montorio Romano, si prosegue su detto confine in direzione sud-est fino a incontrare la strada che prosegue in direzione del centro abitato di Moricone fino a incontrare la

strada statale 633.

Si prosegue verso sud incrociando la località Stazzano Nuovo al km 11, proseguendo fino a costeggiare il centro abitato di Palombara Sabina, si prosegue lungo detta strada fino ad arrivare al bivio con la strada provinciale 31 per Tivoli, dove si incontra il confine del comune di Marcellina, seguendo il confine comunale si risale fino ad arrivare in località Caprareccia.

Si scende verso sud-est costeggiando il centro abitato di Marcellina, si prosegue lungo il confine comunale passando per il fosso del Vallone, si prosegue in direzione ovest costeggiando la ferrovia Roma- Pescara passando nei pressi di Fonte Memoria fino ad arrivare al confine comunale di Guidonia- Montecelio, in località M.S. Paolo.

Si prosegue sul confine comunale di Guidonia- Montecelio con Tivoli fino ad arrivare sulla s.s. n. 5 Tiburtina; si prosegue verso ovest dove incontrando la ferrovia si risale in direzione nord e sempre seguendo il confine comunale si

piega verso ovest costeggiando il lago di S. Giovanni e incrociando la via di Montecelio si scende verso sud fino a incontrare nuovamente la ferrovia Roma- Pescara e si prosegue in direzione ovest.

Si prosegue lungo detta linea ferroviaria che in prossimità del fiume Aniene riprende il confine comunale di Guidonia- Montecelio con Roma, si prosegue in direzione nord-ovest lungo detto confine fino ad arrivare al confine del comune di Mentana in prossimità del Colle S. Antonio al km 17 della via Nomentana, si prosegue lungo il confine comunale di Mentana fino ad arrivare al fosso dell'Orneto dove inizia il comune di Monterotondo costeggiando detto confine lungo il fosso Rio della Casetta fino ad arrivare alla ferrovia Roma- Orte.

Si prosegue in direzione nord lungo la ferrovia passando per la località Casello del Grillo fino ad arrivare a Passo Corese si prosegue nuovamente sulla ferrovia costeggiando il fiume Tevere, si attraversano i comuni di Fara Sabina e

di Montopoli Sabina, fino a incontrare il confine della provincia di Roma, proseguendo verso nord passando nel comune di Poggio Mirteto fino a incontrare nuovamente la ferrovia Roma- Orte.

Proseguendo lungo la ferrovia si attraversa il comune di Forano e proseguendo il comune di Stimigliano fino ad arrivare nel comune di Collevecchio dove la ferrovia si incrocia con l'autostrada Roma- Firenze al km 511, e proseguendo sull'autostrada si attraversa il comune di Magliano località Foglia.

Si prosegue su di essa fino a incontrare il confine comunale di Magliano Sabina che si percorre fino a riprendere l'autostrada a circa quota 43, si prosegue su di essa fino in prossimità del km 502 dove si incrocia la s.s. n. 3 Flaminia, si prosegue fino al km 66.

 

Articolo 4

Norme per la coltivazione

 

Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti destinati alla produzione dei vini a denominazione di origine controllata «Colli della Sabina» di cui all’art. 2 devono essere quelle tradizionali della zona e comunque atte a conferire alle uve, ai mosti ed ai vini derivati le specifiche caratteristiche di qualità.

I sesti di impianto, le forme di allevamento ed i sistemi di potatura devono essere quelli tradizionalmente usati o comunque atti a non modificare le caratteristiche delle uve e dei vini previsti dal presente disciplinare.

Per i nuovi impianti e reimpianti la densità non può essere inferiore a 3.000 ceppi per ettaro in coltura specializzata.

È vietata ogni pratica di forzatura.

È consentita l’irrigazione di soccorso.

 

La produzione massima di uva ad ettaro ed il titolo alcolometrico volumico naturale minimo per tipologia di vino, sono le seguenti:

 

Colli della Sabina bianco: 10,00 t/ha, 10,50% vol.;

Colli della Sabina rosso: 9,00 t/ha, 11,50% vol.

 

Nelle annate favorevoli i quantitativi di uve ottenuti e da destinare alla produzione dei vini a denominazione di origine controllata «Colli della Sabina» devono essere riportati nei limiti di cui sopra purché la produzione globale non superi del 20% i limiti medesimi, fermi restando i limiti resa uva/vino per i quantitativi di cui trattasi.

La Regione Lazio, con proprio decreto, sentite le organizzazioni di categoria interessate di anno in anno, prima della vendemmia, può stabilire un limite massimo di uva per ettaro inferiore a quello stabilito dal presente disciplinare.

 

Articolo 5

Norme per la vinificazione

 

Le operazioni di vinificazione e di imbottigliamento dei vini a denominazione di origine controllata «Colli della Sabina» devono essere effettuate all’interno della zona di produzione delimitata nell’art. 3.

La resa dell’uva in vino per tutte le tipologie non deve essere superiore al 70%.

Qualora la resa uva-vino superi detto limite, ma non oltre il 75%, l’eccedenza non avrà diritto alla denominazione di origine controllata. Oltre il 75% decade il diritto alla denominazione di origine controllata per tutta la partita.

Nella vinificazione dei vini di cui al comma precedente sono ammesse soltanto le pratiche enologiche locali, leali e costanti atte a conferire ai vini medesimi, le loro peculiari caratteristiche.

I prodotti utilizzabili per la correzione dei mosti e dei vini dovranno provenire esclusivamente dalle uve prodotte nei vigneti iscritti all’albo della denominazione di origine controllata «Colli della Sabina» ad esclusione del mosto

concentrato rettificato.

 

Articolo 6

Caratteristiche

 

I vini a denominazione di origine controllata «Colli della Sabina» all’atto dell’immissione al consumo debbono corrispondere alle seguenti caratteristiche:

 

«Colli della Sabina» bianco:

colore: giallo paglierino più o meno intenso;

profumo: delicato, caratteristico, fruttato;

sapore: dal secco all’amabile, delicato, armonico;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 16,00 g/l.

 

«Colli della Sabina» rosso:

colore: rosso rubino vivace;

profumo: vinoso, intenso;

sapore: d’asciutto ad amabile;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 18,00 g/l.

 

È facoltà del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali – Comitato nazionale per la tutela e la valorizzazione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche tipiche dei vini di modificare, con proprio decreto, i limiti minimi sopra indicati per l’acidità totale e l’estratto non riduttore.

 

Articolo 7

Etichettatura e presentazione

 

Ai vini a denominazione di origine controllata di cui all’art. 2 è vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione diversa da quelle previste dal presente disciplinare di produzione, ivi compresi gli aggettivi extra, fine, scelto, superiore, selezionato e similari.

È consentito tuttavia l’uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali e marchi non aventi significato laudativo e tali da non trarre in inganno il consumatore.

Nella designazione del vino a denominazione di origine controllata «Colli della Sabina» può essere utilizzata la menzione «vigna», a condizione che sia seguita dal corrispondente toponimo,

che la relativa superficie sia distintamente specificata nell’albo dei vigneti,

che la vinificazione e conservazione del vino avvengano in recipienti separati

e che tale menzione, seguita dal toponimo, venga riportata sia nella denuncia delle uve, sia nei registri che nei documenti di accompagnamento.

Nella presentazione e designazione dei vini di cui all’art.1 è obbligatoria l’indicazione dell’annata di produzione delle uve.

 

Articolo  8

Confezionamento

 

Tutti i vini a denominazione di origine controllata «Colli della Sabina» confezionati in bottiglie da 0,750 litri debbono essere chiuse con tappatura raso bocca.

Tuttavia per detti vini è consentito l’uso di contenitori alternativi al vetro costituiti da un otre in materiale plastico pluristrato di polietilene e poliestere racchiuso in un involucro di cartone o di altro materiale rigido, di capacità non inferiore a 2 litri.

 

Articolo 9

Legame con l’ambiente geografico

 

A) Informazioni sulla zona geografica.

1. Fattori naturali rilevanti per il legame.

La zona geografica delimitata ricade nella parte Centro Orientale della regione Lazio, ricadente in parti uguali in Provincia di Roma ed in provincia di Rieti: si estende su una superficie di circa 77.500 ettari e comprende il territorio pianeggiante e collinare che si estende dalla valle del fiume Tevere fino ai Monti Sabini.

Dal punto di vista geologico i terreni dell’area delimitata sono compresi tra il dominio appenninico della serie di transizione sabina ed i depositi originatosi nel Quaternario.

Sono composti prevalentemente da sabbie gialle talvolta concrezionate, livelli conglomeratici più o meno cementati

prevalenti verso l’alto della formazione, sabbie argillose, argille grigie più o meno sabbiose prevalenti verso la base, calcareniti , sabbioni grossolani, puddinghe, calcari organogeni a contatto diretto con i rilievi mesozoici.

Inoltre in questa zona sono presenti tufi pedogenizzati, provenienti dall’apparato Sabatino e Vicano. Sono presenti anche argille turchine e marne grigie marine e tufi rimaneggiati oltre alle sabbie della precedente area, e formazioni calcaree, soprattutto calcare massiccio e corniola, nelle aree a ridosso dei Monti Sabini.

L’altitudine dei terreni coltivati a vite è compresa tra i 19 e i 600 m s.l.m. e l’esposizione generale è orientata verso ovest e sud.

Il clima dell’area è di tipo temperato ed è caratterizzato da precipitazioni medie annue comprese tra i 775 ed i 1214 mm, con aridità estiva (pioggia 73-133 mm) nei mesi di giugno, luglio e agosto.

La temperatura media è compresa tra i 13,8 ed i 15,6°C: freddo prolungato da ottobre ad maggio, con temperatura media inferiore ai 10°C per 4 mesi l’anno e temperatura media minima del mese più freddo dell’anno che oscilla tra 1,9 e 2,9° C.

La combinazione tra natura del terreno e fattori climatici fanno della zona delimitata come DOC Colli della Sabina un territorio altamente vocato alla produzione di vini di pregio.

2. Fattori umani rilevanti per il legame.

Di fondamentale rilievo sono i fattori umani legati al territorio di produzione, che per consolidata tradizione hanno contribuito ad ottenere il vino “Colli della sabina”.

La presenza della viticoltura nell’area delimitata risale al tempo dei Romani. Strabone afferma che “Tutto il suolo della Sabina è straordinariamente ricco di olivi e di viti”, Plinio il Vecchio ricorda il vitigno caratteristico della Sabina: la vinaciola, mentre il poeta Orazio esaltò il buon vino della Sabina.

La Sabina era poco urbanizzata ma vi erano però numerose ville rustiche che si basavano sulla produzione di olio e vino, prodotti che, sfruttando la navigabilità del vicino fiume erano convogliati a Roma: infatti il Piazza nell’opera La Gerarchia cardinalizia (1703) scrive per Mentana “Nè deve recare meraviglia, che vi fossero tante Ville, e cosi celebrati li frutti, e vini Nomentani; peròcchè dopo la diseccazione delle Paludi, fatta da Giulio Cesare, si rese cosi fertile questo Territorio, che non vi era nobile Romano, che non ne volesse qualche ugero, o porzione”.

Più recentemente Giuseppe Marocco in Monumenti dello Stato pontificio: e relazione topografica di ogni paese (1828) riporta la notizia che nel 941 ci fu una donazione di terreni e, vigne che certo Insario figlio di Formoso fece all’Abate

Campone di Farfa, ed il Galletti in Gabio, antica citta di Sabina scoperta ove è ora Torri (1757) riporta per Torri in Sabina “L' altra cioè l'ultima notizia, che noi abbíamo di Torri è dell'anno MXLIII.

Un certo Giovanni religiosus presbyter e Pietro figliuoli di Rinieri, che fu pure prete, e Giovanni qui de Silvestro vocor, rifiutarono a XXV di Febrajo dello stesso anno una vigna mannarìca posta territorio Sabinensi loco, qui vocatur Turris”

Nei corso dei secoli la viticoltura ha mantenuto il ruolo di coltura principe del territorio, fino all’attualità, come testimonia le Sagra del vino di Mentana giunta alla 56° edizione e quella di Magliano Sabino la cui prima edizione risale al 1929.

Grazie alle loro peculiarità, numerosi sono i riconoscimenti che hanno ricevuto e continuano a ottenere, i vini a DOC Colli della sabina sia in ambito locale, nazionale che internazionale; ben figurano inoltre sulle principali guide nazionali.

L’incidenza dei fattori umani, nel corso della storia, è in particolare riferita alla puntuale definizione dei seguenti aspetti tecnico produttivi, che costituiscono parte integrante del vigente disciplinare di produzione:

base ampelografica dei vigneti:

i vitigni idonei alla produzione del vino in questione, sono quelli tradizionalmente coltivati nell’area geografica considerata: la Malvasia del Lazio ed il Trebbiano toscano e giallo per i vini bianchi, il Sangiovese ed il Montepulciano per quelli rossi;

le forme di allevamento, i sesti d’impianto e i sistemi di potatura che, anche per i nuovi impianti:

sono quelli tradizionali e tali da perseguire la migliore e razionale disposizione sulla superficie delle viti, sia per agevolare l’esecuzione delle operazioni colturali, sia per consentire la razionale gestione della chioma, permettendo di ottenere una adeguata superficie fogliare ben esposta e di contenere le rese di produzione di vino entro i limiti fissati dal disciplinare (75 hl/ha per la tipologia bianco e 67,5 hl/ha per la tipologia rosso);

le pratiche relative all’elaborazione dei vini:

che sono quelle tradizionalmente consolidate in zona per la vinificazione di vini bianchi complessi ed equilibrati ed in rosso di vini tranquilli e strutturati.

 

B) Informazioni sulla qualità o sulle caratteristiche del prodotto essenzialmente o esclusivamente

attribuibili all'ambiente geografico.

La DOC “Colli della Sabina” è riferita a una tipologia di vino bianco “bianco” e a una di vino rosso che dal punto di vista analitico ed organolettico presentano caratteristiche molto evidenti e peculiari, descritte all’articolo 6 del disciplinare, che ne permettono una chiara individuazione e tipicizzazione legata all’ambiente geografico.

Nello specifico le singole tipologie di vino si caratterizzano:

“Colli della Sabina” bianco:

vino fresco ed equilibrato con colore giallo paglierino più o meno intenso, odore delicato, caratteristico con note fruttate, sapore secco o piacevolmente amabile, delicato e armonico.

“Colli della Sabina” rosso:

buona struttura e presenza di buone dotazioni polifenoliche e tanniche polimerizzate, che conferiscono al vino carattere di pienezza di corpo, assenza di ruvidezza e buona longevità. Il vino presenta un colore rosso rubino vivace, odore intenso con sentori fruttati e floreali, sapore secco, a volte amabile, armonico di giusto corpo.

Al sapore, tutti i vini presentano un’acidità normale, un amaro poco percepibile, poca astringenza, buona struttura, che contribuiscono al loro equilibrio gustativo.

 

C) Descrizione dell'interazione causale fra gli elementi di cui alla lettera A) e quelli di cui alla lettera B).

L’orografia pianeggiante e collinare dell’areale di produzione, nella zona che va dalla valle del fiume Tevere fino ai Monti Sabini, e l’esposizione ad ovest, sud-ovest, concorrono a determinare un ambiente arioso, luminoso e con un suolo naturalmente sgrondante dalle acque reflue, particolarmente vocato per la coltivazione dei vigneti del “Colli della Sabina”.

Da tale area sono peraltro esclusi i terreni ubicati a quote troppo basse non adatti ad una viticoltura di qualità.

Anche la tessitura e la struttura chimico-fisica dei terreni interagiscono in maniera determinante con la coltura della vite, contribuendo all’ottenimento delle peculiari caratteristiche fisico chimiche ed organolettiche del “Colli della Sabina”.

In particolare, i terreni, composti prevalentemente da sabbie gialle talvolta concrezionate, livelli conglomeratici più o meno cementati prevalenti verso l’alto della formazione, sabbie argillose, argille grigie più o meno sabbiose prevalenti verso la base, calcareniti , sabbioni grossolani, puddinghe, calcari organogeni a contatto diretto con i rilievi mesozoici, da tufi pedogenizzati, provenienti dall’apparato Sabatino e Vicano e da argille turchine e marne grigie marine e tufi

rimaneggiati oltre alle sabbie della precedente area, e formazioni calcaree, soprattutto calcare massiccio e corniola, nelle aree a ridosso dei Monti Sabini, presentano caratteristiche tali da renderli idonei ad una vitivinicoltura di qualità.

Anche il clima dell’areale di produzione, caratterizzato da precipitazioni abbondanti (994 mm), con scarse piogge estive (100 mm) ed aridità estiva nei mesi di giugno, luglio e agosto, da una buona temperatura media annuale (14,8 °C), unita ad una temperatura relativamente elevata e ottima insolazione nei mesi di settembre ed ottobre, consente alle uve di maturare lentamente e completamente contribuendo in maniera significativa alle particolari caratteristiche organolettiche del vino "Colli della Sabina".

In particolare, la combinazione tra le caratteristiche del terreno ed i fattori climatici, determina per i vini bianchi, la produzione di significative quantità di precursori aromatici che consentono di esaltare le caratteristiche organolettiche e i sentori tipici dei diversi vitigni e per i vini rossi un’ottimale maturazione fenolica, che unita ad un ottimale rapporto tra zuccheri e acidi permette di ottenere vini caratterizzati da elevata struttura, un grande equilibrio fra le diverse componenti.

La millenaria storia vitivinicola riferita alla terra “Sabina”, dall’epoca romana, al medioevo, fino ai giorni nostri, attestata da numerosi documenti, è la generale e fondamentale prova della stretta connessione ed interazione esistente tra i fattori umani e la qualità e le peculiari caratteristiche del “Colli della Sabina”.

Ovvero è la testimonianza di come l’intervento dell’uomo nel particolare territorio abbia, nel corso dei secoli, tramandato le tradizionali tecniche di coltivazione della vite ed enologiche, le quali nell’epoca moderna e contemporanea sono state migliorate ed affinate, grazie all’indiscusso progresso scientifico e tecnologico, fino ad ottenere i vini “Colli della Sabina”, le cui peculiari caratteristiche sono descritte all’articolo 6 del disciplinare.

Nel medioevo i contratti agrari ed i documenti di varia natura, conservati presso gli archivi monastici, confermano la diffusione di tale coltura.

Anche in tempi più recenti non mancano testimonianze in merito alla viticoltura ed al commercio del vino: il Piazza nell’opera citata scrive che il territorio di Monterotondo produce “vino in gran copia” e cita “e sapori de’ vini preziosi, de’ quali in copia grande se ne conducono a Roma, per Palombara riporta “è molto abbondante di vini”, mentre il Sperandio in Sabina sagra e profana, antica e moderna (1790) afferma “La Sabina abbonda di ogni cosa all’umano uso necessaria, come di..di buoni vini,..”.

Anche il Marocco, nell’opera citata, riporta per Magliano in Sabina “abbonda .. di vino “, per Collevecchio “commercio..particolarmente in genere di vino”, per Fara “vino a sufficienza”, per Castelnuovo di Farfa “.

Il suo piccolo territorio produce.. vino, ..se ne fa trasporto alla Capitale, e anche a Rieti”, per Poggio Mirteto “I prodotti del territorio si hanno in vino, olio… e gli oggetti di continua, e grande esportazione sono il vino..” e per Torri in Sabina “l’abbondanza dell’olio, delle frutta e, de’ buoni vini”; ed ancora per Moricone “il territorio vasto produce ..vino”, per Montelibretti “.

I prodotti del territorio sono olio, vino di esquisita qualità, ..”, per Palombara sabina “le ottime grotte, che ha sotto

quasi a tutte le abitazioni per conservare gli eccellenti suoi vini” e “popolazione.. la maggior parte dedita alla coltura delle vigne, che la circondano”.

Nelle Memorie, leggi ed osservazioni sulle campagne e sull'annona di Roma, (1803) Vol. 3 del Nicolai si trova “..e la Sabina abbondano di ottimi oliveti, e di viti d’uva”, come nel Saggio statistico storico del Pontificio Stato, (1829) Vol. 1 del Calindri che scrive per le campagne della Sabina “Montebuono.. sono più ubertose di grano, olio, vino, Montopoli.. specialmente danno grano, vino, Montorio.. singolarmente si ha grano, vino”.

Nel Giornale arcadico di scienze, lettere, ed arti: Vol. 52 (1852) si trova “La Sabina ha un' indole tutta propria così negli abitanti , come nel suolo: vi vedi una singolare attività , variata cultura , paesi disseminati or su punte adunche, or su coste allargate, ora in valli profonde: ma da per tutto olivo , vite , granaglie. Monte Rotondo , Poggio Mirteto e Magliano meritano particolar considerazione.

Il commercio del vino è testimoniato anche dal Palmieri, che nella Topografia statistica dello stato pontificio (1857), scrive “..la campagna, la quale è fertilissima, in piano e in colle della superficie di rubbia romane 3115, e ricca così di vigneti, che rinomato assai è anche il vino di Monterotondo, di cui si fa grande traffico colla capitale..”; nella Rivista dei più importanti prodotti naturali e manifatturieri dello Stato Pontificio (1857) il Nigrisoli nella Descrizione dei prodotti naturali della Legazione di Rieti riporta “I vini si ottengono in grande ubertosità, giacché, oltre al servire al consumo della popolazione locale, favoreggiano uno smercio non indifferente colle limitrofe”, ed ancora “nella Bassa Sabina abbonda il vino”.

La storia recente è caratterizzata da un’evoluzione positiva della denominazione, dovuta alla professionalità degli operatori, all’impianto di nuovi vigneti e alla nascita di nuove aziende, che hanno contribuito ad accrescere il livello qualitativo e la rinomanza del “Colli della Sabina”.

 

Articolo 10

Riferimenti alla struttura di controllo

 

Nome e Indirizzo:

Camera di Commercio, Industria, Artigianato ed Agricoltura di Rieti

Via Paolo Borsellino, 16

02100 Rieti

Telefono 0746/201364 - Fax 0746/205235;

E-mail cciaa.rieti@ri.camcom.it

La C.C.I.A.A. di Rieti è l’Organismo di controllo autorizzato dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 61/2010 (Allegato 2) che effettua la verifica annuale del rispetto delle disposizioni del presente disciplinare conformemente all’articolo 25, par 1, 1° capoverso, lettera a) e c), ed all’articolo 26 del Reg CE n. 607/2009, per i prodotti beneficianti della DOP, mediante una metodologia dei controlli sistematica nell’arco dell’intera filiera produttiva (viticoltura, elaborazione, confezionamento), conformemente al citato articolo 25, par. 1, 2° capoverso, lettera c).

In particolare, tale verifica è espletata nel rispetto di un predeterminato piano dei controlli, approvato dal Ministero, conforme al modello approvato con il DM 2 novembre 2010, pubblicato in GU n. 271 del 19-11-2010. (Allegato 3).

 

N.B. fa fede solo il testo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

 

NETTUNO

D.O.C.

Decreto 08 maggio 2003

(fonte GURI)

Modifica Decreto 30 novembre 2011

(fonte Mipaaf)

 

Articolo 1

Denominazione e vini

 

La denominazione di origine controllata «Nettuno» è riservata ai vini:

 

«Nettuno» bianco nelle tipologie secco e frizzante

«Nettuno» bianco Bellone localmente noto come Cacchione nelle tipologie secco e frizzante;

«Nettuno» rosso nella tipologia secco

«Nettuno» rosato nella tipologia secco e frizzante;

«Nettuno» novello

 

che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione.

 

Articolo 2

Base ampelografica

 

I vini a denominazione di origine controllata «Nettuno» devono essere ottenuti da uve provenienti da vigneti aventi, nell’ambito aziendale, la seguente composizione ampelografica:

 

«Nettuno» bianco:

Bellone, localmente noto come Cacchione dal 30 al 70%;

Trebbiano toscano dal 30 al 50%.

Possono concorrere alla produzione di detto vino altri vitigni a bacca bianca, fra quelli idonei alla coltivazione per la regione Lazio, iscritti nel registro nazionale delle varietà di vite per uve da vino approvato con D.M. 7 maggio 2004 e successivi aggiornamenti, riportati nell’allegato 1 del presente disciplinare, in misura non superiore al 20%.

 

La denominazione di origine controllata «Nettuno», con la specificazione del vitigno «Bellone» o «Cacchione», è riservata alla tipologia bianco prodotta con uve provenienti almeno per

l’85% dallo stesso vitigno  

e, per il restante 15%, da quelli idonei alla coltivazione per la regione Lazio.

 

«Nettuno» rosso e «Nettuno» novello:

Merlot dal 30 al 70%;

Sangiovese dal 30 al 50%.

Possono concorrere alla produzione di detto vino altri vitigni a bacca rossa, fra quelli idonei alla coltivazione per la regione Lazio, iscritti nel registro nazionale delle varietà di vite per uve da vino approvato con D.M. 7 maggio 2004 e successivi aggiornamenti, riportati nell’allegato 1 del presente disciplinare, in misura non superiore al 20%.

 

«Nettuno» rosato:

Sangiovese e Trebbiano toscano nella misura minima del 40% ciascuno.

Possono altresì concorrere altri vitigni, idonei alla coltivazione per la regione Lazio, iscritti nel registro nazionale delle varietà di vite per uve da vino approvato con D.M. 7 maggio 2004 e successivi aggiornamenti, riportati nell’allegato 1 del presente disciplinare, fino ad un massimo del 20%.

 

Articolo 3

Zona di produzione delle uve

 

Le uve destinate alla produzione dei vini a denominazione di origine controllata «Nettuno» devono essere prodotte nei territori amministrativi dei comuni di:

Nettuno e Anzio,

in provincia di Roma.

 

Articolo 4

Norme per la viticoltura

 

Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti destinati alla produzione dei vini a denominazione di origine controllata «Nettuno» devono essere quelle tradizionali della zona e comunque atte a conferire alle uve e ai vini derivanti le specifiche caratteristiche di qualità.

Sono da considerare idonei al riconoscimento i vigneti ubicati in terreni di favorevole giacitura ed esposizione.

I sesti di impianto, le forme di allevamento e i sistemi di potatura devono essere quelli generalmente usati o, comunque, atti a non modificare le caratteristiche delle uve e dei vini.

È vietata ogni pratica di forzatura. È ammessa l’irrigazione di soccorso.

Nei nuovi impianti e reimpianti, in coltura specializzata, effettuati successivamente all’entrata in vigore del presente disciplinare di produzione, dovranno essere favoriti i vitigni miglioratori che costituiscono la piattaforma ampelografica ed avere una densità di almeno 2.500 ceppi/ettaro.

La produzione massima dell’uva per ettaro dei vigneti in coltura specializzata e il titolo alcolometrico volumico naturale minimo devono essere i seguenti:

 

Nettuno bianco: 14,00 t/ha, 10,00% vol.;

Nettuno bianco Bellone localmente noto come Cacchione: 13,00 t/ha, 10,00%vol.;

Nettuno rosso: 13,00 t/ha, 10,00% vol.;

Nettuno rosato: 14,00 t/ha, 10,00% vol.;

Nettuno novello 13,00 t/ha, 10,00% vol.

 

Nei vigneti a coltura promiscua le produzioni massime di uva per ettaro devono essere rapportate alla superficie effettivamente coperta dalle viti.

Nelle annate particolarmente favorevoli i quantitativi di uve ottenute e da destinare alla produzione dei vini a denominazione di origine controllata «Nettuno» devono essere riportati nei limiti di cui sopra, purché la produzione globale non superi del 20% i limiti medesimi. Le eccedenze delle uve, nel limite massimo del 20%, non hanno diritto alla denominazione di origine controllata.

Qualora sia superato il limite del 20%, l’intera partita, cui si riferisce il supero, decade dal diritto alla denominazione di origine controllata e può essere destinata ad IGT.

 

Articolo 5

Norme per la vinificazione

 

Le operazioni di vinificazione devono essere effettuate all’interno della zona di produzione delimitata dall’art 3.

È facoltà del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali consentire che le suddette operazioni di vinificazione siano effettuate in stabilimenti siti nei territori amministrativi della provincia di Roma a condizione che le ditte interessate, previa richiesta specifica delle medesime, dimostrino di aver vinificato nelle vendemmie precedenti a quella di entrata in vigore del presente disciplinare di produzione, vini delle tipologie qui regolamentate.

Nella vinificazione dei vini a denominazione di origine controllata «Nettuno» sono ammesse soltanto le pratiche enologiche leali e costanti atte a conferire ai vini le loro specifiche caratteristiche.

È consentito l’arricchimento alle condizioni stabilite dalle normative comunitarie e nazionali.

La resa dell’uva in vino pronto per il consumo diretto, per tutti i vini a denominazione di origine controllata «Nettuno» non deve essere superiore al 70%.

Qualora superi detto limite, ma non il 75%, l’eccedenza non avrà diritto alla denominazione di origine controllata e può essere destinata ad IGT.

 

Articolo 6

Caratteristiche al consumo

 

I vini a denominazione di origine controllata «Nettuno» all’atto dell’immissione al consumo devono rispondere alle seguenti caratteristiche:

 

«Nettuno» bianco:

colore: giallo paglierino più o meno intenso;

profumo: fruttato, caratteristico, delicato, gradevole;

sapore: secco, fresco, armonico, secco;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00%vol.;

acidità totale minima: 5,00 g/l

estratto non riduttore minimo: 15,00 g/l.

 

«Nettuno» bianco frizzante:

spuma: vivace, evanescente;

colore: giallo paglierino più o meno intenso;

profumo: fruttato, caratteristico, delicato, gradevole, vivace;

sapore: secco, fresco, armonico, secco;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00%vol.;

acidità totale minima: 5,00 g/l

estratto non riduttore minimo: 15,00 g/l.

 

«Nettuno» bianco Bellone localmente noto come Cacchione:

colore: giallo paglierino con riflessi giallognoli;

profumo: vinoso, caratteristico, delicato;

sapore: fresco, armonico, secco;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol.;

acidità totale minima: 5,00 g/l

estratto non riduttore minimo: 16,00 g/l.

 

«Nettuno» bianco Bellone localmente noto come Cacchione frizzante:

spuma: vivace, evanescente;

colore: giallo paglierino con riflessi giallognoli;

profumo: vinoso, caratteristico, delicato, vivace;

sapore: fresco, armonico, secco;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol.;

acidità totale minima: 5,00 g/l

estratto non riduttore minimo: 16,00 g/l.

 

«Nettuno» rosato:

colore: rosa più o meno intenso, talvolta con tonalità rubino;

profumo: delicato, fruttato, vinoso;

sapore: fresco, armonico, secco;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol.;

acidità totale minima: 5,00 g/l;

estratto non riduttore minimo: 16,00 g/l.

 

«Nettuno» rosato frizzante:

spuma: vivace, evanescente;

colore: rosa più o meno intenso, talvolta con tonalità rubino;

profumo: delicato, fruttato, vinoso;

sapore: fresco, armonico, secco, vivace;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol.;

acidità totale minima: 5,00 g/l;

estratto non riduttore minimo: 16,00 g/l.

 

«Nettuno» rosso:

colore: rosso rubino intenso;

profumo: vinoso, caratteristico, accentuato molto persistente;

sapore: armonico, pieno, gradevole, secco;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol.;

acidità totale minima: 5,00 g/l;

estratto non riduttore minimo: 20,00 g/l.

 

«Nettuno» novello:

colore: rosso rubino più o meno intenso;

profumo: fruttato, persistente;

sapore: fresco, armonico, vivace per fragranza;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol.;

acidità totale minima: 5,00 g/l;

estratto non riduttore minimo: 18,00 g/l.

 

In relazione all’eventuale conservazione in recipienti di legno, nel sapore dei vini di cui sopra, ad esclusione del novello, si potrà rilevare sentore di legno.

È facoltà del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali modificare con proprio decreto i limiti minimi sopra indicati per l’acidità totale e l’estratto non riduttore.

 

Articolo 7

Designazione e presentazione

 

È consentito l’uso in etichetta di indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali e marchi privati, purché non aventi significati laudativi e atti a non trarre in inganno il consumatore.

Nell’etichettatura, designazione e presentazione dei vini di cui all’art 1 è vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione diversa da quelle previste dal presente disciplinare, ivi compresi gli aggettivi «fine», «scelto», «selezionato» e similari.

Nella designazione dei vini a denominazione di origine controllata «Nettuno» può essere utilizzata la menzione «vigna» a condizione che la stessa sia seguita dal relativo toponimo,

che la relativa superficie sia distintamente specificata nello schedario viticolo,

che la vinificazione e la conservazione del vino avvengano in recipienti separati

e che tale menzione, seguita dal toponimo, venga riportata sia nella denuncia delle uve, sia nei registri e nei documenti di accompagnamento.

 

Articolo 8

Confezionamento

 

L’abbigliamento delle bottiglie deve essere quello d’uso tradizionale e comunque consono ai caratteri di un vino di qualità.

I vini designati con la menzione «vigna» devono essere immessi al consumo solo in recipienti di capacità non superiore a litri 0,75.

I vini a denominazione di origine controllata «Nettuno» possono essere confezionati in recipienti di capacità uguale od inferiore a litri 5, devono inoltre essere immessi al consumo in recipienti di vetro e con tappatura corrispondenti ai tipi previsti dalle norme nazionali e comunitarie.

Per i recipienti di capacità non superiore a 0,375 litri può essere utilizzata la tappatura a vite.

 

Articolo 9

Legame con l’ambiente geografico

 

A) Informazioni sulla zona geografica.

1. Fattori naturali rilevanti per il legame.

La zona geografica delimitata ricade nella parte Centro Occidentale della regione Lazio in provincia di Roma lungo il litorale, si estende su una superficie di circa 3.500 ettari, e comprende l’intero territorio amministrativo dei comuni di Anzio e Nettuno.

I terreni risalgono al quaternario, originati dalle variazioni cicliche glacio-eustatiche del livello del mare, dai continui apporti sedimentari e piroclastici provenienti dai sistemi fluviali e dall’apparato del vulcano laziale e dai movimenti di sollevamento costiero, legati sia al magmatismo regionale che al sollevamento appenninico.

I depositi sedimentari marini di transizione e continentali risalgono al Pliocene-Olocene, mentre le successioni vulcaniche datano il Pleistocene mediosuperiore.

Sono quindi presenti argille di ambiente batiale e circalitorale, sabbie e calcareniti di ambiente infralitorale, sabbie di ambiente costiero con vulcaniti albane intercalate e sabbie di ambiente eolico e fluviale (“Duna antica”).

L’altitudine dei terreni coltivati a vite è compresa tra i 0 e i 85 m s.l.m. e l’esposizione generale è orientata verso ovest.

Il clima dell’area è di tipo mediterraneo, termotipo mesomediterraneo inferiore – ombrotipo subumido inferiore, caratterizzato da precipitazioni medie annue comprese tra i 842 ed i 996 mm, con aridità da maggio ad agosto (pioggia 64-89 mm), ma con valori elevati solo nei mesi estivi.

Temperatura media piuttosto elevata compresa tra i 14,5 ed i 16,1°C: freddo non intenso da novembre ad aprile, con temperatura media inferiore ai 10°C per 2-4 mesi l’anno e temperatura media minima del mese più freddo dell’anno che oscilla tra 3,6 e 5,5° C.

2. Fattori umani rilevanti per il legame.

Di fondamentale rilievo sono i fattori umani legati al territorio di produzione, che per consolidata tradizione hanno contribuito ad ottenere il vino «Nettuno».

La presenza della viticoltura nell’area delimitata risale all’epoca romana: i georgici citano le coltivazioni della zona e nel Medioevo e nel Rinascimento i contratti agrari ed i documenti di varia natura, conservati presso gli archivi monastici, confermano la diffusione di tale coltura.

Nella Topografia statistica dello stato pontificio (1857), Adone Palmieri, riporta per Nettuno “vi sono pochi oliveti, ma vigneti molti” e per Anzio “Il Regnante Sovrano vi acquistò anche il Palagio coll'annesso giardino e villa, oggi ridotta a vigna, costruitovi nel 1732 dal Cardinale Albani”.

Il Rasi, in Sul porto e territorio di Anzio: discorso istorico con sommario (1832,) annota “Beni dell’Ospedale dei poveri di Nettuno: terreno, già Vigne di diversi Particolari di Nettuno”, e riporta “merita osservazione la possidenza del signor cardinale Cesi, poiché nel catasto dal 1600 in poi trovansi notati tutti i possessori primi delle vigne”, ed ancora ”La vigna d' Anzo d' opre settanta paga il canone parte al rev. capitolo « di s. Giovanni, e l'altra parte al ven. ospedale de' poveri di Nettuno, confinante da « levante colla vigna di Francesco Segnero, e da ponente colla vigna dell'eminentissimo signor cardinale Albani..”.

Nei corso dei secoli la viticoltura ha mantenuto il ruolo importante nell’economia agricola del territorio contribuendo allo sviluppo sociale ed economico dell’area come testimonia la Sagra del vino Nettuno che circa un ventennio rinnova la tradizione della viticoltura nettunense.

Anche nel presente, i vini a DOC «Nettuno» hanno ricevuto e continuano a ottenere numerosi riconoscimenti nei concorsi sia nazionali, sia internazionali e ben figurano sulle principali guide nazionali.

L’incidenza dei fattori umani, nel corso della storia, è in particolare riferita alla puntuale definizione dei seguenti aspetti tecnico produttivi, che costituiscono parte integrante del vigente disciplinare di produzione:

base ampelografica dei vigneti:

 i vitigni idonei alla produzione del vino in questione, sono quelli

tradizionalmente coltivati nell’area geografica considerata: il Bellone localmente noto come

Cacchione, il Trebbiano toscano, il Sangiovese ed il Merlot;

le forme di allevamento, i sesti d’impianto e i sistemi di potatura che, anche per i nuovi impianti:

sono quelli tradizionali e tali da perseguire la migliore e razionale disposizione sulla superficie delle viti, sia per agevolare l’esecuzione delle operazioni colturali, sia per consentire la razionale gestione della chioma, permettendo di ottenere una adeguata superficie fogliare ben esposta e di contenere le rese di produzione di vino entro i limiti fissati dal disciplinare (98 hl/ha per le tipologie bianche e rosate e 91 hl/ha per le tipologie Bellone o Cacchione, rosso e novello);

le pratiche relative all’elaborazione dei vini:

che sono quelle tradizionalmente consolidate in zona per la vinificazione di vini bianchi complessi ed equilibrati ed in rosso di vini tranquilli e strutturati.

 

B) Informazioni sulla qualità o sulle caratteristiche del prodotto essenzialmente o esclusivamente

attribuibili all'ambiente geografico.

La DOC «Nettuno» è riferita a quattro tipologie di vino bianco (“bianco secco”, “bianco frizzante”, “bianco Bellone o Cacchione” e “bianco Bellone o Cacchione frizzante”), a due di vino rosso (“rosso” e “novello”) ed a due tipologie rosate (“rosato” e “rosato frizzante”) che dal punto di vista analitico ed organolettico presentano caratteristiche molto evidenti e peculiari, descritte all’articolo 6 del disciplinare, che ne permettono una chiara individuazione e tipicizzazione legata all’ambiente geografico.

Nello specifico le singole tipologie di vino si caratterizzano:

«Nettuno» bianco:

vino fresco ed equilibrato, con colore giallo paglierino più o meno intenso, odore fruttato, caratteristico, delicato, gradevole, sapore secco, fresco, armonico.

«Nettuno» bianco frizzante:

vino fresco ed equilibrato, con colore giallo paglierino con perlage vivace ed evanescente, odore fruttato, caratteristico, delicato, gradevole, sapore secco morbido e vivace.

«Nettuno» Bellone o Cacchione:

vino fresco ed equilibrato, strutturato, con colore giallo paglierino con riflessi giallognoli, odore caratteristico e delicato, sapore secco e armonico.

«Nettuno» Bellone o Cacchione frizzante:

vino fresco ed equilibrato, strutturato, con colore giallo paglierino con riflessi giallognoli, perlage vivace ed evanescente, odore caratteristico e delicato, sapore secco fresco e vivace.

«Nettuno» rosso:

buona struttura e presenza di buone dotazioni polifenoliche e tanniche polimerizzate, che conferiscono al vino carattere di pienezza di corpo e assenza di ruvidezza.

Il vino presenta un colore rosso rubino intenso, odore caratteristico persistente con sentori fruttati e floreali, sapore asciutto, armonico, pieno e gradevole.

«Nettuno» novello:

buona struttura con un modesto tenore di acidità, il colore è rosso rubino più o meno intenso, odore con aromi fruttati e persistente, sapore asciutto, morbido, fresco, armonico, vivace per fragranza.

«Nettuno» rosato:

leggero di corpo, fresco, vivace, con colore rosa più o meno intenso, talvolta con tonalità rubino, odore fruttato e delicato, sapore asciutto, armonico.

«Nettuno» rosato frizzante:

leggero di corpo, fresco, vivace, con colore rosa più o meno intenso, talvolta con tonalità rubino, perlage vivace ed evanescente, odore fruttato e delicato, sapore secco, fresco e vivace.

Al sapore tutti i vini presentano un’acidità normale, un amaro poco percepibile, poca astringenza e buona struttura, che contribuiscono al loro equilibrio gustativo.

 

C) Descrizione dell'interazione causale fra gli elementi di cui alla lettera A) e quelli di cui alla lettera B).

L’orografia pianeggiante dell’areale di produzione, nel litorale romano, l’elevata ventilazione e l’esposizione ad ovest, concorrono a determinare un ambiente arioso, luminoso e con un suolo naturalmente sgrondante dalle acque reflue, particolarmente vocato per la coltivazione dei vigneti del «Nettuno».

Anche la tessitura e la struttura chimico-fisica dei terreni interagiscono in maniera determinante con la coltura della vite, contribuendo all’ottenimento delle peculiari caratteristiche fisico chimiche ed organolettiche del «Nettuno».

In particolare, i terreni, risalgono al quaternario e sono composti da depositi sedimentari marini di transizione e continentali risalenti al Pliocene-Olocene, mentre le successioni vulcaniche datano il Pleistocene medio-superiore. Sono quindi presenti argille di ambiente batiale e circalitorale, sabbie e calcareniti di ambiente infralitorale, sabbie di ambiente costiero con vulcaniti albane intercalate e sabbie di ambiente eolico e fluviale tipiche della“Duna antica”.

Anche il clima dell’areale di produzione, caratterizzato da precipitazioni sufficienti (900 mm), con scarse piogge estive (74 mm) con aridità da maggio ad agosto, ma con valori elevati solo nei mesi estivi, da una buona temperatura media annuale (15.6 °C), unita ad una temperatura relativamente elevata e ottima insolazione nei mesi di settembre ed ottobre, consente alle uve di maturare completamente, contribuendo in maniera significativa alle particolari caratteristiche organolettiche del vino «Nettuno».

In particolare, la combinazione tra le caratteristiche del terreno ed i fattori climatici, determina per i vini bianchi, la produzione di significative quantità di precursori aromatici che consentono di esaltare le caratteristiche organolettiche e i sentori tipici dei diversi vitigni e per i vini rossi un’ottimale maturazione fenolica, che unita ad un ottimale rapporto tra zuccheri e acidi permette di ottenere vini caratterizzati da elevata struttura, un grande equilibrio fra le diverse componenti.

La millenaria storia vitivinicola di questa terra, dall’epoca romana, al medioevo, fino ai giorni nostri, attestata da numerosi documenti, è la generale e fondamentale prova della stretta connessione ed interazione esistente tra i fattori umani e la qualità e le peculiari caratteristiche del «Nettuno» .

Ovvero è la testimonianza di come l’intervento dell’uomo nel particolare territorio abbia, nel corso dei secoli, tramandato le tradizionali tecniche di coltivazione della vite ed enologiche, le quali nell’epoca moderna e contemporanea sono state migliorate ed affinate, grazie all’indiscusso progresso scientifico e tecnologico, fino ad ottenere i vini «Nettuno» , le cui peculiari caratteristiche sono descritte all’articolo 6 del disciplinare.

In particolare la presenza della viticoltura nella zona del «Nettuno» è attestata fin dall’epoca dei romani, in molte opere dei georgici latini.

In tempi più recenti nei Ricordi storici e pittorici d'Italia. (1865) Ferdinand Adolf Gregorovius scrive “I Nettunnesi traggono la loro sussistenza dalla coltura della vite, dagli orti,” e ancora “La sua villa di Anzio (Pio IX) palazzo signorile nel gusto dell' epoca, il quale sorge nel mezzo di un vasto giardino, ora però mal tenuto, povero di fiori di piante di ornamento, ma ricco di aranci e di vigne”.

In Anzio antico e moderno: opera postuma Francesco Lombardi (1865) si trova per Nettuno “Questo popolo non manca di spirito, e di talento, ed attende alla coltivazione del suo territorio, d'onde ritrae olio, vino,… quanto basta per la sua provvista, e per quella di Anzio ancora”.

Nei Monumenti dello Stato pontificio: e relazione topografica di ogni paese (1834), Giuseppe Marocco riporta “I prodotti di Nettuno “..grano, vino di buona qualità”.

La storia recente è caratterizzata da un’evoluzione positiva della denominazione, dovuta alla professionalità degli operatori, all’impianto di nuovi vigneti e alla nascita di nuove aziende, che hanno contribuito ad accrescere il livello qualitativo e la rinomanza del «Nettuno»..

 

Articolo 10

Riferimenti alla struttura di controllo

 

Nome e Indirizzo:

Camera di Commercio, Industria, Artigianato ed Agricoltura di Roma

Via Appia Nuova 218

00179 Roma

Telefono 06/52082699 - Fax 06/52082494;

E-mail lcm.amministrazione@rm.camcom.it

La C.C.I.A.A. di Roma è l’Organismo di controllo autorizzato dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 61/2010 (Allegato 2) che effettua la verifica annuale del rispetto delle disposizioni del presente disciplinare conformemente all’articolo 25, par 1, 1° capoverso, lettera a) e c), ed all’articolo 26 del Reg CE n. 607/2009, per i prodotti beneficianti della DOP, mediante una metodologia dei controlli sistematica nell’arco dell’intera filiera produttiva (viticoltura, elaborazione, confezionamento), conformemente al citato articolo 25, par. 1, 2° capoverso, lettera c).

In particolare, tale verifica è espletata nel rispetto di un predeterminato piano dei controlli, approvato dal Ministero, conforme al modello approvato con il DM 2 novembre 2010, pubblicato in GU n. 271 del 19-11-2010. (Allegato 3).

 

N.B. fa fede solo il testo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

OLEVANO ROMANO

CESANESE DI OLEVANO ROMANO

D.O.C.

Decreto 25 Ottobre 2010

(Fonte GURI)

Modifica Decreto 30 novembre 2011

(fonte Mipaaf)

 

Articolo 1

(denominazione e vini)

 

La denominazione d’origine controllata “Cesanese di Olevano Romano” o “Olevano Romano” è riservata ai vini che rispondono alle condizioni e ai requisiti prescritti dal presente disciplinare di produzione per le tipologie:

 

“Cesanese di Olevano Romano” o “Olevano Romano”

“Cesanese di Olevano Romano” o “Olevano Romano” amabile

“Cesanese di Olevano Romano” o “Olevano Romano” dolce

“Cesanese di Olevano Romano” o “Olevano Romano” dolce frizzante

“Cesanese di Olevano Romano” o “Olevano Romano” superiore

“Cesanese di Olevano Romano” o “Olevano Romano” riserva

 

Articolo 2

(base Ampelografica)

 

Il vino “Cesanese di Olevano Romano” o “Olevano Romano” deve essere ottenuto dalle uve prodotte dai vigneti aventi, nell'ambito aziendale, la seguente composizione ampelografica:

Cesanese di Affile e/o Cesanese comune per non meno del 85%;

altri vitigni a bacca rossa idonei alla coltivazione per la Regione Lazio per non più del 15%.

La base ampelografica dei vigneti, già iscritti all'albo dei vigneti della denominazione di origine controllata “Cesanese di Olevano Romano” o “Olevano Romano”, deve essere adeguata, entro la decima vendemmia riferita, alla data di approvazione del presente disciplinare di produzione.

Sino alla scadenza, indicata nel precedente comma, i vigneti di cui sopra, iscritti a titolo transitorio all'albo dei vigneti della denominazione di origine controllata dei vini “Cesanese di Olevano Romano” o “Olevano Romano”, potranno usufruire della denominazione medesima.

 

Articolo 3

(zona di produzione)

 

La zona di produzione del vino “Cesanese di Olevano Romano” comprende tutto il territorio di

Olevano Romano e parte di quello di Genazzano,

in provincia di Roma.

 

Tale zona è così delimitata: partendo dall’incrocio del confine comunale di Roiate e Olevano Romano con quello tra le province di Roma e Frosinone, località la Morra Rossa, il limite segue quest’ultimo in direzione sud fino al colle S. Quirico e poi verso ovest fino al fiume Sacco.

Prosegue quindi sempre verso sud lungo il confine provinciale sino al ponte sito in prossimità della Mola di Piscoli.

Dal ponte prosegue verso ovest sulla strada che conduce ai Collicchi fino a quota

259 e poi segue quella che prima in direzione sud-ovest e poi sud, costeggia il fiume Sacco passando per le quote 220 e 229 sino a raggiungere il confine comunale di Genazzano sullo stesso corso d’acqua, prosegue quindi in direzione ovest il medesimo e, 150 metri prima di incontrare l’affluente che discende dalla Valle Fonte Noce.

Prende la strada che risale verso nord costeggiando questo corso d’acqua, procede lungo il proseguimento della medesima attraverso le quote 251, 253, 231, costeggia quindi il colle Salomone fino a raggiungere, una volta superato il ponte sul fosso Ciaffo, le case Birbaccia.

Dalle case Birbaccia segue la strada che costeggiando il colle Comare, I collicchi, il colle Cocomero passa per le quote 265,272, 267e 297.

Da quota 297 segue in direzione nord-ovest la strada per la Sonnina fino a raggiungere la strada statale di Fiuggi in prossimità al km 18,500, percorre quest’ultima in direzione est fino al km 20.250 circa e prima di giungere alla stazione di Olevano Romano.

Piega verso nord sulla strada che costeggiando Colle Gentile e la località Grotta incrocia fosso della Selva che discende sino a incontrare il confine comunale tra Genazzano e Olevano Romano prima verso nord e poi verso est e

sud-est fino a incontrare quello tra le province di Roma e Frosinone in località la Morra Rossa, chiudendo così la delimitazione.

 

Articolo 4

(norme per la viticoltura)

 

Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti destinati alla produzione del vino “Cesanese di Olevano Romano” o “Olevano Romano” devono essere quelle tradizionali della zona e, comunque, atte a conferire alle uve e al vino derivato le specifiche caratteristiche di qualità..

Per i nuovi impianti e reimpianti la densità non può essere inferiore a 3.000 ceppi per ettaro in coltura specializzata.

E’ vietata ogni pratica di forzatura.

La produzione massima di uva ad ettaro e il titolo alcolometrico volumico naturale minimo sono le seguenti:

 

Cesanese di Olevano Romano o Olevano Romano: 12,00 t/ha, 11,50% vol.;

Cesanese di Olevano Romano o Olevano Romano superiore e riserva: 10,00 t/ha, 12,00% vol.

 

Nelle annate favorevoli i quantitativi di uve ottenuti e da destinare alla produzione dei vini a denominazione di origine controllata “Cesanese di Olevano Romano” o “Olevano Romano” devono essere riportati nei limiti di cui sopra purché la produzione globale non superi del 20% i limiti medesimi, fermi restando i limiti resa uva/vino per i quantitativi di cui trattasi.

 

Articolo 5

(norme per la vinificazione)

 

Le operazioni di vinificazione devono essere effettuate nell’intero territorio dei comuni di

Arcinazzo Romano, Affile, Roiate, Olevano Romano, Genazzano

in provincia di Roma,

e di

Serrone del Frusinate, Piglio, Paliano, Acuto e Anagni

in provincia di Frosinone.

L’imbottigliamento del vino “Cesanese di Olevano Romano” o “Olevano Romano” deve avvenire all’interno della zona di vinificazione.

La resa massima dell’uva in vino, non deve essere superiore al 65%

Qualora la resa uva/vino superi i limiti di cui sopra, ma non oltre il 70%, l'eccedenza non ha diritto alla denominazione d'origine. Oltre detto limite decade il diritto alla denominazione d'origine controllata per tutta la partita.

La presa di spuma o frizzantatura deve avvenire in grandi recipienti chiusi e può essere utilizzato unicamente mosto d’uva o mosto d’uva parzialmente fermentato anche in miscela tra loro.

 

Articolo 6

(caratteristiche al consumo)

 

I vini di cui all’art. 1 devono rispondere, all’atto dell’immissione al consumo, alle seguenti caratteristiche:

 

“Cesanese di Olevano Romano” o “Olevano Romano”:

colore: rosso rubino con riflessi violacei;

profumo: delicato, caratteristico;

sapore: asciutto, corposo, morbido, armonico;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 24,00 g/l.

 

“Cesanese di Olevano Romano” o “Olevano Romano” amabile:

colore: rosso rubino con riflessi porpora;

profumo: delicato, caratteristico;

sapore: amabile e caratteristico;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11% vol.;

zuccheri residui: da 18,00 g/l a 30,00 g/l

acidità totale minima: 5,00 g/l;

estratto non riduttore minimo: 22,00 g/l;

 

“Cesanese di Olevano Romano” o “Olevano Romano” dolce:

colore: rosso brillante con riflessi porpora;

profumo: delicato, caratteristico;

sapore: armonico, dolce, caratteristico;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 9,00% vol.;

zuccheri residui: minimo 45,00 g/l;

acidità totale minima: 5,00 g/l;

estratto non riduttore minimo: 22,00 g/l.

 

“Cesanese di Olevano Romano” o “Olevano Romano” dolce frizzante:

spuma: evanescente;

colore: rosso brillante con riflessi porpora;

profumo: delicato, caratteristico del vitigno di base;

sapore: armonico, dolce, caratteristico;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 9,00% vol.;

zuccheri residui: minimo 45,00 g/l;

acidità totale minima: 5,00 g/l;

estratto non riduttore minimo: 22,00 g/l.

 

“Cesanese di Olevano Romano” o “Olevano Romano” superiore:

colore: rosso rubino tendente al granato con l’invecchiamento;

profumo: intenso e caratteristico;

sapore: asciutto, armonico, vellutato;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,50% vol.;

acidità totale minima: 5,00 g/l;

estratto non riduttore minimo: 24,00 g/l.

 

“Cesanese di Olevano Romano” o “Olevano Romano” riserva:

colore: rosso rubino tendente al granato con l’invecchiamento;

profumo: intenso e caratteristico;

sapore: asciutto, armonico, vellutato;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 13,00% vol.;

acidità totale minima: 5,00 g/l;

estratto non riduttore minimo: 24,00 g/l.

 

E' in facoltà del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali - Comitato Nazionale per la Tutela e la Valorizzazione delle Denominazioni di Origine e delle Indicazioni Geografiche Tipiche dei Vini - modificare i limiti dell'acidità totale e dell'estratto secco netto con proprio decreto.

 

Articolo 7

(etichettatura designazione e presentazione)

 

Nella etichettatura, designazione e presentazione dei vini di cui all’art. 1 è vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione diversa da quelle previste dal presente disciplinare, ivi compresi gli aggettivi “fine”, “scelto”, “selezionato” e similari.

E’ tuttavia consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali, marchi privati, non aventi significato laudativo e non idonei a trarre in inganno il consumatore.

Le menzioni facoltative, esclusi i marchi e i nomi aziendali, possono essere riportate nell'etichettatura soltanto in caratteri tipografici non più grandi o evidenti di quelli utilizzati per la denominazione d'origine del vino,

Per il vino “Cesanese di Olevano Romano” o “Olevano Romano” Superiore l'immissione al consumo è consentita non prima del

primo giugno dell’anno successivo alla vendemmia

Il vino “Cesanese di Olevano Romano” o “Olevano Romano” Riserva deve essere sottoposto ad un periodo di invecchiamento non inferiore a

24 mesi (decorrenza anno vendemmia 1 novembre),

di cui 6 mesi di affinamento in bottiglia.

Nella presentazione e designazione dei vini di cui all’art.1, con l’esclusione della tipologia frizzante, è obbligatoria l’indicazione dell’annata di produzione delle uve.

 

Articolo 8

(confezionamento)

Per le tipologie “Cesanese di Olevano Romano” o “Olevano Romano” Superiore e Riserva è consentito l'imbottigliamento in recipienti di volume nominale non superiori a 0,75 litri, con tappo sughero.

 

Articolo 9

Legame con l’ambiente geografico

 

A) Informazioni sulla zona geografica.

1. Fattori naturali rilevanti per il legame.

La zona geografica delimitata ricade nella parte Centro Orientale della regione Lazio, in Provincia di Roma e comprende un territorio di media e alta collina, che si estende per circa 3685 ettari, situato sulle pendici dei Monti Simbruini, laddove in ampie vallate, in particolare nell’alta valle del Sacco, sono coltivati i rigogliosi vigneti del “Cesanese di Olevano Romano” o “Olevano Romano”.

I terreni dell’area sono riconducibili a diverse classi dette “formazioni”. Sono presenti calcari bianchi e avana con componente organogena e detritica (resti di bivalvi e alghe calcaree), fortemente frantumata e costituiscono l’elemento morfologico più importante del territorio di Olevano Romano e dintorni.

Seguono le marne contenenti una sensibile quantità di argilla, prevalentemente nella parte superiore del terreno, mentre sullo strato inferiore sono presenti fossili di Orbulina Universa. La formazione Argilloso-Arenacea, che costituisce quasi tutto il territorio di Olevano Romano, è composta da un’alternanza di argille e arenarie che sono preponderanti verso l’alto della formazione, dove si passa da una giacitura stratificata a una massiva.

Le vulcaniti di età Quaternaria coprono le formazioni più antiche e sono particolarmente sfruttabili per l’agricoltura, in

quanto ricche di elementi nutritivi; sono costituite da scorie, alternate a pomici e cineriti, derivanti da più fasi esplosive del Vulcano Laziale.

L’altitudine dei terreni coltivati a vite è compresa tra i 211 e i 571 m s.l.m. con pendenza variabile e l’esposizione generale è orientata verso ovest e sud-ovest.

Il clima dell’area è di tipo temperato ed è caratterizzato da precipitazioni medie annue molto abbondanti comprese tra i 1431 ed i 1606 mm, con aridità estiva assente (pioggia 123-160 mm).

La temperatura media annua è compresa tra i 12,0 ed i 13,6°C; freddo intenso in inverno, con temperatura media inferiore ai 10°C per 5-6 mesi l’anno e temperatura media minima del mese più freddo dell’anno che oscilla tra 0,1 e 1,3° C.

La combinazione tra natura del terreno e fattori climatici fanno della zona delimitata come DOC Cesanese di Olevano Romano un territorio altamente vocato alla produzione di vini di pregio.

2. Fattori umani rilevanti per il legame.

Di fondamentale rilievo sono i fattori umani legati al territorio di produzione, che per consolidata tradizione hanno contribuito ad ottenere il vino “Cesanese di Olevano Romano”.

La presenza della viticoltura nell’area delimitata risale all’epoca romana. Nel medioevo gli Statuta Olibani, emanati il 15 gennaio 1364, regolamentavano la vita del Castro Olibana che si estendeva sul territorio degli attuali comuni di Olevano Romano e Genazzano.

Tali documenti contengono numerosi capitoli che stabilivano le zone da destinare a vigneto, le modalità per determinare l’epoca della vendemmia e regolavano il commercio del vino.

Nel corso dei secoli la viticoltura ha mantenuto il ruolo di coltura principe del territorio, fino all’attualità, come testimonia la Sagra del vino “Cesanese di Olevano Romano” la cui prima edizione risale al 1929.

Anche nel presente, i vini a DOC Cesanese di Olevano Romano hanno ricevuto e continuano a ottenere numerosi riconoscimenti nei concorsi sia nazionali, sia internazionali e ben figurano sulle principali guide nazionali.

L’incidenza dei fattori umani, nel corso della storia, è in particolare riferita alla puntuale definizione dei seguenti aspetti tecnico produttivi, che costituiscono parte integrante del vigente disciplinare di produzione:

base ampelografica dei vigneti:

 i vitigni idonei alla produzione del vino in questione, sono quelli tradizionalmente coltivati nell’area geografica considerata: il Cesanese di Affile ed il Cesanese Comune;

le forme di allevamento, i sesti d’impianto e i sistemi di potatura che, anche per i nuovi impianti:

sono quelli tradizionali e tali da perseguire la migliore e razionale disposizione sulla superficie delle viti, sia per agevolare l’esecuzione delle operazioni colturali, sia per consentire la razionale gestione della chioma, permettendo di ottenere una adeguata superficie fogliare ben esposta e di contenere le rese di produzione di vino entro i limiti fissati dal disciplinare (78 hl/ha per la tipologia di base, amabile, dolce, dolce frizzante e 65 hl/ha per le tipologie Superiore e Riserva);

le pratiche relative all’elaborazione dei vini:

che sono quelle tradizionalmente consolidate in zona per la vinificazione in rosso dei vini tranquilli, adeguatamente differenziate per la tipologia di base e le tipologie riserva e superiore, riferite quest’ultime a vini rossi maggiormente strutturati, la cui elaborazione comporta determinati periodi di invecchiamento ed affinamento in bottiglia obbligatori.

 

B) Informazioni sulla qualità o sulle caratteristiche del prodotto essenzialmente o esclusivamente

attribuibili all'ambiente geografico.

La DOC “Cesanese di Olevano Romano” o “Olevano Romano” è riferita a 6 tipologie di vino rosso (“base”, “amabile”, “dolce”, “dolce frizzante”, “Superiore” e “Riserva”) che dal punto di vista analitico ed organolettico presentano caratteristiche molto evidenti e peculiari, descritte all’articolo 6 del disciplinare, che ne permettono una chiara individuazione e tipicizzazione legata all’ambiente geografico.

Nello specifico le singole tipologie di

vino si caratterizzano:

Cesanese di Olevano Romano”: buona struttura e presenza di buone dotazioni polifenoliche e tanniche polimerizzate, che conferiscono al vino carattere di pienezza di corpo, assenza di ruvidezza e buona longevità. Il prodotto presenta un colore rosso rubino con riflessi violetti, odore intenso con sentori fiorali e fruttati (bacche e drupe) tipici delle cultivar, sapore secco armonico di giusto corpo.

“Cesanese di Olevano Romano amabile”:

discreta struttura con un modesto tenore di acidità, il colore è rosso rubino con riflessi porpora, con aromi floreali e fruttati (ciliegia) tipici dei vitigni a cui si accompagna lo speziato ed il vegetale, gradevolmente amabile.

“Cesanese di Olevano Romano dolce”:

discreta struttura con un modesto tenore di acidità, il colore è rosso rubino con riflessi porpora, con aromi floreali e fruttati (ciliegia) tipico del vitigno a cui si accompagna lo speziato ed il vegetale, gradevolmente dolce.

“Cesanese di Olevano Romano dolce frizzante”:

discreta struttura con un modesto tenore di acidità, il colore è rosso rubino con riflessi porpora, con aromi floreali e fruttati (ciliegia) tipici dei vitigni a cui si accompagna lo speziato ed il vegetale, gradevolmente dolce.

“Cesanese di Olevano Romano Superiore”:

buona struttura e presenza di buone dotazioni polifenoliche e tanniche polimerizzate, che conferiscono al vino carattere di pienezza di corpo, assenza di ruvidezza e buona longevità. Il prodotto presenta un colore rosso rubino con riflessi

violetti, odore intenso con sentori fiorali e fruttati (bacche e drupe) tipici delle cultivar, sapore secco armonico di giusto corpo.

“Cesanese di Olevano Romano Riserva”:

buona struttura e presenza di buone dotazioni polifenoliche polimerizzate, che conferiscono al vino carattere di pienezza di corpo, assenza di ruvidezza e buona longevità. Il prodotto presenta un colore rosso rubino con riflessi granati con l’invecchiamento, odore intenso e persistente con sentori fiorali e fruttati (bacche e drupe) tipici

delle cultivar che sfumano a favore di quelli speziati o fenolici associabili al legno, sapore secco armonico di giusto corpo.

Al sapore tutti i vini presentano un’acidità normale, un amaro poco percepibile, un dolce armonico e caratteristico nelle tipologie “amabile”, “dolce” e “dolce frizzante”, poca astringenza, buona struttura (a volte tendente al debole nella tipologia di base), che contribuiscono al loro equilibrio gustativo.

 

C) Descrizione dell'interazione causale fra gli elementi di cui alla lettera A) e quelli di cui alla lettera B).

L’orografia collinare dell’areale di produzione, nel bacino dell’alta valle del Sacco, e l’esposizione ad ovest, sud-ovest, concorrono a determinare un ambiente arioso, luminoso e con un suolo naturalmente sgrondante dalle acque reflue, particolarmente vocato per la coltivazione dei vigneti del “Cesanese di Olevano Romano”.

Da tale area sono peraltro esclusi i terreni ubicati a quote troppo basse non adatti ad una viticoltura di qualità.

Anche la tessitura e la struttura chimico-fisica dei terreni interagiscono in maniera determinante con la coltura della vite, contribuendo all’ottenimento delle peculiari caratteristiche fisico chimiche ed organolettiche del “Cesanese di Olevano Romano”.

In particolare, i terreni, riconducibili alle terre rosse con tessitura argillo-limosa presentano, in genere, limitato spessore ed un sottosuolo coerente. Anche dove lo strato attivo è abbastanza profondo, non si ottengono risultati produttivi soddisfacenti per altre colture intensive. Sono infatti terre che di norma si rinvengono a quote superiori ai 500 m s.l.m. oppure a quota inferiore, ma con pendenze maggiori del 10%.

Nonostante la presenza di sottosuolo calcareo, che spesso contiene oltre al carbonato di calcio anche quello di magnesio, le terre rosse presentano uno scarso contenuto di tali sali e spesso ne sono completamente prive.

Trattasi di terre che presentano un limitato contenuto di elementi nutritivi e che mal si prestano ad un’utilizzazione intensiva delle altre colture agrarie (anche in relazione alla loro giacitura); ma proprio in virtù di tali caratteristiche sono idonei ad una vitivinicoltura di qualità, con basse rese produttive, conferendo ai vini particolare vigore e complessità.

Anche il clima dell’areale di produzione, caratterizzato da precipitazioni abbondanti (mediamente 1536 mm), con sufficienti piogge estive (160 mm) e semiaridità nei mesi di luglio e agosto, da una sufficiente temperatura media annuale (13.6 °C), unita ad una temperatura relativamente elevata, un’ottima insolazione nei mesi di settembre ed ottobre ma con una elevata escursione termica tra notte e giorno, consente alle uve di maturare lentamente e completamente (in qualche anno anche fino al mese di novembre), contribuendo in maniera significativa alle particolari caratteristiche organolettiche del vino "Cesanese di Olevano Romano".

In particolare, la combinazione tra le caratteristiche del terreno ed i fattori climatici, determina un’ottimale maturazione fenolica, che unita ad un ottimale rapporto tra zuccheri e acidi, permette di ottenere vini caratterizzati da elevata struttura con un grande equilibrio fra le diverse componenti.

La millenaria storia vitivinicola riferita alla terra del “Castro Olibana”, dall’epoca romana, al medioevo, fino ai giorni nostri, attestata da numerosi documenti, è la generale e fondamentale prova della stretta connessione ed interazione esistente tra i fattori umani e la qualità e le peculiari caratteristiche del “Cesanese di Olevano Romano”.

Ovvero è la testimonianza di come l’intervento dell’uomo nel particolare territorio abbia, nel corso dei secoli, tramandato le tradizionali tecniche di coltivazione della vite ed enologiche, le quali nell’epoca moderna e contemporanea sono state migliorate ed affinate, grazie all’indiscusso progresso scientifico e tecnologico, fino ad ottenere i rinomati vini “Cesanese di Olevano romano”, le cui peculiari caratteristiche sono descritte all’articolo 6 del disciplinare.

In particolare la presenza della viticoltura nella zona di “Olevano Romano” è attestata fin dall’epoca romana, in molte opere dei georgici latini.

Nel medioevo: i contratti agrari ed i documenti di varia natura, conservati presso gli archivi monastici, confermano la diffusione di tale coltura.

Con la caduta dell'impero romano e la fine delle invasioni barbariche, la viticoltura in queste terre, nonostante i danni subiti, non perde la sua continuità con il passato e mantiene sempre un ruolo importante; come testimoniano i numerosi atti notarili, inerenti i terreni vitati, custoditi nell'archivio capitolare di Anagni.

Gli Statuti del Castro Olibana, emanati 15 gennaio 1364, regolavano l’ordinamento della Comunità olevanese su cui era basata la vita sociale, economica, religiosa, agricola e pastorale. Diversi Capitoli degli Statuti trattano della vite e del vino a testimonianza dell’importanza che anche allora rivestiva la vitivinicoltura.

Altro documento in cui viene citato il vino “Cesanese” è costituito dal Libro Mastro del 1838 conservato presso l’Archivio dell’Abbazia di Subiaco, la quale deteneva il possesso della maggior parte dei terreni della zona di Olevano Romano.

Successivamente la notorietà del prodotto è registrata in riviste di diffusione regionale degli anni '50 e '60. Nel 1958, in occasione della I Mostra Campionaria di vini, il prof. Bruni del Ministero dell'Agricoltura e Foreste, nell'ambito di una conferenza afferma che "per i vini neri, che dovrebbero essere incrementati, il vitigno fondamentale dovrebbe essere il "Cesanese". Nel 1959, in occasione della II Mostra Campionaria di vini, si parla del "famoso rosso Cesanese".

La storia recente è caratterizzata da un’evoluzione positiva della denominazione, con l’impianto di nuovi vigneti, la nascita di nuove aziende che uniti alla professionalità degli operatori hanno contribuito ad accrescere il livello qualitativo e la rinomanza del “Cesanese di Olevano Romano”.

 

Articolo 10

Riferimenti alla struttura di controllo

 

Nome e Indirizzo:

Camera di Commercio, Industria, Artigianato ed Agricoltura di Roma

Via Appia Nuova 218

00179 Roma

Telefono 06/52082699 - Fax 06/52082494;

E-mail lcm.amministrazione@rm.camcom.it

La C.C.I.A.A. di Roma è l’Organismo di controllo autorizzato dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 61/2010 (Allegato 1) che effettua la verifica annuale del rispetto delle disposizioni del presente disciplinare conformemente all’articolo 25, par 1, 1° capoverso, lettera a) e c), ed all’articolo 26 del Reg CE n. 607/2009, per i prodotti beneficianti della DOP, mediante una metodologia dei controlli sistematica nell’arco dell’intera filiera produttiva (viticoltura, elaborazione, confezionamento), conformemente al citato articolo 25, par. 1, 2° capoverso, lettera c).

In particolare, tale verifica è espletata nel rispetto di un predeterminato piano dei controlli, approvato dal Ministero, conforme al modello approvato con il DM 2 novembre 2010, pubblicato in GU n. 271 del 19-11-2010. (Allegato 2).

 

N.B. fa fede solo il testo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

 

ROMA

D.O.C.

Decreto 02 agosto 2011

Rettifica Decreto 03 novembre 2011

Modifica 07 marzo 2014

(fonte GURI)

Modifica Decreto 30 novembre 2011

Modifica Provvedimento 6 aprile 2016

(fonte Mipaaf)

 

Articolo 1

Denominazioni e vini

 

La denominazione di origine controllata “Roma” è riservata ai vini che rispondono alle condizioni ed ai

requisiti prescritti dal presente disciplinare di produzione per le seguenti tipologie:

 

“bianco” anche nella versione amabile;

“rosso” anche nella versione amabile;

“rosso riserva”;

“rosato”;

“Romanella” spumante;

“Malvasia puntinata”;

“Bellone”.

La specificazione “classico” è consentita per i vini della zona di origine più antica indicata nell’ultimo comma dell’articolo 3, ad esclusione della tipologia Romanella “spumante”.

 

Articolo 2

Base ampelografica

 

La denominazione di origine controllata “Roma“ è riservata ai vini ottenuti da uve provenienti da vigneti composti, in ambito aziendale, dalla seguente composizione ampelografia:

 

Bianco e “Romanella” spumante:

Malvasia del Lazio non meno del 50%

Bellone, Bombino, Greco b., Trebbiano giallo, Trebbiano verde da soli o congiuntamente per almeno il 35%

possono concorrere altri vitigni a bacca bianca idonei alla coltivazione per la Regione Lazio sino a un massimo del 15%.

 

Rosso, rosato:

Montepulciano non meno del 50%

Cesanese comune, Cesanese di Affile, Sangiovese, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Syrah da soli o congiuntamente per almeno il 35%

possono concorrere altri vitigni a bacca rossa idonei alla coltivazione per la Regione Lazio sino a un massimo del 15%.

 

La denominazione di origine, “Roma”, con la specificazione di uno dei seguenti vitigni:

Malvasia puntinata

Bellone

è riservata ai vini bianchi ottenuti da uve provenienti da vigneti costituiti per almeno l’85% dai corrispondenti vitigni,

possono concorrere altri vitigni a bacca bianca idonei alla coltivazione per la Regione Lazio sino a un massimo del 15%.

 

Articolo 3

Zona di produzione delle uve

 

La zona di produzione delle uve per l’ottenimento dei vini designati con la denominazione “Roma”, comprende l’intero territorio dei seguenti comuni ricadenti in provincia di Roma:

Affile, Albano Laziale, Allumiere, Anguillara Sabazia, Anzio, Arcinazzo Romano, Ardea, Ariccia, Bracciano, Campagnano di Roma, Canale Monterano, Capena, Castel Gandolfo, Castelnuovo di Porto, Cave, Cerveteri, Ciampino, Civitavecchia, Colonna, Fiano Romano, Fonte Nuova, Formello, Frascati, Gallicano nel Lazio, Genazzano, Genzano di Roma, Grottaferrata, Guidonia Montecelio, Ladispoli, Lanuvio, Lariano, Manziana, Marcellina, Marino, Mentana, Monte Compatri, Monte Porzio Catone, Montelibretti, Monterotondo, Montorio Romano, Moricone, Morlupo, Nemi, Nerola, Nettuno, Olevano Romano, Palestrina, Palombara Sabina, Pomezia, Rocca di Papa, Rocca Priora, Roiate, San Cesareo, San Polo dei Cavalieri, San Vito Romano, Santa Marinella, Sant’Angelo Romano, Tolfa, Trevignano Romano, Velletri, Zagarolo;

e parte dei seguenti comuni:

Artena

per la sola isola amministrativa compresa tra il confine di Lariano, Velletri e la provincia di Roma/Latina;

Fiumicino ad esclusione dell’isola Sacra;

Roma ad esclusione dell’area interna al GRA e di quella compresa tra il tratto del GRA che in prossimità dell’incrocio con la via del Mare interseca il fiume Tevere e prosegue lungo il tracciato dello steso fino alla diramazione del “canale di porto” raggiungendo la costa tirrenica.

Da questo punto si segue la costa in direzione sud raggiungendo il confine amministrativo del comune di Pomezia; si segue tale confine fino ad incrociare la via Laurentina; da questo incrocio si prosegue in direzione nord fino ad incrociare il GRA.

 

La zona di produzione delle uve per l’ottenimento dei vini designati all’art. 1 con la menzione “classico”, comprende esclusivamente la parte del territorio del comune di Roma di cui sopra.

 

Articolo 4

Norme per la viticoltura

 

Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti destinati alla produzione dei vini di cui all’art. 1 devono essere quelle tradizionali della zona e comunque atte a conferire alle uve e ai vini derivanti le specifiche caratteristiche di qualità.

 

La produzione massima di uva per ettaro di vigneto in coltura specializzata, nell’ambito aziendale, non deve essere superiore, anche per le tipologie con la specificazione del vitigno, ai limiti sotto indicati:

Bianco, Bellone, Malvasia puntinata, “Romanella” spumante: 12,00 t/ha;

Rosso e rosato:10,00 t/ha.

A tale limite, anche in annate eccezionalmente favorevoli, la produzione dovrà essere riportata ai limiti di cui sopra, purché quella globale del vigneto non superi del 20% il limite medesimo.

 

Le uve destinate alla produzione dei vini a denominazione “Roma” seguita o meno dal riferimento al vitigno, devono assicurare al vino un titolo alcolometrico volumico naturale minimo di:

11,00% vol. per i vini bianchi;

11,50% vol. per i vini rossi e rosati;

9,50% vol. per i vini Romanella spumante.

 

I sesti d’impianto, le forme di allevamento e i sistemi di potatura devono essere quelli generalmente usati

e atti a conferire alle uve e ai vini caratteristiche di qualità.

I sesti di impianto, per i vigneti impiantati a partire dalla data pubblicazione del presente disciplinare di

produzione, devono garantire un numero minimo di 3.000 ceppi per ettaro sul sesto d’impianto in coltura

specializzata.

Ê vietata ogni pratica di forzatura.

Ê tuttavia ammessa l’irrigazione di soccorso.

La regione Lazio, con proprio decreto, sentite le organizzazioni di categoria interessate di anno in anno, prima della vendemmia, tenuto conto delle condizioni ambientali e di coltivazione, può stabilire un limite massimo di produzione di uva per ettaro inferiore a quello fissato dal presente disciplinare, dandone immediata comunicazione al competente organismo di controllo.

 

Articolo 5

Norme per la vinificazione

 

Le operazioni di vinificazione, spumantizzazione e imbottigliamento dei vini a denominazione di cui all’art.1, devono essere effettuate all’interno del territorio di cui all’art. 3, compreso il territorio del comune di Aprilia in provincia di Latina.

Conformemente all’articolo 8 del Reg. CE n. 607/2009, l’imbottigliamento deve aver luogo nella predetta zona geografica delimitata per salvaguardare la qualità e assicurare l’efficacia dei controlli.

Tuttavia, in conformità all’articolo 8 del Reg. CE n. 607/2009, a salvaguardia dei diritti precostituiti dei soggetti che tradizionalmente hanno effettuato l’imbottigliamento al di fuori dell’area di produzione delimitata, sono previste autorizzazioni individuali alle condizioni di cui all’articolo 10, comma 3, lettera c) del decreto legislativo n. 61/2010.

Nella vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche atte a conferire ai vini le proprie peculiari caratteristiche.

La resa massima dell’uva in vino finito, pronto per il consumo non deve essere superiore al 70% per tutti i tipi di vino.

Qualora la resa uva/vino superi i limiti di cui sopra ma non oltre il 75%, l’eccedenza non ha diritto ad alcuna denominazione; oltre il 75% di resa, decade il diritto alla denominazione di origine controllata per tutto il prodotto.

Le tecniche di spumantizzazione per l’elaborazione della tipologia “Romanella spumante”, sono quelle consentite per la categoria dei vini spumanti dalla legislazione vigente.

La tipologia “Roma” rosso riserva deve essere sottoposto ad un periodo di invecchiamento non inferiore a

24 mesi

A decorrere dal 1 novembre dell’anno della vendemmia

La tipologia “Roma” bianco, anche con le specificazioni di vitigno, e “Roma rosato” deve essere immessa in commercio non prima del

15 marzo dell’anno successivo alla vendemmia.

La tipologia “Roma” rosso deve essere immessa in commercio non prima del

15 giugno dell’anno successivo alla vendemmia.

La tipologia “Romanella” spumante deve essere immessa in commercio non prima del

15 marzo dell’anno successivo alla vendemmia.

 

Articolo 6

Caratteristiche al consumo

 

I vini a Denominazione di Origine Controllata “Roma” di cui all'art. 1 devono rispondere, all'atto dell'immissione al consumo, alle seguenti caratteristiche:

 

Bianco  

Classico bianco:

colore: giallo paglierino talvolta con riflessi verdognoli;

profumo: delicato, etereo;

sapore: secco, armonico;

titolo alcolometrico volumico totale minimo 12,00% vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 18,00 g/l.

 

Bianco amabile,

Classico bianco amabile:

colore: giallo paglierino talvolta con riflessi verdognoli;

odore: fruttato, delicato, fine;

sapore: amabile, sapido, armonico;

titolo alcolometrico volumico totale minimo 12,50% vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 20,00 g/l.

 

Bellone,

Classico Bellone:

colore: giallo paglierino con talvolta riflessi verdognoli;

profumo: caratteristico, fine, gradevole;

sapore: secco, equilibrato,sapido;

titolo alcolometrico volumico totale minimo 12,00% vol.;.

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 18,00 g/l

Malvasia puntinata,

Classico Malvasia puntinata:

colore: giallo paglierino carico;

profumo: caratteristico della varietà, gradevole;

sapore: secco, equilibrato, morbido;

titolo alcolometrico volumico totale minimo 12,00% vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 18,00 g/l.

 

Rosso,

Classico rosso:

colore: rosso rubino con riflessi violacei anche tendenti al granato con l’invecchiamento;

profumo: caratteristico, intenso;

sapore: asciutto, armonico, buona struttura e persistenza;

titolo alcolometrico volumico totale minimo 12,50% vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 22,00 g/l.

 

Rosso amabile,

Classico rosso amabile:

colore: rosso rubino con riflessi violacei;

odore: armonico, fruttato e intenso ;

sapore: amabile, persistente, armonico;

titolo alcolometrico volumico totale minimo 13,00 % vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 24,00 g/l.

 

Rosso riserva,

Classico rosso riserva:

colore: rosso rubino con riflessi violacei anche tendenti al granato con l’invecchiamento;

profumo: caratteristico, intenso;

sapore: asciutto, armonico, buona struttura e persistenza;

titolo alcolometrico volumico totale minimo 13,00% vol.;

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 22,00 g/l.

 

Rosato,

Classico rosato:

colore: rosato più o meno intenso;

profumo: delicato, fine;

sapore: secco, fresco, fruttato,sapido;

titolo alcolometrico volumico totale minimo 11,50% vol.;.

acidità totale minima: 4,50 g/l;

estratto non riduttore minimo: 18,00 g/l.

 

Romanella spumante:

spuma: fine e evanescente;

limpidezza: brillante;

colore: giallo paglierino tenue;

profumo: delicato, fine;

sapore: da brut a extradry;

titolo alcolometrico volumico totale minimo 11,00% vol.;

acidità totale minima: 5,00 g/l;

estratto non riduttore minimo: 15,00 g/l.

 

E' in facoltà del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali - Comitato Nazionale per la Tutela e la Valorizzazione delle Denominazioni di Origine e delle Indicazioni Geografiche Tipiche dei Vini - modificare i limiti dell'acidità totale e dell'estratto secco netto con proprio decreto.

 

Articolo 7

Etichettatura, designazione e presentazione

 

Alla denominazione di origine controllata “Roma” è vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione diversa da quelle previste dal presente disciplinare di produzione, ivi compresi gli aggettivi extra, ad eccezione della tipologia spumante, fine, scelto, selezionato, superiore e similari.

È tuttavia consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali e marchi privati purché non abbiano significato laudativo e non siano tali da trarre in inganno il consumatore.

Nella designazione e presentazione del vino per tutte le tipologie previste dal presente disciplinare, deve figurare l'annata di produzione delle uve esclusa la tipologia spumante.

 

Articolo 8

Confezionamento

 

I vini di cui all’art. 1 devono essere immessi al consumo soltanto in recipienti di vetro di volume nominale fino a 1,500 litri.

I sistemi di chiusura delle bottiglie sono quelli ammessi dalla legislazione vigente, con l’esclusione del tappo corona,

Per i vini spumanti sono previsti i sistemi di chiusura consentiti dalla normativa vigente.

 

Articolo 9

Legame con l’ambiente geografico

 

A) Informazioni sulla zona geografica.

1. Fattori naturali rilevanti per il legame.

La zona geografica delimitata ricade nella parte centrale della regione Lazio, si estende su una superficie di circa 330.000 ettari e comprende i territori litoranei, la Sabina romana, i Colli Albani, i Colli Prenestini e parte della Campagna romana, in provincia di Roma.

I terreni dell’area, risalenti al Quaternario, sono riconducibili a due principali unità geologiche: le formazioni sedimentarie e le formazioni vulcaniche.

Nella prima, prima presente nelle aree pianeggianti della valle del Tevere e dell’Aniene, si hanno i sedimenti marini del Pliocene e Pleistocene inferiore costituiti da un substrato di sedimenti alluvionali e marini, quali travertini, sabbie, ghiaie, limi a volte coperti da depositi alluvionali recenti: procedendo verso il litorale si trovano depositi formatisi in ambiente fluvio-palustre costituiti da alternanze di livelli sabbiosi, sabbioso-argillosi e da formazioni di natura travertinosa, che progressivamente sono sostituiti da argille di ambiente batiale e circalitorale, sabbie e calcareniti di ambiente infralitorale, sabbie di ambiente costiero con vulcaniti albane intercalate e sabbie di ambiente eolico e fluviale (“Duna antica”).

Nella seconda, le manifestazioni vulcaniche del complesso Sabatino e del Vulcano laziale della fine del Pliocene, caratterizzate da fenomeni esplosivi, hanno generato terreni formati da vari tipi di tufo a cui si sono sovrapposti ceneri e lapilli depositati in strati di notevole spessore e cementati in misura diversa.

Si possono distinguere: pozzolane (localmente dette "terrinelle"), cioè ceneri vulcaniche del tutto prive di cementazione: si riscontrano nelle zone più lontane dalle bocche di eruzione e danno luogo a terreni sabbiosi, profondi, permeabili all'acqua e senza ristagni né superficiali né profondi; tufi litoidi, più o meno duri, derivati dalla cementazione delle ceneri e dei lapilli, con diverse denominazioni locali (cappellacci, cappellacci teneri, occhio di pesce, occhio di pernice, ecc.), coprono la parte maggiore del territorio considerato.

Sono di scarsa o nulla permeabilità all'acqua e alle radici ed è necessario pertanto procedere a scassi profondi per

permettere agli agenti atmosferici di attivare la pedogenesi e mettere a disposizione delle colture, in particolare della vite, uno strato sufficiente di terreno agrario per lo sviluppo radicale e la nutrizione idrica e minerale; rocce laviche, dure, poco attaccabili dai mezzi meccanici e dagli agenti atmosferici.

Coprono una minima parte del territorio in zone vicine ai crateri di eruzione. In generale danno origine a terreni di scarso spessore dove s’insedia il pascolo o il bosco; alluvioni recenti formatesi nelle zone pianeggianti per deposito alluvionale proveniente dalle pendici sovrastanti. I terreni derivati sono profondi, tendenzialmente argillosi, spesso umidi.

Sono anche presenti calcari bianchi e avana con componente organogena e detritica (resti di bivalvi e alghe calcaree), marne contenenti una sensibile quantità di argilla, prevalentemente nella parte superiore del terreno, e formazioni Argilloso-Arenacee, composte da un’alternanza di argille e arenarie che sono preponderanti verso l’alto della formazione, dove si passa da una giacitura stratificata a una massiva.

L’altitudine dei terreni coltivati a vite è compresa tra i 0 e i 600 m s.l.m., con pendenza variabile: l’esposizione generale è orientata verso ovest, sudovest e sud.

Il clima dell’area è di tipo temperato-mediterraneo ed è caratterizzato da precipitazioni medie annue comprese tra i 810 ed i 1233 mm, più copiose nelle zone più acclivi, con aridità estiva nei mesi luglio, agosto (pioggia 73-147 mm), più pronunciata e presente anche nel mese di giugno, e sporadicamente anche a maggio, alle quote più basse.

La temperatura media è compresa tra i 12,8 ed i 15,6°C: freddo prolungato da novembre ad aprile, più intenso nelle zone acclivi, con temperatura media inferiore ai 10°C per 3-4 mesi l’anno e temperatura media minima del mese più

freddo dell’anno che oscilla tra 2,3 e 4,0° C.

La combinazione tra natura del terreno e fattori climatici fanno della zona delimitata come DOC Roma un territorio altamente vocato alla produzione di vini di pregio.

 

2. Fattori umani rilevanti per il legame.

Di fondamentale rilievo sono i fattori umani legati al territorio di produzione, che per consolidata tradizione hanno contribuito ad ottenere il vino “Roma”.

I Romani fin dall'epoca dei re appresero dagli Etruschi le tecniche vitivinicole: nel II° secolo a.C: la vitivinicoltura raggiunse livelli molto elevati ed il vino era consumato anche in locali pubblici di vendita (thermopolia). Molto rilevante era l'esportazione, tanto che il porto di Ostia divenne un vero emporio vinario.

Con la crisi dell'Impero romano (III-IV secolo d.C) causata dalle lotte interne, dalle invasioni dei barbari, dal disordine politico e amministrativo e dall'insicurezza pubblica, iniziò anche il declino della viticoltura: molti agricoltori, inoltre, estirpavano i vigneti per non subire le forti tasse cui erano assoggettati, tanto che nel IV secolo l'imperatore Teodosio, per frenare questo fenomeno, decise la pena di morte per chi - sacrilega falce - tagliava le viti. Verso la fine

dell’Impero Romano di Occidente, la superficie viticola aveva subito una sensibile riduzione, mantenendosi in prevalenza nelle aree vicine alla città di Roma.

Dopo la caduta dell’Impero Romano di Occidente, tra il V e il X secolo, un importante contributo alla conservazione ed al miglioramento del patrimonio vitivinicolo venne dato dai vescovi, dai monaci, dagli ordini religiosi e dalla nobiltà laica.

Con la fine della barbarie, la viticoltura si diffuse nuovamente e si razionalizzò fino a diventare la coltura principale, grazie anche alla grande richiesta di vino di Roma, sede della corte papale e teatro di un forte aumento della popolazione.

Nei territori soggetti allo Stato Pontificio la viticoltura fu una delle coltivazioni primarie ed i Papi le dedicarono particolare attenzione per il gran conto in cui tenevano il vino, sia come elemento liturgico, sia come parte essenziale della loro mensa, sia infine, ma certo non da ultimo, per il suo valore commerciale.

Tanto importante è il vino nella mentalità dell’epoca, che negli statuti della città di Roma si trova scritto che un forestiero non poteva usufruire del diritto di cittadinanza, se non possedeva una casa dentro Roma ed anche una vigna nel raggio di tre miglia dalla città.

Al 1692 risale la fondazione di un’Accademia dei Vignaioli e la stesura di una pianta dell’agro romano voluta da papa Alessandro VII, dalla quale risulta che l’estensione delle vigne che circondavano Roma era di circa 4839 rubbi (8945 ettari).

I Papi proteggono con appositi editti la vite, si registra un prosperare di osterie e locande dettato dalla presenza del Papa e dall’affluenza di pellegrini. L’importanza del commercio del vino è dimostrata anche dall’esistenza di ben sette corporazioni. I membri della corporazione o Università dei Tavernieri, che risaliva al 1481, si dividevano in Tavernieri, che fornivano anche alloggio e Bettolieri, cioè mercanti al minuto soltanto di vino romanesco e dell’agro romano.

A Pio IX si deve l’aver fatto nascere, nel 1854, l’Università dei mercanti di vino, riunendo così in un unico organismo le troppe associazioni esistenti. Stemma di questo Collegium Vinariorum Urbis era un sole che dava luce ad una vite con la scritta “vinea nostra floruit”, stemma che si conserva ancora oggi nel cortile della chiesa di Santa Maria in Trivio.

Nei corso dei secoli la viticoltura ha mantenuto il ruolo di coltura principe del territorio, fino all’attualità, come testimoniano le numerose sagre e feste che annualmente vengono celebrate nei paesi ricadenti nell’areale di produzione e tra cui spiccano la Sagra dell’uva di Marino (la prima edizione risale al 1925) e la Festa dell’uva e dei vini di Velletri (1930).

L’incidenza dei fattori umani, nel corso della storia, è in particolare riferita alla puntuale definizione dei seguenti aspetti tecnico produttivi, che costituiscono parte integrante del vigente disciplinare di produzione:

base ampelografica dei vigneti:

i vitigni idonei alla produzione del vino in questione, sono quelli tradizionalmente coltivati nell’area geografica considerata: la Malvasia del Lazio, il Bellone, il Bombino bianco ed il Trebbiano giallo e verde per i vini bianchi, il Montepulciano, il Cesanese di Affile, il Cesanese Comune, il Sangiovese per i vini rossi;

le forme di allevamento, i sesti d’impianto e i sistemi di potatura che, anche per i nuovi impianti:

sono quelli tradizionali e tali da perseguire la migliore e razionale disposizione sulla superficie delle viti, sia per agevolare l’esecuzione delle operazioni colturali, sia per consentire la razionale gestione della chioma, permettendo di ottenere una adeguata superficie fogliare ben esposta e di contenere le rese di produzione di vino entro i limiti fissati dal disciplinare (84 hl/ha per le tipologie bianche e 70 hl/ha per le tipologie rosse e rosate);

le pratiche relative all’elaborazione dei vini:

che sono quelle tradizionalmente consolidate in zona

per la vinificazione in rosso dei vini tranquilli, adeguatamente differenziate per la tipologia di base

e le tipologie riserva e superiore, riferite quest’ultime a vini rossi maggiormente strutturati, la cui

elaborazione comporta determinati periodi di invecchiamento ed affinamento in bottiglia

obbligatori.

 

B) Informazioni sulla qualità o sulle caratteristiche del prodotto essenzialmente o esclusivamente

attribuibili all'ambiente geografico.

La DOC “Roma” è riferita a nove tipologie di vino bianco (“bianco”, “Classico bianco”, “Bianco amabile”, “Classico bianco amabile”, “Bellone”, “Classico Bellone”, “Malvasia puntinata”, “Classico Malvasia puntinata”, “Romanella spumante”), a due tipologie di vino rosato (“rosato”, “Classico rosato”) e a sei  tipologie di vino rosso (“rosso”, “Classico rosso”, “Rosso amabile”, “Classico Rosso amabile”, “rosso Riserva”, “Classico rosso Riserva”) che dal punto di vista analitico ed organolettico presentano caratteristiche molto evidenti e peculiari, descritte all’articolo 6 del disciplinare, che ne permettono una chiara individuazione e tipicizzazione legata all’ambiente

geografico.

Nello specifico le singole tipologie di vino si caratterizzano:

“Roma” bianco – Classico bianco:

vino fresco ed equilibrato, con colore giallo paglierino talvolta con riflessi verdognoli, odore delicato etereo con note floreali e fruttate, sapore asciutto e armonico.

“Roma” bianco amabile – Classico bianco amabile: vino dal colore giallo paglierino con riflessi verdognoli, odore delicato fine, con note floreali e frutta esotica, sapore armonico, sapido.

“Roma” Bellone – Classico Bellone:

vino fresco ed equilibrato, con colore giallo paglierino talvolta con riflessi verdognoli, odore caratteristico, gradevole con note floreali e fruttate, sapore secco, equilibrato, sapido.

“Roma” Malvasia puntinata – Classico Malvasia puntinata:

vino fresco ed equilibrato, con colore giallo paglierino carico, odore caratteristico della varietà, gradevole con note floreali e fruttate, sapore secco, equilibrato, morbido.

“Roma” rosso – Classico rosso:

buona struttura e presenza di buone dotazioni polifenoliche e tanniche polimerizzate, che conferiscono al vino un giusto corpo e assenza di ruvidezza.

Il vino presenta un colore rosso rubino con riflessi violacei anche tendenti al granato con l’invecchiamento, odore intenso e caratteristico con sentori fruttati, sapore secco, armonico con buona struttura e persistenza.

“Roma” rosso amabile – Classico rosso amabile: vino dal colore rosso rubino con riflessi violacei, odore armonico, fruttato intenso, con note speziate, sapore persistente.

“Roma” rosso Riserva – Classico rosso Riserva:

buona struttura e presenza di buone dotazioni polifenoliche e tanniche polimerizzate, che conferiscono al vino un giusto corpo, assenza di ruvidezza e buona longevità. Il vino presenta un colore rosso rubino con riflessi violacei anche

tendenti al granato con l’invecchiamento, odore intenso e caratteristico con sentori fruttati che sfumano a favore di quelli speziati o fenolici associabili al legno, sapore secco, armonico con buona struttura e persistenza.

“Roma” rosato – Classico rosato:

leggero di corpo, fresco, vivace, con colore rosato più o meno intenso, odore delicato, fine, sapore secco, fresco, fruttato,sapido.

“Roma” Romanella spumante:

vino fresco ed equilibrato, con colore giallo paglierino tenue con perlage fine ed evanescente, odore delicato e fine, sapore armonico, vivace da brut a extradry .

Al sapore tutti i vini presentano un’acidità normale, un amaro poco percepibile, poca astringenza e buona struttura, che contribuiscono al loro equilibrio gustativo.

 

C) Descrizione dell'interazione causale fra gli elementi di cui alla lettera A) e quelli di cui alla lettera B).

L’orografia pianeggiante e collinare dell’areale di produzione, che comprende i territori litoranei, la Sabina romana, i Colli Albani, i Colli Prenestini e parte della Campagna romana, e l’esposizione ad ovest, sud-ovest, sud concorrono a determinare un ambiente arioso, luminoso e con un suolo naturalmente sgrondante dalle acque reflue, particolarmente vocato per la coltivazione dei vigneti del vino “Roma”.

Da tale area sono peraltro esclusi i terreni ubicati a quote troppo basse non adatti ad una viticoltura di qualità.

Anche la tessitura e la struttura chimico-fisica dei terreni interagiscono in maniera determinante con la coltura della vite, contribuendo all’ottenimento delle peculiari caratteristiche fisico chimiche ed organolettiche del vino “Roma”.

In particolare, i terreni di origine sedimentaria e vulcanica, sono costituiti sedimenti alluvionali e marini, quali travertini, sabbie, ghiaie, limi a volte coperti da depositi alluvionali recenti, da depositi formatisi in ambiente fluvio-palustre costituiti da alternanze di livelli sabbiosi, sabbioso-argillosi, da argille di ambiente batiale e circalitorale, sabbie e calcareniti di ambiente infralitorale, sabbie di ambiente costiero con vulcaniti albane intercalate e sabbie di ambiente eolico e fluviale (“Duna antica”).

Sono presenti anche pozzolane (localmente dette "terrinelle"), cioè ceneri vulcaniche del tutto prive di cementazione che danno luogo a terreni sabbiosi, profondi, permeabili all'acqua e senza ristagni né superficiali né profondi; si hanno anche limi e sabbie gialle mescolate a ciottolini calcarei e silicei sparsi o concentrati e argille azzurre e grigie di ambiente lacustre e terreni riconducibili alle terre rosse con tessitura argillo-limosa che presentano, in genere, limitato spessore ed un sottosuolo coerente.

Trattasi di terreni con caratteristiche tali da renderli idonei ad una vitivinicoltura di qualità.

Anche il clima dell’areale di produzione, caratterizzato da precipitazioni abbondanti (1065 mm), con scarse piogge estive (105 mm) ed aridità nei mesi di luglio e agosto, più pronunciata e presente anche nel mese di giugno, e sporadicamente anche a maggio, alle quote più basse, da una buona temperatura media annuale (14.2 °C), unita ad una temperatura relativamente elevata e ottima insolazione nei mesi di settembre ed ottobre, caratterizzato nella fase finale, da una elevata escursione termica tra notte e giorno, consente alle uve di maturare lentamente e completamente, contribuendo in maniera significativa alle particolari caratteristiche organolettiche del vino "Roma".

In particolare, la combinazione tra le caratteristiche del terreno ed i fattori climatici, determina per i vini bianchi, la produzione di significative quantità di precursori aromatici che consentono di esaltare le caratteristiche organolettiche e i sentori tipici dei diversi vitigni e per i vini rossi un’ottimale maturazione fenolica, che unita ad un ottimale rapporto tra zuccheri e acidi permette di ottenere vini caratterizzati da elevata struttura, un grande equilibrio fra le diverse componenti.

La millenaria storia vitivinicola riferita alla terra del “Roma”, dall’epoca romana, al medioevo, fino ai giorni nostri, attestata da numerosi documenti, è la generale e fondamentale prova della stretta connessione ed interazione esistente tra i fattori umani e la qualità e le peculiari caratteristiche del “Roma”.

Ovvero è la testimonianza di come l’intervento dell’uomo nel particolare territorio abbia, nel corso dei secoli, tramandato le tradizionali tecniche di coltivazione della vite ed enologiche, le quali nell’epoca moderna e contemporanea sono state migliorate ed affinate, grazie all’indiscusso progresso scientifico e tecnologico, fino ad ottenere i rinomati vini “Roma”, le cui peculiari caratteristiche sono descritte all’articolo 6 del disciplinare.

Nella storia di Roma, dalle origini alla caduta dell’Impero, il vino ha sempre svolto un ruolo di primo piano e per giunta polivalente: accanto alla sua indispensabile funzione nell’alimentazione quotidiana, ha avuto un posto di rilievo anche nel campo della medicina ed in ambito religioso, raggiungendo il culmine della sacralità con il Cristianesimo.

Agli inizi dell'età imperiale la coltivazione della vite si estese ulteriormente (anche in terreni fertili per ottenere più elevate produzioni) allo scopo di produrre il vino necessario per soddisfare l’esportazione e l’aumento del consumo interno.

I Romani destinavano a vigneto le terre più idonee e perciò preferivano il suolo vulcanico dei Colli Laziali, di Caere, della Sabina. Columella ci ha lasciato ne l’Arte dell’agricoltura un’interessante descrizione delle ville rustiche romane, dove la coltivazione principale era quella della vite.

Oltre alla parte così detta urbana, dimora del padrone dotata di ogni genere di confort, c’era la parte detta

fructuaria, dove si lavoravano e si conservavano, oltre al grano, soprattutto vino e olio d’oliva.

Gabelle, proibizioni, bandi ed editti proliferarono intorno al vino, come dimostrano i regesti e i numerosi libri della gabella del vino conservati nell’Archivio di Stato di Roma a partire dal 1422.

In tal modo il potere papale disciplinava la produzione nei vigneti di Roma e dei territori circostanti.

Proprio sotto il pontificato di Paolo III il mercato romano fu invaso dai vini dei Castelli, della Sabina, dei Colli predestini, sia perché il vino romanesco non era sufficiente per il consumo della città, sia perché papi e cardinali amavano avere sulle mense vini diversi e di qualità.

La diversificazione tra vino romanesco (quello prodotto entro sette miglia dal Campidoglio) e vino dei Castelli è attestato fino al XIX secolo.

Nel 1539, Sante Lancerio, bottigliere di Paolo III Farnese, nella sua opera Della natura dei vini e dei viaggi di Paolo III descritti da Sante Lancerio suo bottigliere, ci ha lasciato numerose informazioni sui vini romaneschi, per la gran parte robusti e adatti all’invecchiamento.

I migliori, a suo dire, erano quelli che si producevano dalle vigne sul Gianicolo, fuori dalla Porta di San Pancrazio, in Vaticano e a Monte Mario, conosciuto come il vino di maggior pregio.

Per quanto concerne il vino romano, il periodo più nero coincise con il trasferimento del Papato ad Avignone agli inizi del XIV secolo.

Durante il pontificato dei Papi Avignonesi, infatti, i vini italiani in genere furono temporaneamente messi in disparte a favore di quelli francesi. Intorno alla prima metà del XVI secolo, toccò a Paolo III della famiglia Farnese (1534- 1549) rendere nuovamente giustizia al vino nostrano, che finalmente tornò a troneggiare sulle mense papali. Sui sette colli

sorsero splendide ville attorniate da giardini, boschi e soprattutto vigne, dove nobili, cardinali e gli stessi papi trascorrevano le loro vacanze.

Nel 1596 il Bacci in Sulla storia dei vini, dei vini d’Italia e dei conviti degli antichi in sette libri, ci conferma che la Roma cinquecentesca è una città ammantata di vigneti e si sofferma ad elencare le vigne più importanti: quelle di San Pancrazio, di Porta Pinciana e di Monte Mario, che producono i vini romaneschi migliori, moscatelli e trebbiani, e poi quelle sull’Aventino, il Celio, il Quirinale e l’Esquilino, anch’esse di discreta qualità. Per quanto concerne i vini dell’hinterland romano, si parla dei vini di Ariccia e di Albano, per il quale l’autore esprime particolare lode, di Marino, di Colonna, del Tuscolo, di Castel Gandolfo e di Velletri, nell’area dei Castelli Romani.

Anche lo scrittore francese Michel de Montaigne, fermatosi a Roma tra il 1580 e il 1581, narra nel Giornale di viaggio in Italia le sue giornate romane impegnate a visitare antichità e vigne, indicando tra le più degne di nota quella d’Este a Monte Cavallo (l’odierno Quirinale), la Farnese sul Palatino e quella di Villa Madama. La Roma papale si ammanta di verde riempiendosi di ville e di vigne. Nella Pianta di Roma di Leonardo Bufalini, redatta nella prima metà del XVI secolo, si contano 43 vigne. Anche il gesuita Eschinardi nella Descrizione di Roma e dell’agro romano(1750), oltre a citare numerose vigne all’interno delle mura, riporta a conferma dell’estensione della coltivazione “…vigne, le quali per l’ordinario si stendono fuori Roma tra le due e tre miglia”.

Nei primi decenni del diciannovesimo secolo i vigneti sono presenti in tutta Roma in grande numero, tanto che sia il Venuti nella Accurata e succinta descrizione topografica delle antichità di Roma (1824) che il Nibby in Roma nell’anno 1838, riportano ben 120 toponimi di vigna, tutti entro le mura o nelle immediate vicinanze.

E a testimonianza di questa ’”epoca d’oro” rimane la toponomastica di molte vie romane: Vigna Clara, Vigna Stelluti, Vigna Pia, Via delle Vigne Nuove, via di Vigna Fabbri, Vigna Murata, via di Vigna Putti.

Famose erano le vigne di alcuni pontefici come quella di Clemente VII, a Monte Mario. Rinomata anche la villa di Sisto V sull’Esquilino, costruita anche questa nel bel mezzo di una vigna, posta nel luogo più elevato di Roma e quella di Leone XIII (1878-1903).

La più nota però era la villa di Giulio III (1550-1555), che si trovava in una zona di Roma conosciuta un tempo come Vigna Vecchia, nei pressi di Villa Borghese.

Si dice che il pontefice amasse talmente dedicarsi alla sua vigna da trascurare persino il concistorio. Villa Borghese nacque nel 1580 intorno ad una vigna, alla quale se ne aggiunsero altre fino al 1833.

Tra le numerose stampe che Bartolomeo Pinelli ha dedicato alle vedute romane, ce ne sono alcune che testimoniano che ancora fino al XIX secolo si vendemmiava a Villa Borghese come sull’Aventino.

Tra le testimonianze tecniche risalenti alla fine dell’Ottocento e relative alla coltivazione della vite nel territorio romano, preziosissima è la monografia dell’onorevole Camillo Mancini, pubblicata nel 1888 ed intitolata Il Lazio viticolo e vinicolo.

Vi si apprende che la viticoltura avveniva ancora essenzialmente secondo i precetti del latino Columella e che, specie dentro Roma, si coltivavano comunemente in mezzo ai filari finocchi e carciofi con il deprecabile risultato, a giudizio

dell’autore, di conferire al vino il classico sapore amarognolo proprio del carciofo.

Sempre il Mancini ci informa che i vitigni più comuni a quei tempi erano il trebbiano verde e bianco, il bello e il buonvino per quanto concerne i vini bianchi, il cesanese, il buonvino rosso, la lacrima e l’aleatico per i rossi.

In Agricoltura e quistioni economiche: che la riguardano, (1860) Vol. 2, Frédéric Passy riporta “La coltura della vigna è nondimeno una di quelle che più aggradiscono gli abitanti, è la sola che si permetta il romano, e Roma è tutta circondata di vigne e vigneti.

Si va alla vigna come fra noi si andava ai campi per diporto, ed ogni villa suburbana porta scritto sul sommodella sua entrata Vigna di…., e il nome del proprietario. Si usano insieme negli Stati Romani due metodi di coltura affatto diversa: l'una, generalmente in uso nei dintorni di Roma e nelle paludi Pontine, consiste a sostenere il tralcio per mezzo di canne che si fanno espressamente crescere in grandissimo numero..”.

Con la crescita urbana di Roma iniziata subito dopo il 1870, l’estensione delle vigne si ridusse e le produzioni si allontanarono dalle zone di consumo.

L’espansione della città continuò prevalentemente lungo gli assi della Flaminia, Salaria, Nomentana, Tiburtina e dell’Appia.

L’urbanizzazione comportò la concentrazione delle produzioni nelle zone maggiormente vocate: Castelli Romani, Cerveteri, Sabina. Anche se la vite si “allontana” dalla città di Roma, resta un elemento di aggregazione e richiamo nella cultura popolare.

Il vino è ancora oggi una voce importante dell’economia del territorio romano e, come ai tempi di Virgilio, Bacco continua a prediligere i colli, cosicché soprattutto l’hinterland romano appare inequivocabilmente vocato all’antica coltura.

 

Articolo 10

Riferimenti alla struttura di controllo

 

Nome e Indirizzo:

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L’ARSIAL è l’Organismo di controllo autorizzato dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 61/2010 (Allegato 1) che effettua la verifica annuale del rispetto delle disposizioni del presente disciplinare conformemente all’articolo 25, par 1, 1° capoverso, lettera a) e c), ed all’articolo 26 del Reg CE n. 607/2009, per i prodotti beneficianti della DOP, mediante una metodologia dei controlli sistematica nell’arco dell’intera filiera produttiva (viticoltura, elaborazione, confezionamento), conformemente al citato articolo 25,

par. 1, 2° capoverso, lettera c).

In particolare, tale verifica è espletata nel rispetto di un predeterminato piano dei controlli, approvato dal Ministero, conforme al modello approvato con il DM 2 novembre 2010, pubblicato in GU n. 271 del 19-11-2010. (Allegato 2).

 

 

N.B. fa fede solo il testo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.